Il gruppo di Terre libere composto da Mario, Massimiliano, Giacomo, Julia, Rashida e Silvia ha condotto una interessante esperienza nelle piazze di Parigi con una lettura filosofica e la proiezione di un film. Per noi viaggiatori del nuovo millennio si è trattato di trovare nuova linfa, di ricevere nuova linfa, da quel viaggio abbiamo ricevuto nuova linfa, dopo gli scacchi e le umiliazioni subite. All’università non potevo più insegnare, il Liceo musicale R.Wagner l’avevano chiuso, Linea 5 non esisteva più, gli incontri in Avalon dopo l’estate non erano stati ripresi; compagni che erano andati via, anche le dee avevano voglia di proporre la propria identità, identità di scrittrici e di donne, la sublime identità di donne che avevano e che volevano far conoscere al mondo con il movimento delle donne. Si apriva davanti a noi un territorio deserto e solitario che solo la comunicazione letteraria e la poesia dell’incontro poteva riempire; sempre più durante il viaggio avevamo consapevolezza che se il rifugio nella propria solitudine avesse prevalso sarebbe stata la fine, il preludio della fine, quello che Silvie aveva descritto nell’altro libro con la lettura de La mort di Vladimir Jankélévitch. Tutti eravamo convinti che in quella prima fase del viaggio era stato elaborato un dispositivo teorico estremamente problematico che dal frammento all’idea, dall’idea al frammento, i frammenti che erano le nostre vite, metteva in gioco una prima fondamentale certezza che il romanticismo, l’assoluto letterario rimetteva all’avvenire. L’operazione che in passato avevano fatto Blanchot e Derrida, un problematismo assoluto, l’affidare la propria esistenza ai propri frammenti di avvenire e che tutti i protagonisti erano in grado di prefigurare attraverso le letture e i film che avrebbero dato. Alla Cité universitaire abbiamo letto La Grammatologia di J. Derrida e nelle tre serate l’abbiamo abbinata a tre film diversi Aguirre – Laguna blu - Un uomo chiamato cavallo. L’argomento può interessare anche qualche professore di filosofia per un uso didattico. Il tema della Grammatologia mi ha sempre affascinato e l’ho sempre proposto in molte varianti; il culto del primitivo, le isole felici, l’Eldorado, il paradiso perduto, il ventre della madre da cui siamo stati espulsi per finire in un mondo che non ci voleva e che ci ha sempre ignorato. Tutto questo abbiamo rappresentato quelle sere con la lettura della Grammatologia di J. Derrida. L’intellettuale con cui Derrida si confronta nel testo citato è J. J. Rousseau che per tutta la vita condusse un critica spietata nei confronti della società del suo tempo. L’ambigua relazione con la moglie-amante-matrigna (Mde de Warens), la critica della cultura e della scrittura occidentale, mostrano in modo intenso il suo rapporto lacerato con l’origine e l’affannosa ricerca dei supplementi. Il decadimento dei costumi, le trasformazioni nella pronuncia e l’imporsi progressivo della scrittura costituiscono gli aspetti concertati della civiltà moderna. 1Anche i due decenni trascorsi ( dal 1990 al 2013) sono stati una pericolosa rincorsa alla ricerca dei supplementi; nei costumi, nella pronuncia, nella scrittura. Lindi e pettinati, ben lustrati, a volte impomatati, con la bandana. Impomatati anche al lunedì, dopo la coda estenuante della domenica precedente ai caselli autostradali per il mesto rientro dalla passeggiata ai laghi. Il linguaggio demenziale mutuato dalla trasmissione del sa- 1 “Rousseau riunisce nella sua critica la degradazione dei costumi, la corruzione della pronuncia e il progresso della scrittura.” J.Derrida, op. cit., p.192 bato sera ha permesso perfino ai burocrati di mostrarsi simpatici con le segretarie, mentre la flessione meridionale inserita dai commenda nel loro vacuo sillabare mostrava ancora una volta che sui paria del Sud si può anche scherzare. La scrittura è stata sempre più affidata ai manuali di software integrato e la gestualità ridotta all’assurda, automatica digitazione. Anche Rousseau aveva prefigurato la fine, la morte del canto; nella spazializzazione della scrittura il canto come emersione della parola viva o rapporto con l’assoluto si spazializza in ritmia e scrittura. “Quasi che la finezza delle inflessioni e dell’accento orale non si prestassero già da sempre, sin dall’inizio alla spazializzazione, alla geometrizzazione, alla grammaticalizzazione, alla regolarizzazione, alla prescrizione – Alla ragione.”2 Ricondurre alla ragione, razionalizzare, irreggimentare, comandare. Le varianti morfologiche e noematiche hanno sotteso robusti processi di riorganizzazione politica, sociale e culturale sia nel mondo greco che nel decennio della solitudine e della indifferenza. La catena dei supplementi ha prodotto, la sostituzione del canto con la filosofia, l’instaurarsi della schiavitù al posto della libertà politica, il comando alla libertà di esprimersi, la superiorità del centro rispetto alla periferia, dei potenti rispetti agli emarginati.3 L’articolazione dell’asse Sud-Nord continua a sorvegliare l’analisi di Rousseau sull’origine delle lingue. Nel Sud sorsero prima i canti e le lingue d’amore, le lingua della passione, mentre la lingua del Nord nacque dal bisogno. “In terra meridionale i primi discorsi furono canti d’amore, in terra settentrionale la prima parola non fu amami, ma aiutatemi.” 