La didattica a distanza ha creato molti problemi ai meno abbienti
C’è stato un momento in cui si è temuto che a scuola i ragazzi non sarebbero più tornati, nemmeno per l’esame di Stato e che anche questo si sarebbe svolto a distanza come d’altronde accaduto per gli ultimi 100 giorni di lezione. E invece – stante le condizioni del Covid-19 in Italia – si è optato per poterli sostenere in presenza per quasi 500mila ragazzi. Un colloquio orale quello che hanno sostenuto i primi convocati in base alla lettera dell’alfabeto estratta e che ha visto via via sfilare tutti davanti ai commissari con le ansie e le paure che hanno sempre caratterizzato questo particolare momento della vita degli studenti. Di questo e molto altro ha parlato la prof.ssa Angela Scardigno – docente di lingua e civiltà francese presso l’IPSSAR di Molfetta– durante l’intervista rilasciata a “Quindici”. Come è stato affrontare la preparazione degli alunni attraverso la didattica a distanza causa Covid-19 in questi lunghi mesi? «Nessuno immaginava che l’interruzione dell’attività didattica sarebbe durata così a lungo. I docenti si sono lanciati in esperimenti di didattica a distanza senza linee guida di nessun tipo. È vero che siamo abituati a lavorare in condizioni non sempre facili e favorevoli, ma questa esperienza unica ci mancava. La didattica a distanza non ha fatto altro che evidenziare i punti deboli del sistema scolastico italiano, facendo capire a tutti quanto sia importante investire nell’istruzione. I ragazzi erano spaventati e la prima cosa, che gli insegnanti hanno fatto, è stata quella di creare immediatamente un legame per rendere possibile la continuità didattica. Sono stati utilizzati tutti i mezzi e gli strumenti della comunicazione come WhatsApp, Messenger e la posta elettronica, annientando così la privacy di tutti. Per le video lezioni, invece, abbiamo utilizzato piattaforme digitali come Zoom e Google Meet. Il canale della comunicazione, però, è stato messo a dura prova dai problemi legati al non saper utilizzare adeguatamente la tecnologia a disposizione. I nostri ragazzi, infatti, pur essendo “nativi digitali”, apparentemente abituati alla tecnologia, non sempre sanno usare in maniera proficua questo tipo di supporto. Inoltre le famiglie con più figli o meno abbienti, non sono state in grado di garantire gli strumenti necessari per la didattica a distanza. I problemi di rete e di connessione infine, hanno reso il feedback molto difficile. Ovviamente la frequenza degli alunni non è stata continua e si rifletteva in una realtà virtuale ciò che normalmente succedeva a scuola». Quali sono stati i pro e i contro? «La scuola è fatta di contatti. La denominazione stessa di DAD per me suona altisonante, è quasi un ossimoro. La didattica è contatto e non distanza. L’insegnamento è fatto di espressioni, di sguardi, di sorrisi o occhiatacce. Il tono della voce, i gesti sono i nostri strumenti. La didattica a distanza annienta tutto questo. La lezione, infatti, non è solo la meccanica illustrazione e spiegazione di contenuti, ma una finestra che si apre su un’infinità di sfumature. Questo, da casa, non è possibile. Paradossalmente però, la distanza fisica nel periodo di quarantena ha “riavvicinato”. Durante la DAD non esistevano più orari: la mattina si svolgevano le lezioni online, il pomeriggio si trasformava in un estenuante sportello didattico di informazioni sullo svolgimento di compiti che durava fino a tarda sera. Per non parlare delle correzioni infinte… il supporto non era solo scolastico. I ragazzi erano disorientati, avevano un continuo bisogno di essere rassicurati.
