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La democrazia? Meglio la musica Prima seduta del consiglio comunale interrotta per correre al concerto celebrativo della maggioranza
15 luglio 2001

di Lella Salvemini Dalla prima seduta del nuovo Consiglio comunale, quello decretato dalle elezioni amministrative del 13 maggio, se ne viene fuori con almeno un paio di certezze, la nuova maggioranza di centro destra ama moltissimo la musica, al punto da preferirla all’esercizio della democrazia, e molto meno le donne, almeno quando si mettono in testa di fare politica. La minoranza? Fa la minoranza o almeno ci prova. Colpo d’occhio nella sala Carnicella Come sarebbero andate le cose nella seduta inaugurale del 6 luglio lo si è capito fin dall’inizio. Aula vuota, entrano i 9 consiglieri d’opposizione e quasi non se n’accorge nessuno. S’industriano a sistemare le sedie, a decidere l’ordine dei posti, ma sono e rimangono un gruppetto sparuto. La maggioranza invece si distingue per numero e colore. Un gruppone d’entusiasti, per lo più facce sconosciute non solo per la sala Carnicella, in quanto al primo mandato, ma alle vicende politiche di questa città, quasi tutti in abito scuro, stile “mio figlio fa la prima comunione”, compresa la consigliera Minuto, nera anche d’abbronzatura. Stesso look per il sindaco, completo grigio scuro ad un petto, camicia azzurra, cravatta gialla a piccoli disegni neri e, a rimembrare i manifesti elettorali, niente sorriso. Solo a sprazzi un piegarsi degli angoli della bocca rivela l’intima soddisfazione di chi realizza un sogno, di chi questa giornata l’ha preparata da anni e vissuta mille volte nella mente, anche se forse se l’era immaginata un po’ diversa. Il copione Ma procediamo con ordine. Letto il verbale della commissione elettorale sono ufficialmente insediati i 30 consiglieri comunali, poi vengono accettate le dimissioni di quelli nel frattempo nominati assessori e surrogati con i primi dei non eletti delle rispettive liste. Per la precisione le new entry sono Giuseppe De Bari e Mario Amato per “Forza Italia”, Giuseppe De Nicolò e Damiano De Palma per “Alleanza nazionale” e Riccardo Di Giovanni per “Il confronto”. Già sull’elezione del presidente del consiglio, secondo punto all’ordine del giorno, cominciano le scaramucce. Il copione sarà uguale per tutta la seduta, lo comunichiamo al lettore una volta sola per non tediarlo oltre il lecito. La minoranza prova a far sapere che c’è, chiede la parola, la maggioranza lo ritiene un atteggiamento decisamente seccante. Per le 20,30 è fissato in Piazza Municipio un concerto, proprio per l’inaugurazione di questa nuova stagione amministrativa, quasi si sentono gli orchestrali che accordano gli strumenti, perché perdere tempo quando c’è la musica immortale di Verdi che attende? Insomma, è come se dicessero, abbiamo vinto e in maniera schiacciante, non date fastidio e lasciateci lavorare. Eppure, proprio perché, visti i rapporti numerici, la minoranza più di tanto non può fare, sarebbe stato lecito attendersi un minimo d’eleganza, che i consiglieri d’opposizione li lasciassero almeno sfogare. Il povero, spero ci conceda l’aggettivo, Leonardo Lucanie, dei “Democratici”, uno dei tanti neofiti dell’assise consigliare, emozionato per il battesimo del fuoco, cerca in tutti i modi di farsi concedere la parola, ma è costretto a trattenere in gola l’intervento non si sa quanto accuratamente studiato. Problema che non hanno avuto i consiglieri di maggioranza. Sarà la timidezza da cui si è colti quando si tratta di prima volta ma, a parte Giuseppe De Bari di “Forza Italia”, nessuno che abbia osato chiedere di parlare, se non dietro precisa sollecitazione di Tommaso Minervini. Il quale, a porre rimedio a questa virginale ritrosia, non è restato che fare il sindaco, il suggeritore del presidente del consiglio e anche il capo della maggioranza, facendo dichiarazioni di voto a nome di questa. Dovrebbero pagargli gli straordinari, 21 consiglieri 21 nella sua coalizione, quelli che si definiscono in genere numeri bulgari, e dover faticare al posto loro! L’elezione del presidente del consiglio L’esigenza posta dell’ex candidato sindaco del Movimento Pugliese, Centrone, di un dibattito vero sul nome del candidato alla presidenza e alla vicepresidenza del consiglio, con la dichiarata disponibilità a votarlo, se personalità d’alto profilo, viene bollata come consociativista e la richiesta, sempre di Centrone, di 5 minuti di sospensione per poterne discutere, messa addirittura ai voti dall’impacciato Palmiotti, che come consigliere anziano presiede nel frattempo la riunione, e poi regolarmente respinta. Evento mai accaduto a memoria di Nunzio Fiorentini, ex presidente del consiglio, forte anche della sua quinta legislatura. Alla fine risulta eletto Giuseppe Amato, detto Pino, del “Ccd”, che raccoglie tutti i 21 voti della maggioranza. Stessi numeri per il suo vice, Giuseppe De Bari, detto Giusy, di “Forza Italia”. Non sono nemmeno sfumate le ultime parole del suo discorso d’insediamento, pezzo forte il “sarò al di sopra delle parti” di prammatica, con in aggiunta un promettente “tutte le forze politiche potranno dare il loro contributo” che il neo presidente deve rimangiarsele frettolosamente, pressato fra le richiesta di avere la parola dell’opposizione e i mica tanto velati richiami del sindaco, continuamente girato dalla sua poltrona a passargli consigli su cosa dire e a rimproverarlo al primo errore. E le donne? Si passa alla comunicazione della