La politica nell’età post-ideologica
La politica che viviamo oggi è un riflesso evidente della “società liquida”, nota espressione del sociologo Zygmunt Bauman. Qualcosa a cui dovremmo abituarci. Non molto tempo fa il partito rappresentava per l’elettore una visione del mondo, un insieme di valori rassicuranti, e quindi un’idea più o meno precisa di cosa vota. C’erano una volta, tanti anni fa, la Guerra Fredda, il Sessantotto, il crollo del Muro, e l’era Ronald Reagan. C’erano le ideologie, la destra conservatrice, la sinistra rivoluzionaria, i movimenti studenteschi; eppure, oggi, nell’anno in cui i ragazzi nati nel 2000 si avvicinano per la prima volta alle urne, queste appaiono veramente come vecchie anticaglie. D’altra parte, quest’anno ricorre anche il cinquantesimo anniversario del Sessantotto.
Siamo nell’età della “fine delle ideologie” e dei partiti che le incarnavano, o meglio, della fine delle ideologie alternative all’unica sopravvissuta, quella neo-liberale del mercato mondiale, della riduzione a merce di ogni aspetto della vita umana e della crescita illimitata. Lo constatiamo anche nelle ultime riforme della scuola, il cui fine non è quello di formare dei cittadini consapevoli e capaci di criticare il potere, ma degli automi che devono entrare nel mondo del lavoro.
Le ideologie – come anche le “grandi narrazioni” di Lyotard – sono state dichiarate morte per celebrare l’unica che ad esse succede, occupandone lo spazio e colonizzando l’immaginario dei consumatori. Ne viene fuori una nuova configurazione complessiva della politica, con la quale dobbiamo ancora fare i conti fino in fondo: è l’eclisse dei partiti e delle ideologie delle quali erano portatori.
La conseguenza è il ritorno a una sorta di neo-feudalesimo economico. Lo vediamo nelle recenti inchieste sui lavoratori di Amazon, Uber, o Ryanair e dinanzi alle quali la politica sembra avere un atteggiamento del tutto servizievole. Quest’ultima è il luogo della decisione e invece i Governi lavorano con un punto di riferimento economico, ma se l'economia finisce con l'essere il faro e il riferimento, allora diciamo che la politica ha esaurito il proprio lavoro ed è l'economia a governare la politica. La politica odierna sembra così essere totalmente asservita alle Banche, alle Multinazionali e ai gruppi d’interesse.
In un contesto simile ciò che emerge non è la condivisione del valore, ma la forza della leadership personale. E ciò può essere molto pericoloso. Il professor Giovanni Sartori diceva che fare le elezioni e andare a votare è ormai un modo di eleggere i capi. La nuova legge elettorale, il Rosatellum, lo conferma ancora una volta. Sono d'accordo con lui. La democrazia è ad esempio aiutare i terremotati costruendo nuove case, aprire gli asili affinché le donne possano lavorare, sostenere i risparmiatori in difficoltà. La democrazia è queste cose, è la vita reale, non semplicemente l'andare a votare: quello è un modo per eleggere i capi.
L’aveva già detto Platone, l’inventore del pensiero politico. Dei 35 dialoghi che ci ha lasciato, una decina sono indirizzati contro i retori e i sofisti, cioè contro coloro che ottengono il consenso in vista della ricerca della verità, ma sulla base della mozione degli affetti, dell'appello all'autorità, della sofisticazione dei paralogismi e della persuasione emotiva. Secondo Platone costoro devono essere espulsi dalla città perché non può nascere un sistema democratico finché ci sono tali mistificatori del linguaggio e del consenso. Siamo in un paese in cui ogni anno ci sono le elezioni ed è chiaro che coloro che vogliono essere eletti vanno incontro ai desideri del popolo, ma questi sono desideri individuali, privati e di interesse, non sono desideri improntati al bene comune.
Giovanni Capurso