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La Voce
15 aprile 2010

La Soyuz navigava a velocità di crociera, molto al di sotto della sua capacità, e questa volta aveva solo funzione di cargo. Un solo astronauta a bordo, che una volta agganciata la I.S.S. (la Stazione spaziale in orbita dal 1998) e depositati viveri e pezzi di ricambio, avrebbe poi sostituito uno dei due russi dell’equipaggio della Stazione, che comprendeva anche tre americani, un giapponese ed un italiano. Izmail Borislav non aveva, perciò, in quel momento grandi compiti da svolgere, era rilassato e si godeva lo spettacolo sempre uguale e sempre nuovo del grande oceano cosmico che lo circondava. Aveva temporaneamente spento i collegamenti sia con la Stazione che con la base, non c’erano manovre particolari da fare e il silenzio profondo, appena attutito dalle vibrazioni delle apparecchiature di bordo, pur non privandolo delle sue capacità d’attenzione, esaltava la bellezza del momento. Un mare di stelle inondava l’immenso cielo nero. Poi, il gelo nelle vene: ancora lei, la voce… No, non poteva venire dall’esterno, impossibile… e Izmail prese quindi a traffi care sulla radio di bordo, accendeva, spegneva, controllava i vari canali; ma continuava a rendersi conto che la fonte del suono non era neanche lì. * …le sirene videro il legno che s’accostava e la voce sonora spiegarono al canto… La voce era lontana, forse un canto, un sospiro, un mormorio, un sussurro; a tratti acuta, a tratti profonda. Una voce che aveva avvertito, percepito appena, nella sua precedente missione e che aveva attribuito ad un sogno. * …Chi si avvicina a loro, malcauto, ed ascolta la voce delle Sirene, quello mai la sua sposa ed i fi gli più lo vedranno tornare, diletto mai più non ne avranno; ma le Sirene, incanto gli fan con le limpide voci… La voce ora sembrava irridente, eppure dolcissima… e si allontanava. *….Oltre tu passa, e fa rammollir della cera soave/ e dei compagni riempi le orecchie/che alcuno non oda…. Non ne aveva mai parlato con nessuno e non avrebbe potuto. Gli avrebbero impedito di continuare ad andare nello spazio; avrebbe potuto rappresentare un pericolo per sé e per gli altri. Madido di sudore riaccese tutte le apparecchiature di bordo e iniziò la manovra di aggancio alla Stazione spaziale. Altri due astronauti – gli parve di riconoscere i due russi – erano fuori, sulla piattaforma di uscita, intenti ad attività extra veicolari. La manovra d’aggancio si svolse perfettamente, ormai era un lavoro di routine, e Izmail Borislav fu accolto a bordo con calorosa cordialità da parte degli americani e dell’italiano, il giapponese si limitò ad un grave cenno del capo. Per un giorno terrestre la vita a bordo si svolse secondo gli schemi abituali. Il collegamento a terra via radio era regolare, e gli astronauti riposavano in ore alternate. Izmail era di turno alle apparecchiature di bordo. Quando i due russi si svegliarono e si accorsero che Izmail mancava, pensarono fosse uscito con un altro membro dell’equipaggio, era inammissibile che fosse uscito da solo, ma tutti gli altri erano ai loro posti. L’italiano e uno dei due russi si scambiarono uno sguardo preoccupato e si avvicinarono alla piattaforma d’uscita. La stanza di compensazione era vuota ma mancava una tuta per l’attività esterna. In fretta indossarono le tute spaziali, si prepararono ed uscirono sulla piattaforma. Izmail Borislav era sull’orlo, il cordone che lo legava alla Stazione era ben assicurato. *…ma prima i compagni/ nella veloce nave ti avvincano i piedi e le mani,/ dritto, con funi, a ridosso ti leghin dell’albero stretto,/ sì che delle Sirene godere tu possa la voce:/ ma se tu preghi i compagni, se d’esser sciolto comandi/ legare tanto più ti devono con doppie ritorte…(*Omero, Odissea, canto XII). Solo allora si accorsero che Izmail si muoveva anzi dondolava o forse danzava: lentamente, come se fl uttuasse nello spazio. Cercarono di avvicinarlo ed assistettero a qualcosa che li fece raggelare: l’astronauta staccò il cavo, come se tagliasse un cordone ombelicale, e si lasciò andare. I due tentarono manovre di avvicinamento, gli fecero gesti disperati, ma Izmail si allontanava. Poi si girò su se stesso, come a volerli salutare, con un sorriso rassicurante, allontanandosi ancora e divenendo un piccolo punto nello spazio. Andava incontro alla “voce” che continuava a chiamarlo: sapeva che in qualche luogo di quel immenso non luogo, qualunque fosse stato il prezzo da pagare, l’avrebbe incontrata.

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