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La liberazione dei molfettesi ostaggi dei pirati. Le mogli: pagato il riscatto? La verità non si saprà mai
"Non sappiamo se i nostri mariti sono stati maltrattati, ma sono dimagriti molto". L'amministrazione comunale annuncia festeggiamenti pubblici. Le donne: noi preferiamo festeggiare in famiglia
11 agosto 2009
MOLFETTA -
“Non sappiamo se è stato pagato un riscatto, mio marito non mi ha detto nulla, ma è difficile che in questi casi si possa sapere la verità. Del resto, a me non interessa nulla di queste cose, sono fatti politici, io sono contenta che mio marito sia stato liberato e stia tornando a casa”, è visibilmente commossa la signora Susanna De Bari, moglie del cuoco Filomeno Troilo, 50 anni, uno dei due marittimi di Molfetta rimasto 4 mesi prigioniero dei pirati nel golfo di Aden, in Somalia. “Ieri mattina quando l'ho sentito, è stata la prima volta che non ha pianto. Ma ero sicura che sarebbe tornato, del resto me lo aveva preannunciato lui stesso qualche giorno fa, dicendomi che la trattativa era ad una svolta e si stava concludendo felicemente e per questo ringraziamo il governo italiano che ci è stato vicino, come anche l'amministrazione comunale di Molfetta. Ho detto a mio marito che era diventato nonno per la quinta volta ed è stato felicissimo, quando torna potrà vedere questo nipotino che non conosce”. (nella foto, da sinistra: la signora Troilo, la figlia con neonato, e la signora De Bari). Alla conferenza stampa sulla liberazione dei marittimi della nave Buccaneer ostaggi dei pirati somali, improvvisata nello studio privato (perché non è stata preferita una sede istituzionale? ndr) del sindaco di Molfetta, sen. Antonio Azzollini (assente per altri impegni), era presente anche la figlia della signora De Bari con il neonato fra le braccia, mostrato orgogliosamente alle telecamere, con la speranza che anche il nonno riesca a vederlo da lontano. Anche Maria Begonia Gonzales, moglie del direttore di macchina, Ignazio Angione, è soddisfatta per la liberazione del marito, ma non sa nulla del riscatto. “So che gli hanno rubato tutto, dal computer ai vestiti, ma non importa, quello che conta è che sia vivo e torni a casa. E' terminato un incubo. Appena ho sentito la sua voce, è svanito tutto, anche i cattivi pensieri e i dolorosi ricordi dell'angoscia di questi mesi. Tutto dimenticato: Ignazio è libero e torna alla sua famiglia”.
Le due mogli si mostrano sorridenti ai fotografi e alle telecamere, ma appaiono molto provate. Dai loro volti traspare lo stress di questi 4 mesi di angoscia: notti insonni, pianti di disperazione, ma anche speranza che non le ha mai abbandonate. E tante preghiere. Ha pregato anche la comunità religiosa molfettese, come ha detto don Giuseppe De Candia, parroco della Chiesa di San Gennaro e delegato diocesano per gli emigranti. Intanto continua la polemica sul riscatto che sarebbe stato pagato per la liberazione degli italiani. Il ministro degli esteri Frattini e Silvio Bartolotti, general manager della Micoperi, l'azienda di Ravenna proprietaria del rimorchiatore, negano che sia stata pagata alcuna somma. Uno dei pirati (che si sono dotati perfino di un ufficio stampa e di un portavoce), invece, avrebbe affermato: «Abbiamo preso un riscatto di 4 milioni e abbiamo liberato il rimorchiatore italiano che è già partito». E Andrew Mwangura, coordinatore del gruppo marittimo regionale "East African Seafarers Assistance Programme" ha parlato di un riscatto di 5 milioni. «Ieri sera stavano contando i soldi» ha riferito.
