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La condanna di Berlusconi: le forzature semantiche dei suoi Sostenitori
03 agosto 2013

 Il signor Berlusconi Silvio, già più volte Premier di Governo, Presidente del partito “Popolo della Libertà”, proprietario e maggior azionista di Mediaset, è stato riconosciuto colpevole del reato di frode fiscale, per cui aveva subito altri due processi, in due gradi di giudizio precedenti (in Corte d’Assise e d’Appello) e condannato definitivamente ad una pena detentiva di quattro anni di carcere (di cui tre condonati per indulto). La pena accessoria comminatagli nei due precedenti gradi di giudizio: interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, è stata, dai Giudici di Corte di Cassazione, rinviata ad un nuovo processo in Corte d’Appello a Milano per la sua rimodulazione (attenzione, non cancellazione!). Per cui, dopo la celebrazione nei prossimi mesi, di un nuovo processo, la Corte d’Appello emetterà una nuova condanna di interdizione, di minor durata rispetto a quanto deliberato nel precedente processo d’appello; presumibilmente di durata da uno a tre anni di interdizione che si sommerà accessoriamente alla pena detentiva già definitivamente stabilita dalla Corte di Cassazione.

Il signor Berlusconi, ex Premier, Presidente del P.d.L., Senatore della Repubblica quindi, dalle ore venti circa di ieri primo Agosto 2013 è un pregiudicato con condanna definitiva.
 
Il fatto – ancorché atteso - ha suscitato scalpore a livello planetario: tutti gli organi di informazione hanno ripreso la notizia e l’hanno rilanciata con una vastissima eco in tutto il mondo, data la personalità del condannato e date le possibili ripercussioni che questa sentenza potrebbe riflettere sulla stabilità, invero gracilina, della compagine governativa che regge le sorti della Repubblica italiana, con la famigerata strana coalizione  di Centro Destra e Centro Sinistra che governano, sopportandosi, la nostra Nazione, dopo i risultati delle ultime elezioni politiche del Febbraio scorso.
 
I commenti e le reazioni dei parlamentari di Centro Destra sono stati unanimemente negativi: si è parlato – e lo ha anche chiaramente dichiarato il Condannato, in un video messaggio diffuso, subito dopo una riunione dello “Stato maggiore” del P.d.L. – di giustizia rossa, di sentenza annunciata, di condanna di un innocente, di sfracelli a livello di Governo e di altre cose che potranno verificarsi nei prossimi giorni.
 
I media italiani hanno organizzato estemporaneamente trasmissioni di approfondimento della materia, in cui diversi Analisti, Opinionisti, Parlamentari ed altre personalità hanno fornito una chiave di lettura dell’evento, ovviamente condizionata dalla loro appartenenza politico-culturale. In uno di questi approfondimenti/dibattiti, siamo rimasti colpiti dalla fantasiosità di alcuni interventi che presagivano scenari diversi, dai più foschi, ai più moderati circa i futuri assetti istituzionali. Poi è stata la volta di un Senatore, autorevole esponente del P.d.L., reduce dalla riunione che si era svolta nella residenza romana del signor Berlusconi presenti tutti i maggiorenti del partito, il quale, giunto piuttosto trafelato ed in ritardo (per il protrarsi della riunione di cui sopra), ha portato, appunto in trasmissione, lo stato d’animo dei “riuniti”, anche dopo aver appreso delle reazioni del mondo politico italiano ed internazionale.
Che l’atmosfera potesse essere surriscaldata e certo non da “cena elegante” (come sono definite le riunioni conviviali e non che si sono tenute negli anni scorsi nella residenza del sig. Berlusconi e per le quali, il medesimo, insieme ad altri, è sotto processo per altri reati) era cosa assodata. Il Parlamentare ne ha dato ampia sintesi, riferendosi ad argomenti oggettivi, quali le critiche alle reazioni degli …alleati dello strano Governo. Ha anche “toccato” un argomento che forse sta sfuggendo all’attenzione della pubblica opinione: la successione del signor Berlusconi (dai suoi Collaboratori, viene spesso indicato come “il Capo”) alla guida operativa e carismatica del P.d.L. (dal prossimo Settembre, dovrebbe tornare a chiamarsi Forza Italia, data la volontà di Berlusconi di rifondare la sua creatura) anche nell’ipotesi concreta che la pena accessoria di Interdizione dai pubblici poteri, possa diventare efficace ed impedire, in forza di una sentenza definitiva, la gestione del Partito. In questo caso, si parla di far succedere a Silvio, la figlia Marina, presidente di una società di proprietà della Famiglia. 
 
