La politica e il degrado della comunicazione
Che il nostro Paese sia in declino lo dicono tutti gli indicatori: dalla disparità della ricchezza, la fuga dei giovani talenti, al forte rallentamento della natalità. E lo dice anche il degrado del linguaggio politico, non solo tra gli attori diretti, ma a catena tra gli elettori ridotti al rango di spettatori che si insultano a suon di post su facebook, tweet e fake news.
Lo abbiamo visto nell’ultima, bruttissima, campagna elettorale per le politiche: una ricorsa agli slogan, insulti personali e falsità ben nascoste da promesse mirabolanti contando sulla memoria corta degli elettori. Ora la pausa estiva può essere una buona occasione per riflettere su questo tema non proprio secondario. Indubbiamente, in tutto questo c’entra la cultura dello spettacolo, che per alzare l’audience, incoraggia l’aggressività verbale.
Naturalmente il linguaggio (o l’insulto) diretto e personalistico, l’abbigliamento più casual, la gestualità, l’alzare la voce e il fare esempi semplici (illuminante quello della spesa), a torto o a ragione, è un modo per farsi percepire più vicini alla gente.
Ma le agorà della comunicazione, con la loro spettacolarizzazione, hanno ridotto la politica da luogo di confronto tra idee, anche ruvido e aspro, in vere e proprie tifoserie attaccate in maniera irrazionale ai colori delle maglie, per usare un gergo calcistico. In questa battaglia mediatica, al momento – stando ai risultati elettorali e agli attuali sondaggi -, il PD e la Sinistra sembrano aver perso, nonostante qualcosa di buono l’abbia fatto. Mentre, a proposito della memoria corta, già in pochi ricordano che Salvini parlando alla pancia degli elettori aveva promesso il rimpatrio di quattrocentomila migranti.
Per quanto riguarda il M5S, dopo anni di opposizione verbalmente aggressiva, vedremo se saprà superare il battesimo del fuoco del Governo. C’è allora un’ultima importante, quanto scontata, domanda da porsi: se la politica, e chi se ne occupa ad alti livelli, non abbia il dovere pedagogico di esprimersi con un linguaggio della verità piuttosto che con la retorica che mira solo al consenso.
La risposta la diamo a Platone, che già molti secoli fa aveva messo in guardia contro i retori e i sofisti il cui unico scopo, diceva nel Gorgia, è quella «di convincere gli altri con le proprie parole» (452a-d).
Giovanni Capurso