4 Il luogo originario per la genesi della lingua è stato il mezzogiorno del pianeta dove il rapporto referenziale con gli oggetti è ancora saldamente istituito dal rapporto sentimentale, mentre le lingue settentrionali si articolano sin dall’inizio nella dimensione dello scambio. 5 Parlare per ottenere prestazioni, parlare per asservire, parlare per controllare, parlare per irreggimentare. Anche i comandanti degli eserciti piemontesi parlavano per colonizzare, come quelli della lega: vogliono affondare il Sud ricco d’amore e di fantasia, parlano per emettere verdetti, per selezionare, per normalizzare. La cooptazione nelle caste è effettuata sulla base della assimilazione del balbettio linguistico e i migliori sono quelli che balbettano più degli altri. Il Nord e la metropoli, il Nord è la metropoli. Il pensiero organico e le categorie totali permettevano una strategia dell’accerchiamento, dell’assalto al palazzo, della diffusione capillare del dissenso. Bisognava, invece, introdurre linguaggi rigorosamente referenziali che parlassero del quotidiano del- 2 J. Derrida, op. cit., p.230 3 “Si è trattato in ogni tempo di legittimare la sostituzione, al tempo stesso violenta e progressiva, della schiavitù alla libertà politica ( come libertà della parola viva), la dissoluzione della piccola città democratica e autarchica, la preponderanza dell’articolazione sull’accentuazione, la prevalenza della consonate sulla vocale, del settentrionale sul meridionale, della capitale sulla provincia.” J. Derrida, op. cit., p.230 4 J.Derrida, op. cit., p.228 5 “Il mezzogiorno è il luogo d’origine e la culla delle lingue. Pertanto le lingue meridionali sono più vicine all’infanzia, al non-linguaggio, alla natura. Ma al tempo stesso perché più vicine all’origine, sono meno pure; più vive, più animate. Al contrario le lingue settentrionali si allontanano dall’origine, sono meno pure, meno vivaci, meno calde. Si può seguire in esse il progresso della morte e del raffreddamento.” J. Derrida, op. cit., p.229 le metropoli, dei fatti delle metropoli, che fossero veicolati nelle metropoli. Le periferie dell’impero venivano sempre più a configurarsi come territori da riconquistare, da colonizzare, da ricondurre all’ordine e all’obbedienza. L’ultimo tentativo per un uso trasgressivo dello spazio urbano fu il movimento del ’77. Scemo! Scemo! Gridavano i ragazzi ai bonzi sindacali arrivati all’università di Roma per normalizzare. Scemo! Scemo! Si gridava nelle assemblee ai discorsi ben ritmati, intesi a fiaccare, persuadere, soffocare, a far morire. Volevano consegnare le generazioni alla solitudine, alla droga, alla pazzia, alla morte. La morte e il silenzio sono stati tenacemente perseguiti dai linguaggi dell’ordine e del comando, dai continui richiami alla compatibilità, dai persistenti subdoli inviti alla normalità. “Che cosa vuoi fare, le cose van così! Devi essere consapevole! Devi essere ragionevole! Bisogna avere pazienza. Sia nelle università che nei partiti bisognava rispettare le gerarchie”. Alberto Asor Rosa parlò delle due società, quella dei garantiti e quella dei non garantiti, degli esclusi; nelle università era in piedi il movimento dei precari e gli esclusi si misero a viaggiare per il mondo, alla ricerca di qualcosa da fare, di qualcuno da incontrare, di qualche rifugio, qualche sponda, mentre in Italia restarono i crumiri, quelli che hanno fatto carriera nei partiti, nelle accademie, nei giornali, nelle televisioni. Nel 2012/2013 gli esclusi sono ricomparsi in tutto il mondo con il movimento degli indignati, dei no Tav, occupy Wall Sreet, con il movimento delle 5 Stelle. L’istrionismo del loro leader, Beppe Grillo, non può inquinare il giudizio sulla creatività e sulla forte valenza alternativa di quel movimento. Il primo elemento da sottolineare è che si tratta di un movimento non violento: sono i nostri figli che ci rimproverano di non aver saputo garantire loro un futuro nel proprio paese, di aver permesso la scomparsa di intere università (circola la battuta che abbiamo perso la Statale di Milano, 60.000 studenti in meno iscritti all’università nel corso di dieci anni, mentre qualcuno si permette di creare la facoltà di Filosofia al San Raffaele di Milano!), di aver distrutto i percorsi formativi ad alto livello con la laurea breve, di aver completato l’opera di distruzione con il 3+2, di aver distrutto il territorio (Genova, Catania, le