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La piccola italiana nella scuola
15 maggio 2008

Nella vasta bibliografia su Don Lorenzo Milani, che comprende scritti, lettere, testimonianze e dediche post mortem; spicca un lavoro ben costruito ma poco conosciuto e valorizzato di Fabrizio Borghini (Fabrizio Borghini “Lorenzo Milani. Gli anni del privilegio”. Il Grandevetro/Jaca Book, Milano, 2004, euro 8,00 ). A quarant'anni dalla sua scomparsa è opportuno ripercorrere, attraverso questo breve ma intenso saggio, le passioni, i tormenti e le riflessioni che portarono Lorenzo Milani Comparetti non solo ad abbracciare il sacerdozio, ma a svolgere la sua missione pastorale dedicandosi esclusivamente agli ultimi a al loro riscatto, attirandosi peraltro le antipatie della stessa Chiesa. Un'opera strutturata sui ricordi di chi conobbe bene il priore di Barbiana, che tra i tanti pregi ha quello di occuparsi della giovinezza di Lorenzo Milani Comparetti e del percorso intimo che lo portò non solo alla conversione, piuttosto alla scelta di povertà. E', infatti, analizzato e messo in luce il rifiuto del Signorino Milani – così veniva chiamato dai sui contadini nella tenuta di Montespertoli – del privilegio, per sposare come uomo e come prete la causa dei derelitti, dei poveri. Non solo, quindi Barbiana con la sua storia e le sue battaglie; ma il principio sociale che accompagnò sempre l'opera e l'impegno di Don Lorenzo. Le testimonianze ed il delicato lavoro di ricerca che vengono presentati in questo libro aprono un'importante finestra, fino ad ora mai presa in considerazione, sulle scelte classiste del prete di Barbiana, sulla sua riflessione giovanile che lo portò ancor prima di farsi prete a respingere, vergognandosene, la propria posizione sociale; nonostante la sua famiglia, molto più di altre dell'epoca, fosse motivata da principi sociali democratici. Lorenzo considerava i suoi primi venti anni, quelli appunto prima di entrare nel seminario minore di Lecceto nell'ottobre del 1943 “vent'anni passati nelle tenebre dell'errore”, proprio perché trascorsi nella sua borghese, ma amata, famiglia. Il fulcro di questo libro sta dunque nella riflessione che il giovane Milani fa sull'errore sociale della propria condizione sociale, sulla negatività che la borghesia porta all'interno della società, sullo sfruttamento economico, lavorativo e culturale che questa élite esercitava sulle masse. Il testo fa emergere il lungo percorso giovanile che poi approdò nella scelta classista di Don Milani che venne inizialmente fatta quasi per riscattare la sua condizione di privilegio; senza dubbio questo vincolo assillò pesantemente Lorenzo nel corso della sua breve esistenza, memorabile è la sua frase pronunciata ai suoi allievi in punto di morte: “In questa stanza c'è un cammello che passa dalla cruna di un ago”. Tuttavia non fu solo l'espiazione di questo peccato familiare a muovere e sostenere il percorso socio-educativo di Don Milani; questa fu piuttosto la spinta che gli consentì di prendere coscienza dell'ingiustizia sociale della borghesia, che opprimeva i poveri parassitando dalle loro fatiche ed umiliazioni. Ragionamenti affiancati ai principi religiosi ma non mossi esclusivamente da questi, dal libro, infatti, si percepisce che il rifiuto interiore verso la ricchezza ed il superfluo venne mosso soprattutto da un sentimento di ingiustizia verso queste sopraffazioni sociali che, certo, accompagnarono di pari passo l'amore per Dio e la religione cattolica. Borghini bene evidenzia come l'ambiente sociale di Gigliola, la tenuta di campagna della famiglia Milani-Comparetti, abbia svolto ancor prima di Cadenzano e Barbina un ruolo fondamentale sulla formazione del giovane Milani – che tramite Don Bensi ebbe lì il suo primo incarico di Cappellano durato solo pochi mesi (vedi lettere alla Mamma - Mondadori ) per comprendere e rifiutare l'ingiustizia. Lì nella campagna del Chianti, il Padrone si sentiva estraneo, emarginato da quel Popolo con cui, invece, già da allora voleva vivere. Da questo senso di ingiustizia deriva il principio che pone la didattica come mezzo per ridistribuire la sua unica ricchezza, quella culturale, ai poveri trasformandolo in mezzo per il loro riscatto sociale. La cultura, la padronanza della parola, del sapere, è l'unica chiave per aprire ogni porta. Don Milani lo spiegò