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“La cura” al festival Germogli di Riso: tagliare i vermi, sciogliere il malocchio e guarire dal morso della tarantola, i rituali magici popolari
18 febbraio 2012

MOLFETTA - «La cura. Terapie, Riti e Magie nella tradizione popolare» è stato il secondo appuntamento del festival «Germogli di riso per un teatro fatto in casa», organizzato dal Teatro dei Cipis (Auditorium Regina Pacis). Protagonista la compagnia teatrale Fabulanova con la regia di Katia la Forgia (attrici e danzatrici Giulia Annese, Angela de Gennaro, Marika de Gennaro, Maria Luigia Grossano, Anna Paola Marzocca, Giulia Salvemini, Gisella d’Elia, Paola Sasso).
Ispirato alle tradizioni popolari meridionali e frutto di un interessante e attento lavoro di ricerca e studio, il tema di fondo de «La Cura» s'impernia sulla narrazione dei tre rituali popolari del con un entusiasmante e brillante linguaggio teatrale.
Diviso in tre momenti tematici ben correlati fra loro dall'intrinseco rapporto fra scienza ufficiale e scienza popolare al limite fra magia e superstizione, lo spettacolo ha saputo intrecciare, con pregevole stile scenografico, la performance teatrale di un cast tutto al femminile con i racconti “in video” (di Vincenzo de Pinto)di donne originarie del territorio pugliese che hanno narrato in prima persona le loro esperienze con un modus semplice ma di straordinaria sintonia. Il tutto è stato ben contemperato con l'armonioso accompagnamento della musica dal vivo (Massimo Caputo al tamburello, Menico Copertino alla fisarmonica, Nino Giacò alla chitarra, Annalisa Petruzzella e Maria Consiglia Salvemini al violino, voce Valeria Vangi).
Nella prima parte, intitolata «I vermi», si spiega come curare “lo spavento o la paura” con l'antico rito popolare del “tagliare i vermi”, eseguito dalle donne del tempo. Si narra colpisse soprattutto i bambini facendo crescere i cosiddetti “vermi intestinali”. La credenza popolare, infatti, racconta che per poter guarire il malcapitato, l'operatore, segnandosi tre volte e poi scoprendo l'ombelico del soggetto sofferente, disegnasse delle croci sulla pancia della persona malcapitata senza mai staccare il dito dalla pelle recitando in silenzio preghiere e/o formule e ripetendo poi il rito per tre giorni.
La seconda parte, intitolata «Gli occhi», è incentrata sul “malocchio”, che secondo le antiche credenze, si pensava nascesse dall'invidia, affezione che, unitamente all'amore, si manifesta attraverso gli occhi, essendo la sola in grado di dar luogo a desideri, immaginazioni e suggestioni. Con una frase incipitale tratta dal libro «Sud e Magia» del noto scrittore Ernesto De Martino, cui lo spettacolo si è ispirato, questa seconda parte spiega anche il rito da compiersi per scioglierlo.
Si tratta di un rituale praticato con acqua e olio versati in un piatto. Con la pronunzia di particolari “formule” e/o “preghiere” e con un susseguirsi di azioni fra il “malcapitato” e l'operatore, si dice si potesse, a seconda di come l'olio si spargesse, profetare non solo se il malcapitato avesse realmente il malocchio, ma anche chi fosse stato ad averlo causato, se un uomo o una donna, così poi da poterlo curare e scacciare.
L'ultima parte, infine, racconta il rito magico della “guarigione dal morso del ragno tarantola”. Intitolato «Il morso», ispirato al libro di De Martino «La terra del rimorso» e ambientato nel territorio salentino (luogo in cui affonda le sue radici il rito inscenato), si narra fossero le donne le più frequenti vittime della tarantola il cui morso provocava una condizione di malessere generale, interiore ed esteriore. Per guarire da questo status, si ricorreva a un rituale musicale, coreutico e magico: lo sfrenato danzare del malcapitato sulle note della pizzica salentina avrebbe dovuto esorcizzarlo e, dunque, curarlo dalla malattia.
Al di là della originalità del testo trasposto nella performance teatrale, è senza dubbio apprezzabile l'analisi introspettiva e socio-antropologica della commedia inscenata dalla compagnia Fabulanova. La scelta di raccontare la cura delle malattie e degli affanni della vita, mediante rituali magici popolari, è funzionale a rimarcare il tentativo dell'uomo comune di dominare la sua realtà, la sua vita e, soprattutto, le costanti difficoltà del vivere e del sentire in cui continuamente s'imbatte.
Non casuale la scelta di raccontare, durante ognuno dei tre momenti tematici, una favola  il cui apologo ha perseguito una precipua finalità gnomica, sottintendendo una sorta di morale a cui poter e dover ispirare la propria condotta di vita.
 
Ad inizio della serata, sono intervenuti don Angelo Mazzone, parroco della chiesa Madonna della Pace (l’Auditorium Regina Pacis è ubicato nella parrocchia) e il noto attore molfettese Felice Altomare, presidente di giuria, citando dei passi di due noti registi teatrali B. Brecht e di E. De Filippo, ha decantato la funzione intrinseca del teatro.
 
Questa sera, ore 20:30 il terzo appuntamento con lo spettacolo «Il servitore di due padroni» della compagnia Carretto Teatro. Sipario alle ore 21:00.
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Erika Cormio
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