continue esondazioni), di aver permesso ad un comico come Berlusconi di governare l’Italia per un ventennio, di non aver proposto nel corso di vent’anni una narrazione credibile. Perché ogni invito alla ragione è dettato dall’istinto di morte, è un invito alla morte, alla morte della creatività e della fantasia; alla possibilità di poter dire “ci sono, esisto.” Perché il linguaggio del codice è la morte, il linguaggio seriale è la morte, il pensiero lineare è la morte. Il linguaggio nasce dalla passione, dalla possibilità di dire “ ci sono, esisto”. Quanto più una lingua tende alla articolazione, tanto più si rende disponibile al controllo, alla morte, alla scrittura. La scrittura controlla la parola che è la presenza, lo stare al mondo è un rapporto continuo con la morte; anche una parola non proferita è la possibilità di un evento, la possibilità di uno spiazzamento rispetto alle cose, alla catena degli eventi. Credo che abbiano paura del silenzio e per questo partiti politici e mass media invitano tutti continuamente a parlare. È meglio il silenzio, è una possibilità di spiazzamento! Ci è rimasto il linguaggio silenzioso dell’amore. “Il linguaggio silenzioso dell’amore non è un gesto pre-linguistico, è una eloquenza muta”. 6 Anche questo linguaggio hanno voluto controllare, irreggimentare, annullare. Hanno imposto la malattia del secolo l’AIDS, con il conseguente invito alla castità. L’amore è evento, l’amore deve essere evento! Per vivere, per non morire. Il linguaggio muto dell’amore ci restituisce al rapporto con il nostro corpo; dopo i sessant’anni è più fiaccato, più avvizzito, più stanco, ma è sempre là e vuol fare l’amore. Esiste una società della scrittura, una società della parola, una società del silenzio. Lo schema diacronico delineato da Rousseau può essere riferito ai due decenni passati, da quando lo scemo è sceso in campo. Per Rousseau la società della passione e del silenzio precede l’instaurarsi della parola che è il momento di annullamento e di controllo delle pulsioni e dell’amore. L’atto d’amore non ha bisogno di parole. La società desiderante, i soggetti desideranti non hanno bisogno di molte parole. Quando hanno cominciato a parlare sono stati catturati, una volta entrati nel gioco delle parole hanno decantato la possibilità dello spiazzamento e dello scacco. La parola, nell’ordine del comando sociale, non si presentava più come un rapporto con l’esistente o con la morte, ma come richiesta di prestazioni. In seguito è intervenuta la scrittura a normalizzare completamente i desideri e l’immaginazione sia nella forma del balbettio dei mass-media (gli Sgarbi, i Ferrara, i Sallusti, i Feltri) sia nelle forme seriali dei manuali di software e dei linguaggi calcolistico-formali. È meglio il silenzio – Hanno paura del silenzio! Il silenzio è lo spazio della decostruzione, l’ultima riserva in cui i diversi sono stati confinati. Il silenzio è il non- luogo. Per non essere catturati a parlare o a scrivere. Per questo se comincio a parlare ho i conati di vomito: la somatizzazione è intervenuta ad impedire di essere di nuovo catturato. Meglio il silenzio è una possibilità di spiazzamento. La metafisica della presenza ha assunto in questi anni degli aspetti sconcertanti; non era più possibile parlare della rifondazione dei saperi o della società, non era più possibile sognare né concedere spazi all’immaginazione. L’uso delle categorie totali veniva censurato in riviste, saggi e giornali, mentre si continuava a dare la caccia ai cattivi maestri e si proponevano frammenti di pensiero debole, il pensiero molle. I bravi discepoli dovevano strisciare davanti ai baroni, i figli dovevano seguire i codici normativi dei genitori, i portaborse dovevano rigorosamente rispettare le indicazioni dei capi-corrente. Non restava che andare alla ricerca del luogo della non supplementarità – il silenzio. “Tutti i luoghi non supplementari ( natura, follia, primitività, divinità, etc.) non hanno evidentemente alcun valore di verità”. 7 Essi costituiscono la pre-condizione del discorso veritativo, ne problematizzano il senso connettendolo al gioco dichiarativo della passione. La passione di continuare a scrivere e a pensare, la passione che ci fa rompere le catene del silenzio e ci fa uscire dall’isolamento. In tutti questi mesi nel dibattito politico ci sono stati tre grandi assenti, la cultura, la ricerca, l’università. Abbiamo più di centomila dottori di ricerca consegnati al mercato e nessuno se ne occupa. Stanno parlando dell’IMU. Destinare l’IMU già pagata per borse di studio per i dottori di ricerca? Nel ’77 il movimento dei precari, con l’aiuto dei sindacati, ottenne dei contratti nazionali per i giovani ricercatori in seguito trasformati in ruolo. Gli addetti ai lavori devono cominciare ad affrontare questi temi e attivarsi per un coordinamento nazionale di tutti i dottori di ricerca.