La DAD, utile e necessaria in emergenza, non può però funzionare a lungo e non può essere considerata del tutto positiva. Gli alunni hanno partecipato, ma ciò che a scuola è eseguito in maniera personale e fruttuosa, nella didattica a distanza si risolve, per la maggior parte degli alunni, nell’invio di compiti non sempre “personali”. Infatti l’aiuto dalle ricerche online è stata una prassi quotidiana, che ha trasformato così l’attività di elaborazione personale in una ricerca nel web». Quali le difficoltà maggiori per voi docenti e per i vostri ragazzi? «Credo che la difficoltà maggiore per tutti sia stata la gestione del tempo perché stando a casa, se ne perde la cognizione. Per i docenti soprattutto, il tempo trascorso al computer era interminabile: video lezioni al mattino, supporto nel pomeriggio e correzione degli elaborati fino a notte fonda, per non parlare della valutazione, in quanto bisognava restare obiettivi e considerare le difficoltà di collegamento internet. Infine ciò che ha reso incompleta l’azione didattica è stata la mancanza di partecipazione di alcuni alunni, completamente assenti». Come vi siete organizzati per affrontare al meglio gli esami di Stato? «Con le classi terminali abbiamo effettuato un numero maggiore di video lezioni. Insegnando una lingua straniera, nel mio caso il francese, è stato fondamentale l’ascolto. Per questo motivo ho inviato messaggi vocali con la lettura di brani o correzioni degli elaborati, ma anche riassunti e mappe concettuali, che potessero facilitare la memorizzazione dei concetti. Abbiamo anche simulato il colloquio per favorire la padronanza linguistica, tutto questo in video lezione e video call». Che tipo di supporto è stato offerto ai ragazzi per sopperire alla mancanza della normale routine scolastica? «Oltre al supporto morale, poiché i ragazzi avevano un continuo bisogno di essere incoraggiati, noi docenti abbiamo segnalato gli alunni che avevano difficoltà a collegarsi o che non si erano mai connessi per la mancanza di strumenti tecnologici. La scuola ha fornito loro pc in comodato d’uso, per garantire il diritto di tutti allo studio». Come si sono svolti quest’anno gli esami di Stato? «Gli esami di Stato si sono svolti in un clima molto sereno, complice la commissione tutta interna e solo il presidente esterno. È vero che uscivamo da una situazione di stress molto elevata, ma abbiamo comunque cercato, durante il periodo della didattica a distanza, di rassicurare i nostri ragazzi. Abbiamo tenuto conto del loro stato d’animo. Quest’anno per la prima volta proprio per l’emergenza Covid e il rispetto delle norme di distanziamento, sono state eliminate le prove scritte. Il candidato ha affrontato un colloquio orale di un’ora a partire da una discussione multidisciplinare, su un documento proposto dalla commissione, poi sulla presentazione dei percorsi PCTO e sulla cittadinanza e Costituzione, e infine due momenti di discussione hanno rimpiazzato prima e seconda prova (lettura di un brano antologico e commento e discussione dell’elaborato inviato per le materie di indirizzo)». Quali sensazioni e sentimenti hanno accompagnato i ragazzi in questo percorso? E rispetto agli anni passati ha notato delle differenze? «Gli esami spaventano tutti, anche i più preparati. È un’ansia normale e indispensabile per poter fare bene. Indubbiamente i ragazzi erano scoraggiati, l’isolamento e la mancanza di contatti li ha destabilizzati. Ho sentito più volte dire che si sentivano sfortunati. Il futuro intimorisce gli adolescenti, ma mai come in questo periodo ho avvertito il loro malessere. Abbiamo cercato nel possibile di rassicurarli fornendo loro gli strumenti necessari per affrontare gli esami di Stato preparati e soprattutto sereni». E anche per voi docenti come è stato non accompagnare fisicamente per mano i vostri allievi verso un traguardo così importante quale la maturità? «L’esame finale si conquista pian piano nel tempo, nel corso degli anni di scuola superiore. È un percorso faticoso. Indubbiamente la nostra presenza a scuola avrebbe reso tutto più semplice, ma come abbiamo imparato dagli ultimi avvenimenti tutto può cambiare quando meno uno se l’aspetta. Li abbiamo guidati anche se a distanza tenendoli non per mano, ma con il cuore e anche con qualche sfuriata a distanza!». Tirando le somme che cosa ha imparato la scuola - secondo lei - da questo periodo particolare? Ci sono degli spunti di miglioramento che potrebbero essere applicati per il nuovo anno scolastico come migliorie didattiche e/o organizzative? «La scuola non ha imparato nulla, ha solo urlato la necessità di una riforma totale. L’emergenza Covid ha dimostrato la fragilità di un sistema che non dà alcuna importanza all’istruzione. Nel “decreto rilancio” il governo ha stanziato 1,4 miliardi, cifra che dovrebbe servire a tamponare l’emergenza dopo il lockdown del 6 marzo. Io credo che questi soldi non siano sufficienti ad aumentare il numero di docenti, per non avere pericolose classi pollaio. Ritengo che la scuola debba adeguarsi alla digitalizzazione e fornirsi di strumenti come Lim, tablet, laboratori multimediali e classi virtuali. Noi docenti continueremo a formarci per restare al passo con la modernità e con l’innovazione tecnologica, applicata alla didattica. Anche gli alunni devono poter ricevere un’adeguata formazione tecnologica, per imparare ad usare almeno le funzioni base degli strumenti digitali, di cui ora sono sprovvisti. Spero di tornare a scuola, anzi voglio tornare, e continuare a ripetere una frase di Félicité Robert de Lamennais, che spesso dico ai miei ragazzi: “Le peuple ignorant est toujours plus facile à séduire et il obéit à la voix” ( Il popolo ignorante è sempre più facile da sedurre e obbedisce al potere). io © Riproduzione riservata