La muraglia “bene comune”, contro la chiusura degli spazi pubblici a Molfetta
Il sit in sulla muraglia
MOLFETTA - Domenica scorsa, a partire dalle 20, un comitato di cittadini ha “occupato” in maniera simbolica la muraglia di Molfetta, che ha ospitato per una sera performance di artisti e un confronto a proposito dell’ordinanza che vieta l’accesso alla muraglia stessa a partire dalle 23.
In particolare, l’oggetto della contestazione del comitato è costituito dall'ordinanza sindacale n 11124 del 19/02/19, che comporta la riduzione di stazionamento serale sulle scalinate del Calvario, di Via Ugo Bassi, della Villa Comunale e la riduzione d'accesso alla muraglia di Molfetta, la determina dirigenziale n 916 del 02/08/19 che porta la presenza di due guardie armate disposte all'ingresso del bene pubblico Muraglia dal 20/07/2019 al 29/09/2019, al costo di 21.650 euro.
L’obiettivo più generale del comitato, allora, è la difesa degli spazi comuni contro i tentativi di privatizzazione giustificati in base alle esigenze di sicurezza e di decoro.
In questi giorni è stata pubblicata su alcune testate cittadine anche la nota di un residente del centro storico, la cui abitazione si affaccia sulla muraglia. Secondo quest’ultimo, la presenza di tanti giovani sulla muraglia “nelle ore notturne, rumorosa per forza di cose, diventa incompatibile con il vivere normale delle persone che hanno le abitazioni che si affacciano direttamente sulla Muraglia”. Allora, l’ordinanza del sindaco, “che stabilisce che la Muraglia da aprile a settembre è fruibile fino alle 23 per consentire il riposo alle persone che sulla Muraglia vi abitano, è molto equilibrata e tiene conto delle ragioni di tutti”.
È forse opportuno fare qui alcune considerazioni. Sono tanti i luoghi pubblici della città popolati, nelle ore serali, da una movida rumorosa e, spesso, irrispettosa nei confronti dei residenti. Se fosse interdetto l’accesso a tutti gli spazi in cui si ritrovano i giovani, probabilmente avremmo un grande coprifuoco, con la riduzione della città a dormitorio.
La questione è forse un’altra. In un momento in cui l’amministrazione sostiene a gran voce la necessità di una conversione turistica della città, è necessario che ci si interroghi su quale modello di socialità incoraggiare negli spazi pubblici. Lo svuotamento dei quartieri non è sinonimo di quiete e tranquillità, ma di isolamento e degrado. D’altronde, la “rimozione” delle persone che turbano la quiete non può che favorire il loro spostamento in altre zone, magari meno in vista, senza costituire alcuna soluzione al problema.
Le politiche del decoro, da anni incoraggiate non solo a livello locale ma anche a livello nazionale, hanno proprio questa caratteristica: non dirigersi contro i problemi che causano il disagio sociale, ma rimuovere i soggetti il cui aspetto e la cui condotta cozzano con il contesto urbano in cui si muovono: mendicanti, squatter, migranti, consumatori di droghe e di alcool etc.
Il richiamo ai “beni comuni”, da parte del comitato che ha occupato la muraglia domenica sera, sembra indicare una possibile soluzione, che chiama in causa tutti i cittadini nella cura e gestione degli spazi che appartengono all’intera collettività. Non ci si può opporre al frastuono della movida notturna chiudendo pezzi di città, ma affermando un diverso modo di abitare gli spazi, in cui prevalgano il rispetto dell’ambiente e delle persone. Certamente i comportamenti devianti vanno contrastati, ma ciò vale in generale, non solo per un singolo quartiere o addirittura per una strada.
In questo quadro, certamente l’amministrazione ha delle grosse responsabilità: può decidere, ad esempio, quali esperienze e attività incoraggiare per strappare i luoghi all’isolamento e al degrado. Luoghi storici come la muraglia devono essere terreno di vita e di gestione condivisa, da parte di una cittadinanza responsabile che non consegni i luoghi comuni né al degrado ma neanche ad una movida che poggia esclusivamente sul consumo e sul frastuono. Non bastano nuovi hotel e nuovi locali a “creare turismo”: è invece importante fare un passo indietro, e provare a interrogarsi su quale modello di socialità promuovere, coinvolgendo i cittadini e rendendoli partecipi dell’immaginazione degli spazi e delle forme della vita in comune. Che è l’esatto contrario della chiusura degli spazi alla fruizione pubblica.
© Riproduzione riservata
Autore: Giacomo Pisani