Per questa ipotesi, più volte ventilata, ci sono state prese di posizione anche molto dure, soprattutto dagli avversari politici e, forse non solo da loro. Questi sostengono che la leadership di un Partito – ancorché personale e quasi a gestione monarchica, come è oggettivamente il P.d.L. – non può essere trasferita per diritto dinastico, come appunto succede in una Monarchia. Ripetiamo, l’ipotesi è ancora in embrione, ma per il solo fatto che se ne parli, vuol dire che in determinate situazioni future, potrebbe essere necessario il passaggio dei poteri.
Qui l’Esponente, con sufficienza e disinvoltura, liquidava i rumors, affermando che, quand’anche dovesse verificarsi un’ipotesi del genere, non ci sarebbe alcuno scandalo! …è già avvenuto in altre solide Democrazie occidentali che un uomo politico indicasse/nominasse un proprio famigliare a succedergli/collaborare nell’Istituzione o in altre cariche pubbliche. Indicava, ad esempio, I Kennedy, i Clinton, i Bush.
 
E’ questa, nello stile classico di alcune dichiarazioni di personalità del Centro Destra, una verità non vera! Dichiarazioni che, nella loro ambiguità, creano fraintendimenti che servono solo ad accendere gli animi, ad orientare le opinioni in modo non corretto, senza nulla aggiungere alla ricerca della verità vera. 
 
Vediamo perché la consideriamo una dichiarazione fuorviante: 
- I Kennedy – nel 1962 fu eletto John F. Kennedy come 35° Presidente degli Stati Uniti d’America. Contestualmente fu nominato Segretario alla Giustizia (Ministro delle Giustizia) il fratello minore Robert (Bob) che non aveva ottenuto l’investitura per diritto dinastico (fratello del presidente eletto) ma era stato eletto Senatore e quindi aveva il diritto di accedere ad una carica di fiducia nel Governo del fratello.
- I Bush – nel 1989 fu eletto George H. W. Bush come 41° Presidente degli Stati Uniti; nel 2001, vinse le elezioni il Senatore George W. Bush e diventò il 43° Presidente degli Stati Uniti. Anche egli era passato per tutta la trafila delle Primarie, delle Nominations e delle “elezioni di Novembre”, dove i due candidati nominati dai rispettivi Partiti, si sfidano in una competizione a due. Aveva vinto!
- I Clinton – si tratta di William J. Clinton eletto nel 1993 42° Presidente; la moglie Hillary Rodham Clinton, senatrice già all’epoca dell’elezione del marito a Presidente, viene scelta dal Presidente B. Obama, 44° Presidente, a capo della Segreteria di Stato (il Ministero degli esteri).
 
Tutti questi ruoli, funzioni, cariche istituzionali non hanno alcunché di lontanamente percepibile come successione dinastica e/o nomina per appartenenza famigliare. Come già detto, tutti questi Personaggi ricoprivano cariche pubbliche e per arrivare alle funzioni alle quali sono state chiamate, hanno “subito” la nomina per elezione popolare, con tanto di campagna elettorale e vittoria conseguente.
 
Adesso, nessuno mette in dubbio le qualità manageriali della signora Marina Berlusconi, nessuno mette in dubbio – salvo prova contraria - la capacità di gestire un Partito politico (soprattutto all’ombra del padre mentore). Quello che ci preme sottolineare è che non si deve far passare una verità, in un contesto completamente diverso, per voler giustificare certe scelte diciamo così …monarchiche che prevederebbero la successione dinastica senza alcuna formalità. E’ del tutto ovvio che messa nel modo prospettato dal Parlamentare, chi potrebbe dubitare, soprattutto in seno ai simpatizzanti del P.d.L., della correttezza della scelta di un padre di opzionare la figlia a dirigere un Partito di proprietà esclusiva del padre medesimo: Silvio Berlusconi?  
 
