MOLFETTA - È ripresa l’infaticabile attività del Centro Culturale Auditorium, alla presenza del presidente, prof. Damiano d’Elia, e di don Franco Sancilio, che hanno salutato il numeroso pubblico e invitato alla partecipazione a quello che si preannuncia già come un calendario associativo brulicante di affascinanti manifestazioni, dal Febbraio lirico ai concerti di pianoforte (e altri strumenti musicali), dalle letture poetiche alle performance teatrali. Nel corso della serata, il presidente del Centro Culturale Auditorium non ha mancato di ricordare ai convenuti il compianto giornalista prof. Michele de Sanctis, recentemente scomparso, e di rammentare una figura cara al cuore di ciascun molfettese, mons. Antonio Bello.
Ad allietare ed emozionare i presenti l’esibizione alla voce e alla chitarra classica dell’italo-egiziano George Farah (nella foto con Matilde Bonaccia), artista versatile, che, recentemente, ancora su iniziativa del Centro Culturale Auditorium, aveva deliziato il pubblico molfettese con un suggestiva e raffinata esposizione sulla tematica della femme musicienne, scandagliando dottamente l’universo delle relazioni tra Donne e musica.
Il pittore-musicista si è cimentato con l’esecuzione di un elegante repertorio che spazia da Brel alle grandi icone dell’impegno civile (Dylan e Baez), dalla latina Bamba (eseguita con la divertita leggerezza di chi ricusa il ruolo di marinero, dichiarandosi capitano) ad altri, memorabili, classici, soprattutto della musica francese e italiana. Importante l’ausilio dell’attrice Matilde Bonaccia, che, alternandosi al canto di Farah, ha declamato le traduzioni di alcuni testi in lingua straniera. La Bonaccia ha eseguito il compito con la sensibilità e la sobrietà che la caratterizzano: ci piace segnalare la sua interpretazione di Where Have All the Flowers Gone, evergreen della musica folk, composto da Seeger e condotto al successo dalla Baez. Si tratta di uno struggente ubi sunt? che inneggia alla pace, suscitando il rimpianto delle tante giovani vite recise dalle guerre.
George Farah si distingue per la capacità che ha di coniugare la melanconia da chansonnier con una deliziosa ironia, doti tipiche di chi, pur conoscendo bene il male di vivere, comprende appieno la necessità di addolcire ogni cosa con il miele salutare della leggerezza.
Momento clou della serata l’esecuzione, con traduzione, di un brano in lingua araba intriso di poetica Sehnsucht. Complice Gibran, la meditazione si sofferma sullo straordinario potere della musica: nel canto è racchiuso il segreto dell’immortalità; “il gemito del flauto permane dopo che svanisce l’esistenza”. E si sprigiona pura magia, grazie alla dolceamara intensità della Bonaccia, alla musicalità dell’arabo che risuona in tutta la sua nobiltà e all’ipnosi di un canto ch’è triste e al contempo alato.
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