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La meglio gioventù perduta in Russia Frammenti di storia
15 febbraio 2013

È stato Napoleone il primo a far morire in Russia migliaia di soldati italiani. A ritirata già iniziata, solo il 24 ottobre 1812 nell’epico scontro di Malojaroslavets, detto “la battaglia degli italiani”, per respingere i russi persero la vita circa 7.000 connazionali agli ordini del generale Domenico Pino. Altre migliaia di italiani morirono nel proseguimento della ritirata e in prigionia. Quasi altri 90.000 morti e dispersi in Russia li ha sulla coscienza Mussolini. Senza che l’alleato lo avesse sollecitato, il Duce aveva fatto sapere a Hitler che, in caso di conflitto con l’Urss, l’Italia avrebbe rivendicato l’onore di prendervi parte con sue divisioni. «Col cuore colmo di gratitudine», ma con la ferma intenzione di respingere l’offerta, in una lettera inviata a Mussolini il 21 giugno 1941, Hitler scrisse che in futuro non sarebbe mancata l’opportunità di esaudire la richiesta italiana «dato che in un teatro di guerra tanto vasto l’avanzata non potrà avvenire dappertutto contemporaneamente », e suggerì che «l’aiuto decisivo, Duce, lo potrete sempre fornire col rafforzare le vostre truppe nell’Africa settentrionale, nonché intensificando la guerra aerea e, dove sia possibile, quella dei sottomarini nel Mediterraneo». Mussolini, però, non se ne fece convinto e rinnovò l’offerta: «Sono pronto a contribuire con forze terrestri e aeree, e voi sapete quanto lo desideri. Vi prego di darmi una risposta». Hitler, suo malgrado, dovette accettare e Mussolini il 22 giugno si aggregò all’Operazione Barbarossa fatta scattare senza dichiarazione di guerra il giorno prima dal Fürher contro l’Urss. Così l’Italia, contro la volontà di Hitler, si trovò direttamente invischiata nell’urto fra i due eserciti più grandi che la storia dell’umanità avesse mai conosciuto: 3 milioni e 50 mila tedeschi e alleati da una parte e 4 milioni e 700 mila sovietici dall’altra. Il 10 luglio a mezzanotte partì da Verona il primo convoglio del Csir (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) composto dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere, cioè 60.900 soldati e ufficiali, poi saliti a 62.000 uomini, al comando del generale Giovanni Messe. L’11 agosto 1941 alla Pasubio toccò il primo scontro con l’Armata Rossa nella “battaglia dei due fiumi” (Dnjestr e Bug). Il 9 giugno 1942 Italo Gariboldi divenne il nuovo comandante delle truppe italiane in Urss. Fino ad allora l’Italia aveva avuto oltre 1.600 morti, 400 dispersi, 5.300 feriti e più di 3.600 congelati. Scomparve il Csir e nacque l’Armir (Armata Italiana in Russia), formata dall’8a Armata italiana, articolata in II Corpo d’armata, XXXV Corpo d’armata (ex Csir) e Corpo d’armata alpino. In tutto poco meno di 230 mila uomini. In mezzo a questo cambiamento e incremento di soldati inviati sul fronte russo, a partire dal 4 giugno 1942 vi fu pure la partecipazione di una flottiglia italiana di sommergibili e di Mas ad azioni belliche in Mar Nero, e, dopo il 22 giugno, l’impiego di 4 Mas italiani sul Lago Ladoga a fianco della Marina finlandese. In questo ampio teatro di guerra, non meno di 44 molfettesi (per nascita o residenza) persero la vita in Russia. Il primo di cui si abbia notizia è il marò ventunenne Giuseppe Leonardo Abbattista di Domenico e Marta Vendola, deceduto il 20 