bene a Luigi Tassinari, che in quel periodo era Direttore dell'Avviamento al Lavoro a Borgo San Lorenzo e che con la moglie lo aiutava nella preparazione dei giovani montanari: “Questi sono figli di contadini, per secoli sono stati esclusi dalla cultura; io voglio riportarli a un livello per cui possano competere con il figlio dell'avvocato o del dottore”. Questo testo, che esce dalle consuete biografie sul prete di Barbiana, aggiunge un importante tassello, un punto di vista differente che arricchisce il non facile tragitto personale e culturale vissuto da Don Milani e che egli, con il suo tenace impegno, volle condividere con tutti i suoi ragazzi. Fabrizio Borghini: Lorenzo Milani. Gli anni del privilegio È stato pubblicato il libro “La piccola italiana nella scuola del Duce a Molfetta” 18° volume della benemerita collana “Quaderni della Biblioteca Centro Culturale Audiutorium”. L'autore è Antonio Balsamo, illustre collaboratore di Quindici e del quale abbiamo già apprezzato vari articoli di storia e costume locale. Il Balsamo ha al suo attivo numerose pubblicazioni che spaziano dagli studi danteschi, nei quali ha interpretato in modo originale e innovativo il pensiero del somma poeta in contrasto con la critica tradizionale, a vari saggi letterari (è anche autore di una raccolta antologica di letteratura italiana). Con Giovanni De Gennaro ha curato uno studio sull'Università popolare molfettese e ha scritto anche un romanzo (Bella e maliosa estate). A conferma della varietà dei suoi interessi culturali, ha composto anche una pregevole silloge poetica che non ha ancora pubblicato, e i motivi francamente mi sfuggono. Il suo impegno, come si vede, è stato dedicato per lo più alla letteratura. Quasi come una novità appare quindi il libro che, dall'esame di cinque quaderni di alunne della scuola elementare di Molfetta, negli anni 1938 – 40, risale all'impostazione didattica della scuola nell'epoca fascista. I quaderni esaminati sono cinque, redatti due da Maria (5a elementare nell'anno scolastico 1938 – 39), due da Angela (3a elementare nel 1939 – 40) e uno da Anna (5° classe nel 1939 – 40). Confesso che quando l'autore mi accennò al suo intento di scrivere il saggio, ebbi delle perplessità. Non era il campione troppo limitato? Poi mi resi conto che punto centrale del lavoro non era il contenuto degli scritti di tre bambine, ma la metodologia usata dalle maestre per indottrinare le future donne fasciste, secondo i dettami del regime. Scrive infatti l'autore “Meno importante per il fine di questo lavoro (é) parlare delle scolare che hanno redatto manualmente le scritture dei cinque quaderni. Quello che veramente importa di loro è constatare il modo in cui venivano istruite”. Fossero stati i quaderni cinquanta o cinquecento, nulla sarebbe variato nell'analisi. Si sa che un regime totalitario (ad eccezione forse di Pol – Pot che usò metodi più spicci) tende per prima cosa ad ottenere il consenso tramite l'indottrinamento, sopratutto plasmando il pensiero dei più giovani. A tale regola non sfuggì il regime fascista. Così apprendiamo da Maria che la maestra “...ci insegna ad amare il nostro Duce, ad amare il Re. C'insegna il rispetto alla Religione e obbedienza alle gerarchie dello Stato”. Commenta l'autore “Interessante la gradazione lessicale nei verbi e sostantivi esprivmenti le azioni e i sentimenti prescritti: amare le due persone poste ai vertici dello Stato... solo rispettare la religione (al regime e alla sua scuola non importava che la si amasse o la si obbedisse)”. Bisogna dare atto alle maestre di aver svolto il loro insegnamento non con fanatismo, ma con il massimo equilibrio possibile in un sistema politico teso al rimbambimento dei cervelli. Ad esempio, scarso interesse viene effettuato nel controllare che le bambine apponessero, accanto alla data tradizionale, quella imposta dal fascismo decorrente dalla marcia su Roma, forse perchè le stesse maestre si rendevano conto della stupidità della doppia datazione. Concisione e chiarezza, qualità che raramente si trovano abbinate, caratterizzano la presentazione del libro da parte del presidente del Centro Culturale “Auditorium” Damiano d'Elia. Il libro è di gradevole lettura, scorrevole nella forma, interessante per i riferimenti storici sia nazionali che locali.
Autore: G. P.
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