In questi casi la verità, come dice la moglie del marittimo molfettese, difficilmente viene a galla (il ministro Frattini ha ringraziato la stampa per aver osservato un utile silenzio che ha agevolato le trattative, ma ora sarebbe il caso che il governo dica tutta la verità su questo sequestro): è impensabile che gente senza scrupoli possa aver rilasciato gli ostaggi senza che sia avvenuto alcun blitz delle forze speciali, né pagato un prezzo. Certamente, dopo tanti mesi, i pirati avranno abbassato le pretese, ma il riscatto rientra nella logica di queste vicende. Del resto anche in passato il governo Berlusconi aveva negato il pagamento di riscatti, ma fonti ufficiose avevano poi confermato l'esborso di consistenti somme di denaro.
Ma torniamo ai marittimi molfettesi (nella foto, un'immagine giovanile di Troilo), che con gli 8 compagni italiani e i 6 non connazionali, hanno vissuto questa drammatica esperienza sulla propria pelle, senza mai avere la certezza di tornare a casa e ora sono in navigazione verso Gibuti, dove arriveranno fra un paio di giorni, prima di prendere l'aereo che li riporterà dalle loro famiglie. Le due mogli hanno confermato che i due uomini sono dimagriti, non sanno se sono stati maltrattati, ma sicuramente hanno dovuto accontentarsi dei pochi viveri e della scarsa acqua che era a bordo. Anche per questo ci sarebbero stati casi di dissenteria e forse altre malattie.
“Mio marito soffre di diabete – ha detto a "Quindici" la signora Troilo – prendeva delle pillole quando mangiava dolci, ma durante il sequestro non ne ha sicuramente avuto bisogno”. La donna ha detto che non sa se il marito tornerà a navigare dopo questa vicenda: “io vorrei tenerlo qui, l'ho sentito molto scosso da questa esperienza. Naviga dall'età di 15 anni e non gli era mai capitato nulla di pericoloso. Vedremo quando tornerà a casa. Ora festeggiamo”. “Ma i festeggiamenti li faremo in famiglia, non vogliamo feste pubbliche”, ha aggiunto la signora Angione, dopo che il vice sindaco Pietro Uva e il presidente del consiglio comunale Nicola Camporeale avevano espresso la volontà di organizzare iniziative pubbliche per il ritorno a casa dei marittimi. Ignazio Angione, direttore di macchina ha sempre lavorato per la Micoper di Ravenna, ma sulle piattaforme, non sulle navi mercantili, hanno detto a “Quindici” la signora Gonzales e sua figlia. Ma questa volta, a un anno dalla pensione, lo avevano chiamato per coprire un vuoto di organico e lui, a malincuore (“non voleva partire, quasi un presentimento”) ha accettato. E quell'unica volta, è stato colpito dalla sfortuna. Quando si dice il destino.
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Felice de Sanctis
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Rachele Terrassa
12 Agosto 2009 alle ore 00:00:00
Lasciamo le famiglie al loro dovuto e rispettoso merito ritorno alla vita, dopo questo lungo e doloroso evento. Non è l'ora e il momento di polemizzare. Alle famiglie. Godetevi l'evento nella più assoluta intimità privata. Non date adito a spettacoli da baraccone: sappiate essere riservati e non fatevi trascinare in apparizioni spettacolari feticenti. Date esempio in merito: siate un punto di riferimento di socialità educativa e civile.
Rispondi
tommaso gaudio
11 Agosto 2009 alle ore 00:00:00
Pubblici festeggiamenti? abominevole, è dir poco! Si avrà l'ennesima, ipocrita vetrina di personaggi che sgomiteranno per "vendere" una merce che non hanno nemmeno mai acquistato il sig Uva in primis). Abominevole!
Rispondi
mimmo stragapede
11 Agosto 2009 alle ore 00:00:00
Siamo contenti per loro, anche se si era capito subito che era solo una questione di soldi.- I marittimi poi difendono sempre l' armatore, come si fa con la mamma: d' altronde, per loro che non hanno la garanzia della stabiltà a quasi quarant'anni dallo Statuto dei lavoratori, il rapporto con la "compagnia" significa lavoro e tutto.- Le mogli soprattutto conoscono bene questa realtà perchè fra loro parlano, si conoscono, si incontrano e sanno la "fine" di quelli che sono stati "cacciati".- Quanto al resto, secondo me i lati oscuri sono molti: per esempio, che cosa trasportavano le bettoline e dove sono finite?
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