agosto 1942. Sul fronte del Don, presso il caposaldo di Jagodnij, il 4 ottobre 1942 morì il fante ventenne Mauro Catanzaro di Damiano e Teresa De Candia, il cui corpo fu recuperato e poi sepolto a Molfetta. Il 5 ottobre perì il soldato ventenne Francesco Ranieri di Raffaele e Maria Giuseppa Vernice, ma s’ignora il luogo della sua sepoltura. Il 9 novembre morì in Moldova il soldato ventisettenne Domenico Caradonna fu Antonio, la cui salma fu rimpatriata e sepolta a Molfetta. Il 19 novembre 1942 con l’Operacijâ Uran (Operazione Urano) iniziò la controffensiva russa sul Don, durante la quale i sovietici ruppero il fronte della 3a Armata romena e della 4a Armata tedesca. Era l’inizio della catastrofe. Il 22 novembre due colonne sovietiche si ricongiunsero a ovest di Stalingrado e intrappolarono in una sacca la 6a Armata tedesca. Nei combattimenti presso il Don, tra i tanti, l’8 dicembre perì anche il soldato ventisettenne molfettese Michele Frisari di Luigi e Maria Buggi. Il 10 dicembre l’8a Armata italiana, composta da 220.000 soldati e 7.000 ufficiali, era dislocata “a cordone” su circa 300 chilometri di fronte. L’ala sinistra dell’Armir era saldata alla 2a Armata ungherese. L’ala destra era contigua alla 3a romena, un’armata ormai vicina all’annientamento totale. La densità in linea era di una divisione italiana ogni 30 chilometri, un uomo ogni sette metri. Dopo una serie di attacchi preliminari di logoramento, sferrati a partire dall’11 dicembre, i russi il 16 dicembre lanciarono l’Operacijâ Malyj Saturn (Operazione Piccolo Saturno) con l’impiego di aerei e carri armati pesanti per una manovra a largo raggio contro la debole ala destra della 3a Armata romena e il II Corpo d’armata italiano, formato dalle divisioni Cosseria e Ravenna prive di mezzi corazzati e di armi controcarro. La difesa dell’Armir traballò. Il 18 dicembre morì il geniere ventiquattrenne Mauro Livolsi di Emanuele e Carmina Marzocca. Il 19 dicembre punte corazzate russe, con una manovra aggirante, raggiunsero le lontane retrovie italiane, occupando Kantemirovka e combattendo a Certkovo. Il 19 dicembre persero la vita la camicia nera Mauro Abbattista fu Angelo e di Maria De Virgilio, di 33 anni; i bersaglieri Pasquale De Vanna di Gioacchino e Marta Maria De Gioia, di 21 anni, Antonio La Forgia fu Pietro e di Maria Nicola Altomare, di 21 anni, e Damiano Samarelli di Mauro e Lucrezia Chiarella, di 20 anni; il caporal maggiore Felice Mastrofilippo di Nicolò e Vittoria La Rocca, di 22 anni; il soldato Raffaele Porcelli di Sebastiano e Rosa Mastrofilippo, di 20 anni, e il mitragliere Giuseppe Raguseo di Onofrio e Marta Maria La Grasta, di 32 anni. Altri due ventenni, il soldato Giuseppe Salvemini di Salvatore e Carmela Tridente, e il bersagliere Vincenzo Breglia di Mauro Luigi e Giulia Belgiovine, furono dichiarati irreperibili, il secondo a Konovalov (o Konowaloff). Il 20 e il 21 i russi completarono l’attacco: i due bracci corazzati che avevano spezzato il fronte della Ravenna e della 3a Armata romena chiusero la tenaglia a Digtevo. Cominciò allora la ritirata italiana verso sud-est su due colonne: la prima formata dalle divisioni Ravenna, Pasubio, 298a germanica e Torino a nord; la seconda da aliquote della Pasubio e dalle divisioni Celere e Sforzesca a sud. La temperatura era scesa a 30 gradi sotto zero. Dal 21 al 23 dicembre tra Arbusovka e Certkovo infuriarono scontri di indicibile