La mediazione della Regione Puglia sulla vicenda degli Ogm
BARI – 23.10.04
A quante lotte abbiamo assistito sugli Ogm (Organismi geneticamente modificati)? Gli organismi sempre più popolari che alcuni hanno chiamato “il cibo di Frankestein”, mentre altre Organizzazioni (come ad esempio la FAO) hanno promosso come alternativa valida per combattere la fame nel mondo. Di Ogm sentiremo parlare ancora per molto, o almeno finché il tanto atteso decreto sulla coesistenza tra Ogm e agricoltura convenzionale, non riesce ad essere discusso dal Consiglio dei ministri, per poi passare in Parlamento.
Dopo una settimana di ordini del giorno rimodulati e Preconsigli in cui sembrava quasi certa la discussione del decreto, ecco che riprendono a farsi avanti le polemiche e i dubbi sulla natura del provvedimento. Le ragioni di un simile decreto vanno verso la scelta della tutela dell'agricoltura italiana, proprio per evitare una contaminazione diffusa che colpisce i nostri consumatori. Ovviamente non si è certi di una sua approvazione, dopo la Conferenza Stato Regioni e gli emendamenti introdotti.
Ma per molte Regioni, ed in primis per il ministro delle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, il decreto con le recenti revisioni è effettivamente stato reso più flessibile. Per partire con le coltivazioni di organismi geneticamente modificati, infatti, non sarà necessario aspettare che tutte le Regioni abbiano approvato la propria legge. Ma sarà sufficiente definire regole e firmare accordi con gli enti locali confinanti.
Ma sarà vera l'equazione comune “biologico uguale naturale” o anche “naturale uguale sano”? Oggi per tutti mangiare sano è difficile e richiede da parte delle autorità competenti controlli e verifiche precise. C'è da dire che anche pesticidi, erbicidi, fertilizzanti e solfato di rame e piretro sono sostanze usate in agricoltura che hanno effetti dannosi sulla salute.
Ma quello che molti difendono è il principio: regolamentare la coesistenza tra Ogm e agricoltura convenzionale significa altresì distinguer una politica italiana che va in senso contrario a quella dell'Unione, che di recente ha invece approvato le colture Ogm.
Ma la coesistenza non potrà anch'essa portare alla contaminazione? Il provvedimento, a tal punto, cerca di mettere insieme le ragioni di entrambe le parti, e lo fa garantendo le necessarie tutele ai territori che fanno la scelta di non introdurre le colture geneticamente modificate. Per la Regione Puglia, un contributo conciliatore molto importante alla vicenda è venuto dall'assessore all'Agricoltura, Nino Marmo (nella foto), anche nominato dal ministro Alemanno coordinatore ufficiale degli assessori regionali al settore a proposito del decreto in oggetto.
Il decreto Alemanno, dimostra che chi opera a stretto contatto con il territorio può avere risoluzioni più appropriate di chi affronta le questioni solo teoricamente. Il fine ultimo deve essere quello di evitare la contaminazione delle colture tradizionali e la distruzione del patrimonio di biodiversita.
Perciò la Puglia ha legiferato per prima ed ha bloccato la contaminazione del territorio, in attesa che la ricerca scientifica sia in grado di garantire la coesistenza fra i due diversi tipi di coltivazione. La ricerca deve procedere liberamente, ma altrettanto liberamente deve sopravvivere l'agricoltura tradizionale e deve essere assicurata la scelta del consumatore attraverso la dichiarazione dell'origine e l'etichettatura trasparente.
Una questione che riveste grande importanza per la difesa dell'identità della Puglia e dell'Italia intera. L'assessore Marmo, ricorda che “il divieto per gli organismi geneticamente modificati nei campi pugliesi risale al 25 novembre 2003, quando il Consiglio regionale ha approvato il provvedimento”.
Da allora in Puglia la coltivazione di piante e l'allevamento di animali geneticamente modificati è consentita, ma solo ad enti di ricerca, in terreni opportunamente attrezzati e isolati, previa autorizzazione della Regione. Le piante transgeniche non vengono coltivate nei terreni demaniali e gli agricoltori che utilizzano Ogm non possono accedere alla certificazione di qualità. In questo modo dovremmo essere tutti protetti dagli eventuali rischi di tecniche sperimentali le cui ricadute sull'ambiente non sono state ancora verificate scientificamente.
Il territorio, la sua identità agroalimentare e il ricco patrimonio genetico sono così preservati da effetti indesiderati, a tutto vantaggio della sicurezza alimentare dei cittadini.
Lucrezia Pagano