© Riproduzione riservata
Autore: Tommaso Gaudio
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“...... il suo tema costante era però la denigrazione del presente: l'immiserimento della nazione, il pericolo rappresentato dal comunismo, il pericolo rappresentato dal marxismo. Le descrizioni della condizione di miseria, volutamente mantenute su un piano generico, gli assicuravano non soltanto il massimo denominatore comune per il suo seguito di massa, ma, più ancora, si era reso conto di come la discordia intestina dei partiti sia sempre conseguenza di precise dichiarazioni di propositi, e di come la forza d'urto di un movimento cresca in proporzione dei suoi obiettivi. Le masse, e alla fine anche il potere, sarebbero perciò toccate in sorte a colui il quale fosse riuscito a combinare la più radicale negazione del presente con le più vaghe promesse del futuro. E così si esprimeva in una di queste tipiche fusioni di recto e di verso, di condanna e di utopia: “E' forse da italiani il fatto che il nostro popolo sia frammentato in trenta e più partiti, nessuno dei quali va d'accordo con l'altro? Io però dico, a tutti questi tristi politicanti: “Diverremo un unico partito, il partito di un grande popolo eroico.” E' riuscito a mobilitare le masse, sempre con la preoccupazione che il tumulto delle emozioni valesse a promuovere il perdurare del caos, che egli con tanta asprezza condannava ed esorcizzava. Andava edificando proprio su ciò che minava l'ordine sussistente, che lo sommuoveva, perché il dinamismo non poteva che svilupparsi a partire dal sistema in atto e finire per tornare a suo vantaggio. Nessuno, infatti, riusciva a formulare in maniera più credibile, con maggior incisività e con maggior presa sulle masse, l'aspirazione, divenuta insopportabile tensione, al mutamento. Già dal 2010 uomini e donne erano talmente preda della disperazione, da essere pronti ad “accettare qualsiasi cosa prospettasse loro un'alternativa”.
“………….con maggior precisione di chiunque altro, ha saputo avvertire quale fosse la tipologia della STAR adatta ai tempi, rendendosi conto che il politico era assoggettato alle stesse leggi. Con una simile, perfetta conoscenza del proprio ruolo, egli rispondeva assai meglio alle esigenze di una società di massa democratica, che non i suoi concorrenti, ai quali faceva difetto la dimensione dell'effetto pubblico, e che anche per questo davano a vedere quanto appartenessero al passato, per origine e per formazione………e affermava che “la gran massa è cieca e sorda, e non sa quello che fa”. Lo spreco che faceva di uomini era di entità pari al disprezzo che nutriva nei loro confronti. Ininterrottamente, cacciava questi, puniva quegli, promuoveva quest'altro, sostituiva individui e uffici, e qui va visto senza dubbio uno dei presupposti dei suoi successi, la sua esperienza avendogli insegnato che i seguaci vanno trattati senza riguardi e oberati al massimo. Il nucleo dei funzionari e sostenitori del partito proveniva dagli strati, tradizionalmente apolitici, della popolazione: gente non ancora usurata, aliena da dubbi, piena di entusiasmo e disposta a considerare la continua lotta elettorale alla stregua di una professione. La loro capacità di impegnarsi sempre a fondo, metteva in maniera evidentissima nell'ombra l'opaca routine, secondo la quale i partiti tradizionali assolvevano ai loro compiti nelle campagne elettorali. Le prestazioni agitatorie dei suoi seguaci erano da lui considerate alla stregua di una prassi selettiva: “Adesso, semplicemente, una calamita viene fatta passare sopra un mucchio di immondizie, e poi vedremo quanto ferro ci fosse, in quel mucchio di immondizie, e quanto ne è rimasto attaccato alla calamita”. Riponeva le sue speranze negli elettori degli strati medi in disfacimento, nei giovani che per la prima volta accedevano alle urne, in coloro che per molti anni si erano rifiutati di votare e i quali, stando ad ogni logica politica, avrebbero essere dalla sua: sempreché, beninteso, alle urne si recassero davvero.”



