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La Repubblica: Porto Molfetta, 53 milioni di danni. La Corte dei conti contro Azzollini Vi proponiamo integralmente l'articolo del giornalista Giuliano Foschini
15 marzo 2015

Il caso è noto La realizzazione del porto a Molfetta, città guidata dall’allora sindaco Azzollini, senatore e presidente della Commissione bilancio. Secondo l’accusa della Procura di Trani, il porto era un’opera irrealizzabile: il fondale del porto di Molfetta era pieno di ordigni bellici, residui della seconda guerra mondiale. Sminarlo era praticamente impossibile o comunque troppo costoso. Motivo per cui i lavori non avrebbero potuto mai essere terminati. Ciò nonostante però il lavoro fu appaltato e i lavori furono effettivamente sospesi. Ciò nonostante da Roma continuavano ad arrivare soldi che Azzollini, questa l’accusa della Procura, avrebbe utilizzato su altre spese di bilancio. In modo da soddisfare interessi elettorali. Qualche esempio: vengono presi dai soldi del porto i 624mila euro dati ai dipendenti come incentivi comunali, i due milioni e mezzo per i nuovi marciapiedi, i tre milioni per la pista di atletica, i 221mila per il palazzetto dello sport, i 375mila per i gabbiotti e le tende da sol del “mercato diffuso”, i 300mila per il centro minori più una serie di spese correnti compresi i “111.526 euro in “cancelleria e stampa” e 34.378 euro in “conti di ristoranti”. «In sostanza – scrive la procura di Trani in uno dei suoi atti di accusa – l’amministrazione Azzollini ha utilizzato quel denaro per creare un “fittizio equilibrio economico”, e a attestare falsamente il patto di stabilità. L’ ammini s t r a z ione sostituiva le spese d’investimento con uscite non aventi tale natura, e ‘copriva’ queste ultime a carico dei finanziamenti e trasferimenti finalizzati alla costruzione del nuovo porto commerciale ». Porto che appunto cominciato, finanziato (sono stati costretti anche a pagare una penale milionaria alla Cmc, la società che aveva vinto la gara ma non ha potuto continuare per via delle bombe) e ora ancora rifinanziato con altri dieci milioni nell’ultima finanziaria. Eppure che su quell’appalto ci fosse qualcosa che non andasse lo aveva già detto nel 2008 l’Authority sull’appalto che aveva parlato di una «illegittimità del bando di gara». L’appalto prevedeva l’esistenza di una draga, una particolare macchina per l’escavazione subacquea, che ha soli tre esemplari al mondo. «Una richiesta fortemente limitativa della concorrenza » diceva il Garante che aveva previsto anche il resto. In un’ispezione della Finanza del 2008 si diceva «che a causa delle attività di bonifica dei fondali dagli ordigni bellici, i lavori di dragaggio non hanno ancora avuto un concreto inizio» e quindi chissà quando sarebbero finiti. Da qui la possibilità che l’azienda appaltatrice, come effettivamente poi accaduto, potesse chiedere i danni «per fermo cantiere ed inutilizzo dei macchinari» con «profili di potenziale danno erariale » per le casse del Comune. «Siamo stati facili Cassandre, purtroppo» dicono ora dall’Authority dove fanno notare anche una seconda circostanza. L’appalto era stato bandito per 63,8 milioni e vinto da una Ati tra Cmc, Società italiana dragaggi e Pietro Cidonio con un ribasso del 10 per cento portando il valore di contratto a 57,6 milioni. Sei mesi dopo, una volta presentato il progetto esecutivo, il costo lievita a 69,4 milioni. «Grazie a questo meccanismo scrive l’Autorità - l’impresa recupera di fatto il ribasso offerto, oltre ad un ulteriore maggiore importo del 10 per cento

Autore: Giuliano Foschini
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