durezza. Il 24 dicembre 1942 la prima colonna italiana, chiusa nella conca di Arbusovka, riuscì a spezzare l’accerchiamento sovietico, ma il 26 parti della Pasubio, della Torino e della 298a germanica rimasero accerchiate a Certkovo. In questi terribili frangenti il soldato ventenne Antonio Vitale, nato a Giovinazzo da Nicola e Isabella Lasorsa, morì il 24 dicembre, mentre il tenente molfettese trentunenne Mauro Magrone di Luigi e Innocenza Magrone, si coprì di gloria con la 65a Sezione panettieri della divisione Torino, la quale, dopo aver sostenuto aspri combattimenti il 21 dicembre sulla riva sinistra del fiume Tichaja, lottò disperatamente per uscire dalla conca di Arbusovka. Ecco la motivazione dell’attribuzione della medaglia d’argento alla memoria: «Ufficiale di sussistenza, comandante di una squadra di panettieri, trovandosi, dopo duri combattimenti e fatiche, in località circondata dal nemico, assumeva in un momento decisivo il comando di duecento fanti raccolti sul posto, conducendoli vittoriosamente in ripetuti contrattacchi contro preponderante nemico, malgrado fosse già fisicamente menomato da congelamento agli arti inferiori. Ferito durante l’azione, rimaneva tra i suoi soldati, confortandoli ed incitandoli e, con essi, raggiungeva in un supremo sforzo di volontà, il successivo caposaldo, dove, appena giunto, decedeva». Spirerà l’8 gennaio 1943, a 31 anni, e in séguito sarà riesumato e sepolto nel Sacrario Militare di Cargnacco (Udine sud). Alla sua memoria è dedicata la Caserma di Maddaloni sede della Scuola di Amministrazione e Commissariato dell’Esercito italiano. Intanto, nella notte del 28 dicembre 1942 anche la seconda colonna italiana raggiunse le linee amiche oltre Skassirkaja. Le divisioni Tridentina, Julia e Cuneense del Corpo d’armata alpino, tuttavia, erano ancora schierate lungo il Don gelato. Il 29 dicembre perì il soldato ventinovenne Giuseppe Sciancalepore di Ruggiero e Crescenza Tatulli. Il ventottenne Domenico Strafile di Francesco e Rosa Balacco, camicia nera, fatto prigioniero, morirà il 14 gennaio 1943 nell’ospedale 1691 a Vol’sk, dove sarà sepolto. Il 5 gennaio 1943 il generale Gabriele Nasci segnalò al comando dell’Armir la grave condizione del Corpo d’armata alpino, chiedendo la sostituzione della Julia, che a sud del fiume Kalitva continuava ad assottigliarsi nel generoso tentativo di proteggere il fianco destro dello schieramento alpino. I congelati erano centinaia. Il 15 gennaio una ventina di carri armati sovietici irruppe su Rossoš’, sede del comando del Corpo d’armata alpino, che fu costretto a spostarsi a nord-est verso Podgornoje. All’alba del 17 gennaio il Corpo d’armata alpino risultava accerchiato e alle 10 ricevette dal generale Gariboldi l’ordine di ritirarsi a contatto con la 2a Armata ungherese, già in fase di ripiegamento. A sera la Tridentina e la divisione di fanteria Vicenza lasciarono il Don muovendosi verso Podgornoje. Anche la Julia e la Cuneense si diressero verso ovest, ma dovettero impegnarsi in duri scontri di retroguardia. Il 17 gennaio morì il sottotenente venticinquenne Giuseppe Poli di Matteo ed Ercolina Bozzetti. Il battaglione alpino L’Aquila, comandato dal 30 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 dal maggiore molfettese Gennaro Sallustio, nella furibonda lotta al quadrivio di Selenyj Jar ebbe perdite pesantissime nel contrastare e respingere i violenti attacchi