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La città di Salvemini Un interessante libro di Giovanni de Gennaro
15 maggio 2000

di Lorenzo Palumbo Giovanni de Gennaro si è deciso a raccogliere in volume (“La città di Salvemini - La classe dirigente di Molfetta dall’Unità al primo Novecento”, Mezzina Molfetta, pp. 254) una serie di saggi che egli aveva pubblicato in varie sedi nel corso di quasi quindici anni di ricerca: non si è trattato di una mera ristampa, che peraltro sarebbe pur sempre stata comoda per il lettore e per lo studioso. Su ogni saggio, infatti, l’Autore è intervenuto con aggiunte, integrazioni e aggiornamenti bibliografici. Ne è risultato un ponderoso contributo alla storia civile di Molfetta, con particolare attenzione rivolta all’economia, alla società e soprattutto agli uomini che seppero imprimere un particolare ritmo alla vita comunitaria, nei diversi campi di loro pertinenza; l’arco temporale va dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi del Novecento; il tutto sotto l’urgenza di verificare le valutazioni complementari che Gaetano Salvemini da un lato e Saverio La Sorsa dall’altro formularono sulla Molfetta del declinante Ottocento. Il volume si articola in nove capitoli seguiti da un indice di nomi che si stende per quasi 16 pagine; il primo capitolo riguarda la formazione dei giovani, che una volta compiuti gli studi preparatori nel Seminario vengono inviati a Napoli soprattutto alla scuola di Basilio Puoti e, successivamente, a quella di Francesco de Sanctis: ne deriva una rievocazione esaustiva del clima culturale di Molfetta nell’Ottocento e sono stati accuratamente indagati i legami di Molfetta con la Capitale, la quale attingeva la sua classe dirigente dalle città di provincia più evolute e tra queste non ultima era Molfetta. La tradizione di Ciro Saverio Minervini, di Giuseppe Saverio Poli, di Giuseppe Maria Giovene, per limitare i riferimenti a pochi nomi assai noti (moltissimi altri se ne potrebbero citare come in effetti vengono citati dall’Autore), viene continuata dai fratelli Felice e Gerolamo Nisio, da Orazio Pansini, con la sua impegnata attività editoriale, da Vito Cesare Boccardi, cui è dedicato il terzo capitolo, il quale esordisce come preside e poi si fa imprenditore. Una singolare figura di studioso, Giacinto Poli, è studiata nel secondo capitolo: collocato a Napoli nel Collegio militare del Salvatore per i buoni uffici di Giuseppe Saverio Poli, suo prozio, per il suo temperamento e per il suo carattere indipendente ne usciva nel 1826 per tornare quindi a Molfetta nel 1830, dove poté dedicarsi alle sue letture e all’amministrazione del cospicuo suo patrimonio. Al ruolo notevolissimo tenuto dai sacerdoti sono dedicati ben due capitoli, il quarto sull’impegno sociale cattolico di don Matteo Allegretta, il quinto sui preti professori. In questo quinto capitolo oltre quelle su Vito Fornari, si leggono pagine assai interessanti su Sergio de Judicibus, Saverio de Candia, Giovanni Panunzio, Corrado e Antonio Salvemini e altri ancora. Il sesto capitolo costituisce un ulteriore approfondimento del clima culturale a Molfetta: a partire dal 1870 si delinea, come opportunamente sottolinea l’Autore, una nuova cultura comportamentale, di valenza anche politica, che segna il passaggio dalle posizioni della Destra costituzionale al vasto movimento di una Sinistra repubblicana. Giovanni de Gennaro, in questa sua benemerita fatica, non trascura di proiettare nuova luce anche sui ceti meno abbienti. Nel settimo capitolo infatti egli esamina la situazione sanitaria dal 1860 al 1910, con occhio attento alle connessioni tra le condizioni economiche dei ceti meno abbienti e l’impegno professionale dei medici. Nel vivo della militanza politica e degli schieramenti di fine secolo, un tema peraltro non mai trascurato nei capitoli precedenti, si entra nel penultimo capitolo, che rievoca una memorabile polemica tra l’anarchico Sergio de Cosmo ed il socialista Leonardo Mezzina, ricostruisce le drammatiche vicende del 1898 e si conclude con l’esperimento riformista del 1902, sindaco l’avvocato Francesco Picca, che diventerà fraterno amico di Gaetano Salvemini per tutta la vita. Nell’ultimo capitolo, infine, quello intitolato “La classe politica a Molfetta”, Giovanni de Gennaro ha scritto pagine assai equilibrate su Pietro Pansini, sulla cui azione politica, in verità, si desiderava conoscere qualcosa di diverso dalle valutazioni dettate dalla faziosità degli avversari politici. Sul Pansini, in effetti, e sulla sua azione politica continua forse a pesare ancora la faziosità dei suoi avversari: questo capitolo, senza inutili riabilitazioni postume, consente di ripercorrere, con serenità e ricchezza di dati, una interessante pagina della storia civile molfettese. Questo, in rapida e lacunosa sintesi, il contenuto del volume in recensione. L’importanza degli argomenti trattati, che emerge quasi spontaneamente dall’indice, richiede tuttavia la formulazione di un invito, quello cioè di fare conoscere ai lettori la prosecuzione di questa sua “storia”: l’operato dei discepoli di Salvemini, il sorgere del fascismo e le motivazioni di chi vi aderì, il comportamento degli antifascisti (penso soprattutto a Nicola Altamura, Matteo Altomare, Sergio Azzollini, Pasquale De Bari, Luigi Massari, Nicola Mastropasqua, i fratelli Nuovo, Corrado Visaggio e altri), la ricostituzione dei partiti dopo il 25 luglio 1943, le successive vicende dell’Amministrazione comunale di Molfetta, nelle quali l’Autore del volume in discussione tenne un ruolo non certamente marginale. Già qualche anticipazione di questa più recente storia, del resto, Giovanni de Gennaro ha avuto occasione di fornire con la sua collaborazione a “Studi molfettesi” o con il suo contributo al volume collectaneo che Salvatore Palese ha curato recentemente su Ambrogio Grittani nella società e nella chiesa del suo tempo.
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