Il punto di sintesi dei commenti, tutti molto puntuali e attinenti, secondo me lo ha colto "Chi ha ucciso ...". quando retoricamente si domanda se tutti gli Italiani (ovvero, una parte importante del Popolo italiano) siano stati presi da una sorta di follia, nel difendere, addirittura evocando una "guerra civile" (uno scenario inquietante, anche se forse assurdo) per che cosa? Difendere un Uomo, anche se Senatore della repubblica, che dopo DIVERSI GRADI DI GIUDIZIO, NON INERME, DAVANTI ALLE ACCUSE MA DIFESO DA FIOR FIORE DI AVVOCATI CHE PERCEPISCONO PARCELLE A CINQUE ZERI, RICONOSCIUTO COLPEVOLE DEI REATI ASCRITTIGLI, sia stato condannato DEFINITIVAMENTE! La nostra COSTITUZIONE cita che siamo tutti uguali ed abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri. Allora c'è da domandarsi (può sembrare banale la domanda, perché già esposta in altre occasioni, ma ...repetita iuvant!) perché questo Uomo, a detta di un certo numero di suoi simpatizzanti deve sentirsi ed essere più uguale di tutti gli altri? I suoi "difensori" che cosa eccepiscono ad una realtà del genere? Forse in virtù della sua sterminata ricchezza (che non è un delitto sociale o morale, sia ben chiaro), forse in virtù del fatto che è idolatrato (in modo ... disinteressato? poco credibile, in un Paese veramente civile!) da alcuni? O per tante altre ragioni che ometto? E, sarebbero sufficienti, queste ragioni? I danni (etici, morali, civili) accadutici, a noi Italiani, in questi anni di distorsione dei principi di uguaglianza, non DEVONO essere irreversibili. Un Popolo come il nostro, non può appiattirsi su modelli non proprio corretti che sono sotto gli occhi di tutti. Dovremmo incominciare a pensare un pò di più con la testa e meno con lo "stomaco". Dovremmo scrollarci di dosso tutti quei teoremi, incessantemente martellanti che, appunto i difensori touo court del Condannato, recitano come una litania liturgica. Siamo un Popolo civile, secondo a nessuno. Siamo capaci, dobbiamo esserlo, di cambiare e tornare ai valori civili e repubblicani. Dobbiamo.
PATRIA! La patria Italia!Quanti lavorano per la PATRIA in questo Paese? Quanti “ribaldi” si vantano di lavorare per la Patria! – Un garzone di pasticciere che era stato in collegio e che si ricordava qualche frase di Cicerone, un giorno protestava con vanità il suo amor patrio. “Che intendi tu per patria?” gli disse un vicino: “Forse il tuo forno? Forse il villaggio dove sei nato, che tu non hai più rivisto? Forse la strada dove abitavano tuo padre e tua madre, che sono andati in rovina e ti hanno ridotto a infornar pasticcini per vivere? Forse il Palazzo di Città, dove tu non riuscirai mai ad entrare? Forse la chiesa di Notre Dame, dove tu non sei riuscito a diventare neppure cantore, mentre un uomo dal cervello stravagante vi è Arcivescovo-Duca, con ventimila luigi d'oro di rendita?” Il garzone pasticciere non seppe più rispondere. Un filosofo che ascoltava questo dialogo, ne concluse che in una patria un po' estesa si trovano spesso parecchi milioni di uomini che non possono dire d'aver una patria. Tu, gaudente parigino, che non hai mai fatto altro viaggio fuori che quello di Dieppe per andare a mangiare il pesce fresco, che non conosci nient'altro che il tuo palazzetto in città, la tua villa in campagna, e il tuo palchetto in quel teatro dell'Opera dove tutta l'Europa si ostina a venirsi ad annoiare, che parli abbastanza piacevolmente il tuo linguaggio perché non ne sai nessun altro: tu ami tutto questo, a ami anche le donnine che mantieni, lo champagne che ti arriva da Reims, le tue rendite che il Municipio ti paga puntualmente ogni sei mesi; e mi vieni a dire che tu ami la PATRIA . – Ma quale Patria? Quale Italia e italiani?


1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)
2°parte. - Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra. (fine)


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