sovietici per oltre dieci giorni fra il dicembre del ’42 e il gennaio del ’43. Dopo un mese di combattimenti, da 1752 soldati, 51 ufficiali e 52 sottufficiali, L’Aquila si ridusse a 163 alpini. Il 18 gennaio la situazione si aggravò, per farsi tragica nei giorni seguenti. Lunghissime colonne di uomini laceri e spossati si ritiravano in disordine. Molti furono i morti per congelamento. Il 18 gennaio spirò il soldato trentaduenne Antonio Calò di Domenico e Marta Modugno. Il 9° reggimento alpini della Julia, di cui facevano parte i resti dei battaglioni L’Aquila, Vicenza e Val Cismon, scrisse la sua epopea il 19 gennaio a Popovka e il 21 a Lessnišankij al comando del colonnello Fausto Lavizzari. Qui, nel disperato tentativo di spezzare l’accerchiamento dei carri T-34 e delle truppe sovietiche, il 9° fu annientato presso un kolchoz. I superstiti vennero fatti prigionieri. Il maggiore Gennaro Sallustio, già decorato con due medaglie d’argento e una di bronzo guadagnate in Albania, si meritò una nuova medaglia d’argento, che gli sarà assegnata alla memoria nel 1956 con questa motivazione: «durante aspro ripiegamento, manteneva salda e combattiva la compagine dei propri reparti. Incaricato di conquistare forti posizioni che precludevano il movimento alla colonna, superava d’impeto numerosi sbarramenti di fuoco e impegnava furioso combattimento a distanza ravvicinata. Circondato e contrattaccato da forze enormemente superiori, continuava alla testa dei superstiti del suo battaglione a contrassaltare fino a che, esaurite le munizioni, travolto dalla strapotenza avversaria, scompariva nella mischia». In realtà, col favore delle tenebre, il maggiore Sallustio e il tenente Giovanni Battista Zannier, suo aiutante maggiore, riuscirono a fuggire in groppa a due cavalli ungheresi. Poi, per non essere individuati, proseguirono a piedi lontano dalla pista, finché non raggiunsero il villaggio di Gaidukov, presso Podgornoje. Rifugiatisi in un’isba vuota del villaggio con un principio di congelamento ai piedi, il 23 gennaio furono catturati dai russi. Trasferito nell’ospedaletto della Tridentina a Podgornoje, il maggiore si tolse i gradi per diventare infermiere su proposta di un ufficiale medico italiano, ma fu scoperto dai russi e portato via. Il 26 Sallustio si trovava in una colonna di prigionieri italiani in sosta a Kantemirovka. Sarà internato nel lager di Oranki, campo n. 74, dove morirà di stenti il 28 marzo 1943, a poco meno di 44 anni. Alla sua memoria è intitolata la locale Sezione Combattenti e Reduci e una strada di Molfetta. Frattanto, mentre la Julia e la Cuneense si sacrificavano nella difesa, la marcia dei disperati in ritirata continuò fino al 25 gennaio. In questa data perirono i soldati ventenni Michele Corradi di Corrado e Maria Rosa Rotondella, Donato De Palma e Luigi Pronipote di Vincenzo e Rosa Sancilio, nonché il fante ventunenne Gennaro Minervini di Ignazio e Francesca Caradonna. Alle 12 del 26 gennaio cominciò la battaglia di Nikolajevka. Una massa di 30.000 sbandati si riversò sul villaggio, guidata dalla Tridentina, l’unica divisione italiana ancora in grado di combattere, poi riuscì a proseguire. Tra i tanti, morì in quel giorno anche il fante ventenne Antonio Silvestri di Luigi e Cecilia Salvemini. Il 28 gennaio i resti piagati della Julia, della Cuneense e della Vicenza si arresero a Valujki. Il 31 gennaio la Tridentina raggiunse