La sinistra molfettese al guado fra storia recente e prospettive future
La prima metà dal lunghissimometraggio, metà sulla sinistra molfettese e metà su Domenico Spadavecchia, è stata proiettata a Molfetta nella villa comunale venerdì 27 agosto. L’altra metà sabato. Nonostante alcuni difetti tecnici e una discreta prolissità, non si può assolutamente chiedere di più ad un documentario di 4 ore di durata, no-cost, fatto con un cellulare da una sola persona, Giulio Bufo. Ai momenti malinconici, di solito sottolineati dalla canzone napoletana “scalinatella (longa, longa, longa, longa)” e dalla figura di Mimì che, riflettendo sulla sinistra e sulla sua vita, si racconta camminando per le strade di Molfetta, si succedono interviste ad alcuni protagonisti della vita politica molfettese e, col contributo di immagini di repertorio, si tratteggiano gli eventi storici della nostra città. Di questo documentario c’è da parlarne per metà male e per metà bene, i commenti sulla parte meno apprezzabile li lascio volentieri ai nostrani criticoni della sinistra affinché facciano sfoggio della loro illuminata saggezza, ma dovranno vederselo tutto il documentario che è visibile al seguente indirizzo https://videotecadiclasse.ga/?s=Gl i+operai+Della+sinistra. Si inizia più o meno dalla nascita del 68 a Molfetta, si coglie la forte partecipazione di giovani, la poliedricità (tra movimento degli studenti, femminismo e operaismo), l’impegno militante e la sorridente e felice seriosità della sua politica. Questa è la prima volta che, senza forzature e contorsioni dialettiche ma attraverso la voce di alcuni dei suoi protagonisti, lo si scopre e se ne parla. Si conosce la differenza tra la nuova politica sessantottina e quella dei partiti politici tradizionali di sinistra di allora, un fossato divideva le due politiche, colmato in alcune occasioni dai sessantottini più miti ed in altre dai tesserati del PCI e del PSI più rivoluzionari. Questa fase si conclude all’inizio degli anni 80 per il cosiddetto riflusso e per il confluire di alcuni militanti del PCI e della sinistra radicale nella esperienza di Vendola. Le immagini del documentario passano poi a Don Tonino Bello e al suo intervento della lotta degli operai della Ferriera di Giovinazzo (Mimì era uno di loro) e riportano alla memoria le lotte sindacali di quegli anni, le cariche della polizia, il convulso succedersi dei drammi personali e collettivi e la figura nobile e il rigore morale di don Tonino e i suoi discorsi che ancora oggi possiamo chiamare rivoluzionari. Lontana mille miglia da quei tempi, da quegli avvenimenti e da quella politica, la corruzione e la cura degli interessi personali di oggi. Si passa poi al “Percorso”, figlio politico di don Tonino Bello, con Guglielmo Minervini, i cattolici cresciuti sotto l’ala di don Tonino e quella società civile che dal ‘68 non aveva ancora perso le speranze. Non si può far a meno di sorridere, durante l’intervista di Rino, nel vederlo spalancare gli occhi nel descrivere lo stupore del doversi confrontare, come movimento vittorioso alle elezioni, con le necessità della politica amministrativa e dei suoi compromessi. Ed infine il declino anche di quell’esperienza risucchiata da quella palude di clientele, favoritismi, corruzione e vanagloria che ancora oggi tarpa le ali ai progetti e alle speranze. Quella bella canzone (scalinatella…) accompagna i borbottii di Mimì che toglie la falce (vera) e il martello (vero) posati sulla bandiera rossa stesa sul suo tavolo di campagna e dichiara solennemente sul sedile a dondolo di sua costruzione (quindi robusto) il suo allontanarsi dalla politica. Un documentario metà utile e metà piacevole, che lascia l’amaro in bocca col suo descrivere una sinistra che tenta di camminare in avanti con lo sguardo rivolto al suo glorioso passato, proprio ora che i tempi sono cambiati e abbiamo bisogno di guardare avanti e percorrere nuove strade. La sinistra di cui si parla e l’economia e la società di quegli anni nascevano alla fine della seconda guerra mondiale, vivevano nel boom economico e c’era ancora il socialismo reale dei paesi dell’Est. Oggi molte cose sono cambiate, viviamo nel XXI secolo, l’industria delocalizza nei paesi più poveri, siamo una nazione ricca, il comunismo è stato archiviato e c’è stata la rivoluzione digitale. Guardare in avanti non è facile, è meglio comprare certezze a buon mercato dall’imbonitore di turno o convertirsi ad uno qualunque dei tanti pensieri unici accreditati dalla consuetudine e dalla tradizione. Camminare con lo sguardo in avanti verso il futuro con spirito libero e passo deciso significa avere il coraggio di camminare nella nebbia delle incertezze e l’unico sostegno sono gli altri coraggiosi che hanno fatto la stessa scelta. La politica è fatta di desideri, speranze, solidarietà, rispetto per tutti ed umiltà e questa politica langue oggi a Molfetta. La prima cosa che salta agli occhi è la scarsa partecipazione alla vita della città e un atteggiamento di accondiscendenza per come vanno di fatto le cose in politica. Si tratta di un frutto avvelenato dalla voglia di divertirsi senza pensare al futuro della città in cui si vive, nella falsa convinzione che non si ha bisogno dell’aiuto degli altri, che ciascuno potrà cavarsela da solo. Poi c’è la scarsa qualità dell’analisi politica, “abbiamo un futuro come porto commerciale” si grida da più parti e ci si rallegra. Purtroppo però anche il futuro del porto commerciale è avvolto nella nebbia, temo che se stiamo consumando le risorse di tutto il pianeta e se continuiamo a commerciare auto, comprare cellulari, viaggi alle Maldive e plastiche cinesi avremo solo estati sempre più calde, isole ecologiche sempre più piene e porto vuoto. La popolazione molfettese sta diminuendo ma si costruiscono sempre più case a spese del territorio e del terreno agricolo. Diminuiscono le barche dei pescatori che portano pesci alla città e aumentano i motoscafi da diporto che portano soldi a quelli che sono già ricchi e soprattutto, come sempre alla stazione di Molfetta, il sabato e la domenica sera i giovani partono per trovare lavoro. Se la destra ha il compito di coltivare le tradizioni e promuovere le sue tesi sovraniste (possibilmente lasciando la libertà di sostenere il contrario), se la politica centrista deve governare per quello che è possibile la confusione del presente (e deve farlo possibilmente limitando la conduzione e l’arroganza), anche la società civile fatta della gente di sinistra (quella senza interessi inconfessabili) e dai cattolici senza ipocrisie ha il compito di promuovere con forza una comunità di cittadini che coltivi non solo la solidarietà con i più deboli, il diritto ad una vita dignitosa, al lavoro e alla salute ma anche il senso critico, la cultura, le minoranze attive e anticonformiste e la libertà dei singoli cittadini. E conviene a tutti che la società civile faccia almeno la metà del suo dovere, giusto per non costringere al martirio il prossimo eventuale sindaco di sinistra (o anche di centro). © Riproduzione riservata