composizione della giunta da parte del sindaco. Il consigliere Sallustio solleva a nome dell’intera opposizione una questione d’illegittimità. L’articolo n. 30 dello Statuto comunale prevede che nella scelta degli assessori sia assicurata la presenza dei due sessi, mentre sono tutti maschi i sei nominati da Tommaso Minervini. Non aver rispettato questa norma renderebbe illegittimi gli atti finora assunti della giunta. Con una mozione si chiede che il sindaco ponga riparo a questa, chiamiamola così, svista, preannunciando in caso contrario denunce agli organi competenti. Le 20.30 fissate per il concerto verdiano si avvicinano sempre di più, e al fastidio per le regole di un dibattito democratico si è aggiunge quello per i diritti delle donne. Il sindaco promette genericamente che nel previsto allargamento della giunta si terrà conto anche della presenza femminile, anche se, a dire la verità, sembra maggiormente interessato a rassicurare i partiti della sua coalizione tagliati fuori da questa prima distribuzione di poltrone che avranno quanto promesso in campagna elettorale. Anche di questa mozione e in generale sulla comunicazione del sindaco dei nomi degli assessori la minoranza avrebbero voluto discutere. Esigenza che invece appare del tutto superflua, quasi offensiva, a Pino Amato, che dimentico delle promessa d’essere al di sopra delle parti, forte della migliore tradizione del “qui comando io”, non concede la parola a nessuno, soprattutto sulle comunicazioni. La mozione è respinta, con i 21 voti compatti della maggioranza, compreso quello di Carmela Minuto, evidentemente più sensibile gli ordini di scuderia che alla difesa dei diritti del suo sesso. L’autoincoronazione Nel frattempo si è creato un bel caos, il pubblico comincia ad accalorarsi. Venuto lì ad assistere al trionfo dei vincitori, trova davvero irritante che si perda tempo, e così urla, irrisione, battimani, senza intervento alcuno del presidente al di sopra delle parti. Anche l’accenno di sorriso scompare dalla faccia di Tommaso Minervini, che ora appare preciso a quello corrucciato dei cartelloni, magari un tantino più dinamico, visto che ad un certo punto, nel bel mezzo di un battibecco, fra il vociare del pubblico, senza nemmeno aspettare, come prassi, il via dal presidente del consiglio, decide di rompere gli indugi e farsi sindaco. Novello Napoleone, fa tutto da sé, si dà la parola, infila la fascia e pronuncia il giuramento di fedeltà alla Costituzione. Per uno che ha pregustato da una vita questo momento bisogna dire che se lo è concesso senza un minimo di solennità. Tutto per colpa di un benedetto concerto, ecco cosa vuol dire farsi travolgere dalla musica. Al punto tale da sospendere la seduta prima della discussione dell’ultimo e forse più importante punto all’ordine del giorno, quello delle dichiarazioni programmatiche. Il sindaco avrà pensato, ma sì, cosa cambia se quel che ho intenzione di fare, quel che sto già facendo, i cittadini lo conoscono una settimana prima o dopo. Tanto ormai comando io. Così, fatta baracca e burattini, espletata quel che in fondo è parsa solo una formalità, tutti in piazza a godersi la musica. Se il buon giorno si vede dal mattino non c’è davvero molto da stare allegri.
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Sono lusingata per il valore attribuito al mio parere sulla vicenda monumento al marinaio, pur non essendo io esperta né di monumenti né, ahimè, di marinai. Anche stupita che tale parere mi venga chiesto a due anni dall'inaugurazione. Ribadisco che la posizione di Quindici è quella espressa nell'articolo di Cosimo de Gioia che seguì la vicenda. Articolo di cui riporto degli stralci. “In questo caso, le contestazioni appaiono più mirate. L'opera fu scelta da parte di una commissione di esperti e preferita ad altri settanta progetti circa, presentati - da altrettanti artisti - in quello che fu chiamato “concorso nazionale per idee”. Una scelta che allo stesso tempo però, ignorava completamente i favori del pubblico molfettese a cui fu data la possibilità - attraverso una mostra nella Sala dei Templari - di esprimere le proprie preferenze con un voto. Si voleva evitare un altro caso Icaro. Tanto che, quelle preferenze - almeno nelle intenzioni iniziali - dovevano avere un peso non indifferente sulla decisione finale della stessa commissione. Evidentemente le cose sono andate diversamente, visto che fra le circa 1800 schede votanti, quella di Maraniello risultava la scultura fra le meno indicate. “Abbiamo preferito - ha piegato Pietro Marino, critico d'arte e componente la commissione - un'opera che non fosse solo un monumento, che non si limitasse a rievocare dei valori, delle tradizioni collettive, ma che fosse anche arte”. E a chi, come Gaetano Grillo - altro componente la commissione di esperti - ritiene che “non era un campione rappresentativo della popolazione” (riferendosi ai 1800 votanti), si potrebbe rispondere - con la stessa poco condivisibile logica - che nemmeno la commissione stessa, a ben vedere, potesse ritenersi depositaria esclusiva di tale capacità rappresentativa. Intendiamoci: non vogliamo contestare i contenuti stilistici dell'opera (che, anzi, a modesto parere di chi scrive sono apprezzabili); né si vuole discutere l'indubbio spessore artistico dell'autore, riconosciuto anche oltre confine. Sentiamo, tuttavia, di comprendere taluni motivi di perplessità, quando si passa alle procedure di scelta adottati.” Tutto chiaro?



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