finalmente gli avamposti mobili tedeschi. A Šebekino, laceri ed esausti, gli alpini sfilarono di fronte al generale Gariboldi. Erano usciti dalla sacca circa 20.000 italiani e circa 16.000 tedeschi e ungheresi. Ma in quelle steppe gelate si continuava a morire. Perirono in quel giorno il caporal maggiore ventiseienne Vito Capurso di Cosmo Damiano e Maria Giuseppa Minervini, in forza al 278° reggimento di fanteria della divisione Vicenza, il soldato ventisettenne Mauro De Candia di Onofrio e Maria Giovanna De Pinto, dello stesso reggimento, e il caporal maggiore ventiseienne Damiano D’Elia di Pasquale e Carmela Marzocca. Ma non ci si poteva ancora fermare. La Tridentina proseguì a ovest per altri 700 chilometri per raggiungere il punto di raccolta di Slobin, in Bielorussia, mentre le divisioni Ravenna e Cosseria dovevano dirigersi a Gomel. Con i giorni del disgelo si contarono i morti e i dispersi della ritirata. In aprile l’Armir cominciò a rimpatriare. In maggio tornarono in Italia anche i resti della Ravenna e della Cosseria. La “campagna di Russia” era costata agli italiani 26.115 morti, 63.684 dispersi e 43.166 feriti e congelati. I prigionieri furono all’incirca 70.000. Se 10.000 circa furono liberati nel 1946, nei campi di prigionia sovietici morirono ben 60.000 italiani. Tra questi vi furono anche molfettesi di nascita o residenza, come il soldato ventunenne Angelo Losito di Domenico e Rachele Altomare, deceduto il 10 marzo 1943 nel campo n. 160 a Suzdal’; il capitano medico chirurgo ventottenne Enzo Gaetano Facchini fu Francesco Saverio e di Laura Leotine, del 277° reggimento di fanteria della divisione Vicenza, morto nel campo n. 62 a Nekrilovo il 12 marzo successivo; il bersagliere ventiquattrenne Bentivoglio Giovanni di Raffaele e Nunzia Triggiani, spirato a Tambov il 13 marzo e lì sepolto; il soldato trentenne Domenico Noviello, nato a Bari da Francesco e Anna Aniello, deceduto 16 marzo e sepolto ad Akbulak; il soldato ventenne Paolo Farinola, nato in Turchia dal molfettese Antonio e da Barbara Patrinos, morto il 18 marzo nel campo n. 56 a Uciostoje (Kobotovo); il marinaio ventiduenne Corrado De Candia di Corrado e Giulia Altamura, scomparso il 22 marzo; il militare ventenne Tommaso Pasquale Panunzio, morto il 15 aprile; il soldato ventunenne Giammaria De Palma di Pasquale e Maria Maddalena Vitulano, deceduto il 5 settembre; il soldato trentenne Luigi Lo Basso di Giovanni e Angela Maria Azzollini, perito il 6 settembre 1943. L’8 settembre 1943 morirono in Russia altri tre molfettesi: il soldato ventitreenne Giuseppe Altamura di Ignazio e Maria Secondino, il militare ventenne Francesco Cuocci di Nicolò e Isabella Valente, e il soldato ventenne Leonardo Miranda di Pasquale e Maria De Virgilio. Invece il molfettese acquisito Teodoro Tomasicchio, 2° capo furiere di 30 anni, nato a Brindisi da Onofrio e Angela Diana, spirò il 26 giugno 1944 a Glubokoe in Kazakistan. Sarà poi sepolto nel Sacrario Militare di Cargnacco. L’anno dopo venne meno il sergente trentatreenne Raffaele Bentivoglio, internato a Rostov sul Don, deceduto il 15 aprile 1945 e sepolto a Taganrog. Era il fratello di Giovanni, morto due anni prima pure in Russia, simbolo della migliore gioventù italiana inutilmente perita in terra straniera per la smodata ambizione di uno sconsiderato dittatore.

Autore: Marco I. de Santis
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