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La finestra
15 ottobre 2021

Avevano insistito affettuosamente per non lasciarmi sola, ma in realtà io volevo essere sola, avevo un piccolo programma tutto mio. Il momento era perfetto: l’aria mite del tramonto ormai prossimo, il luogo, uno slargo quasi una piccola piazza con un paio di panchine e una decina di alberi, quasi un boschetto che affiancavano “il palazzo”, il silenzio, completavano il tutto. Si erano arresi, anche mia sorella sempre chioccia con me e il gruppo degli amici della Associazione Letteraria di cui con mia sorella facevamo parte, tutti giovani, e chi non lo era all’anagrafe lo era nel cuore e nella attività intellettuale, si era diretto ad una meta non troppo distante ma a cui si arrivava attraverso un sentiero ripido e in salita, troppo per me. Sentivo allontanarsi le loro risate e le numerose citazioni letterarie e poetiche che erano il loro pane quotidiano e potetti finalmente estrarre il libro dalla borsa. Mi guardai attorno prima di aprirlo, non c’era nessuno, il “palazzo”, come lo chiamavano, era più o meno un rudere, una costruzione piuttosto imponente ad un solo piano, con un gran portone di ingresso e quattro finestre sulla facciata. Dicevano che all’interno c’erano solo calcinacci, e dopo le ultime incursioni dei ladri che avevano portato via non solo mobili e suppellettili, ma anche piastrelle, marmi e così via, ne era stato vietato l’ingresso e comunque di entrarci non aveva voglia nessuno. Circolavano strane voci, forse per tener lontani i ragazzi e dare una nota di colore allo scarso turismo locale. Una sola delle finestre aveva una bella inferriata, alle altre finestre forse erano state divelte. Il libro era un tascabile, molto datato ma in buono stato che avrebbe fatto la gioia della nostra Presidente, una bella donna, giovane e carismatica, che amava i libri un po’ consunti come questo, glielo avrei regalato. Ero già assorta nella lettura quando mi accorsi che qualcuno che non avevo sentito arrivare era seduto vicino a me: una donna bruna che indossava un semplicissimo abito nero coperto da un’ampia cappa rossa, erano tornate di moda e cominciava a rinfrescare. Mi sorrise: “Mi scusi se l’ho disturbata, era talmente immersa nella lettura che non mi ha sentito”. “Stavo rileggendo quella che per me è la più bella storia di fantasmi che abbia letto”. “Crede ai fantasmi?”, mi chiede con un risolino un po’ ironico. “Beh, sì”. “Le fanno paura?”. “Nooo! Le storie di fantasmi oltretutto le scrivo”. “Può raccontarmi quella che ha appena letto? Sempre che ne abbia voglia”. “Certo! E’ deliziosa, oltretutto brevissima. In un antico maniero in cima ad una collina brulla, bussa alla porta del grande portone di legno una vecchia signora: abito nero alla caviglia, cappellino con veletta, ombrellino orlato di pizzo, nastrino nero con cammeo intorno al collo. Apre un vecchissimo maggiordomo a cui lei chiede di visitare il castello. “Certo, signora”, risponde il maggiordomo con un sorriso e la guida nella visita. Quando la riaccompagna all’ingresso, la donna è evidentemente delusa: “Mi avevano detto che c’era un fantasma”. “Ma il fantasma è lei, signora!”, risponde il maggiordomo con un inchino”. La donna sorride e io le chiedo di scusarmi e vado incontro al gruppo che si avvicina, ridendo e declamando poesie. “Ti abbiamo lasciata sola!”, dice la Presidente, sempre affettuosa. “Ma non ero sola!”, sto per esclamare girandomi verso la panchina. La donna non c’è più, deve essere andata oltre il boschetto. Il Direttore Artistico del gruppo, medico, scrittore, drammaturgo e poeta, che mi conosce da moltissimo tempo, mi lancia un’occhiata indagatrice. “Ora dobbiamo andare, – dice la Presidente – felice che le abbia regalato il libro – abbiamo un bel po’ di strada da fare”. Il sole ormai basso, tramonta di fronte al “palazzo” traendo bagliori dai vetri rotti e polverosi delle finestre. Dietro una di queste una forma vaga, ma di cui si distingue chiaramente qualcosa di nero e di rosso alza una mano, come per salutarmi. Sollevo anche io un braccio. “Chi stai salutando?”, mi chiede mia sorella guardandosi attorno. “Ma no, mi sistemavo i capelli”. Si è levato il vento.

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