La Casa Editrice La Meridiana ha recentemente pubblicato l’ultimo lavoro di Lazzaro Gigante, “Occorre un uomo. Tonino Bello educatore”, con prefazione di Goffredo Fofi. Molto opportunamente l’Autore premette che “Don Tonino non ha una teoria pedagogica, non ha definito un sistema di principi metodologici ed organizzativi, né è evidente in lui un apparentamento con altre teorie o sistemi”. I numerosi frammenti, raccolti e contestualizzati con grande cura, vanno quindi letti nella loro occasionalità. E tuttavia, ricomposti all’interno di poche ma solide coordinate, risultano possedere una vivida coerenza, che necessita però di essere individuata nei suoi fondamenti. Innanzitutto la Passione per l’Umano. “Sono un vescovo che vive determinate esperienze, e porta nella sua anima le stigmate di alcune contraddizioni di questo nostro mondo violento, che si trova anche lui tra diluvio ed arcobaleno”. Segue la Transumanza. La continua, disordinata trasformazione sociale, il tramonto di certezze e narrazioni ideologiche, la riforma di processi ecclesiali; insomma una strada, un pellegrinaggio lungo i nuovi percorsi della propria educazione: “Il pellegrinaggio più faticoso è quello che porta l’uomo dalla periferia al centro del proprio cuore. È un passaggio da una terra all’altra, (trans-humus), molto difficile: però è quello che ci resta”. Infine la Laicità, e il travaglio delle opzioni pedagogiche del vescovo, il quale, scrive Gigante, “ricordando la doppia polarità tra la passione per il cielo e quella per la terra, raccomanda di evitare di cristallizzarsi su una di esse”. La ricerca sulla natura umana ci permette di offrirle l’annuncio di Dio. E veniamo al primo dei tre capitoli intorno ai quali si articola il saggio: “Il sapere sull’uomo e sul cittadino”, vale a dire: che cosa l’educatore deve conoscere nella sua reale concretezza di cittadino, inserito attivamente nella società? È necessario preliminarmente contrastare l’orientamento culturale negativo, il declinare verso il nulla la pulsione al crepuscolo: insomma, il nichilismo imperante nella cultura contemporanea, paradossalmente dominata dalla totalità della razionalità scientifica e cibernetica. “Nel senso hanno le nostre fatiche, le nostre angosce, le nostre gioie: c’è una direzione verso cui confluiscono le aspirazioni, i progetti, i fallimenti dello spirito umano?”. L’inquietudine fine a se stessa, assunta a cifra permanente della nostra esistenza, conduce necessariamente alla svalutazione, al dis-prezzo di noi stessi, degli altri, e della società nella quale ci sembra di essere casualmente “gettati”, con l’unico scopo di vivere l’attesa della morte. Eppure, ammonisce don Tonino, “C’è una cosa che accomuna tutti quanti, i credenti e i non credenti, gli atei e i santi: il bisogno profondo di felicità. Ha senso la vita? Ragazzi, non solo vi dico di rispondere sì, ma vorrei esortarvi di andarlo a cercare questo senso della vita. Voi non avete il compito di fare scintille, ma di fare luce. Oggi, soprattutto con la complicità delle leggi del profitto, la natura ha perso la sua plurisecolare funzione di socia dell’uomo”. Insomma, la ricerca della “luce”, del senso della vita, l’amore per la natura e per la bellezza come doni e linguaggi universali, la valorizzazione dei saperi. “E’ da questa temperie che nascono quelli che Paulo Freire chiamava temi generatori”, cioè quei nuclei vitali di conoscenze che rendono capace l’educatore di scatenare nell’uomo impegni totali all’interno della storia, e dare significato alla trama della sua esistenza. Passiamo ad un altro tema che emerge dall’appassionata ricerca dell’Autore: l’amore per la gente, mai superficiale e sempre da verificare nelle sue finalità; lo “svuotamento” dell’Io, e la ricerca del volto dell’Altro. Scrive Gigante: “E’ questa una affermazione che conduce al centro della testimonianza di don Tonino”. Scrive questi a proposito: “Oggi, anche nella cultura contemporanea e laica, si va scoprendo l’etica del volto. Emmanuel Lèvinas, un filosofo di origine ebraica, sostiene che il terzo millennio sarà caratterizzato dalla ricerca dell’altro’’. La “kenosis” paolina, lo svuotamento del proprio ego, annullato in quello dell’altro, e da quello sostituito, unilateralmente e senza reciprocità, produce temi generatori di straordinaria importanza a cominciare da quello della non violenza assoluta e della speranza. E’ il pensiero sostenuto con valenza utopica e profetismo messianico da Ernst Bloch e dal suo “spero, ergo sum”. Don Tonino, nei suoi ultimi giorni chiede all’Autore: ‘‘Rino, esiste una pedagogia della pace? Lo so che possono sembrare affermazioni fumose dette in tal modo da un delirante. Però vi dico che queste sono le idee vincenti del domani. Per ora, mi lascio cullare da un’incontenibile speranza. Le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono. Andiamo verso tempi migliori, la barbarie ha le ore contate, la legge della giungla è ormai al crepuscolo e la cattiveria, la violenza stanno dando gli ultimi rantoli. Non dobbiamo perdere il coraggio, anche se è notte’’. Dopo quello della pace, Gigante indaga il messaggio di don Tonino nei confronti dei poveri, uno dei pilastri del suo apostolato, e forse uno dei più complessi. Scrive: “l’attenzione di don Tonino ai poveri è continua: essi sono i protagonisti dell’educativo”. Partendo da una prospettiva teologica, e dialogando con i temi espressi dal Freire nella sua “Pedagogia degli oppressi”, il vescovo affronta questo capitale tema educativo fiorito in America Latina: gli oppressi devono diventare essi stessi i liberatori degli oppressori. Questo approccio al gigantesco problema delle ingiustizie sociali, di evidente derivazione religiosa, con i suoi derivati pacifisti e non violenti, è a mio parere uno di quelli che più allontana la ‘‘visione” di don Tonino da quella teorizzata e a volte praticata dai movimenti di liberazione terzomondisti, soprattutto in America Latina. Nel secondo capitolo del suo saggio, ‘‘Il Formato della relazione’’, Gigante affronta la struttura dell’azione umanante del vescovo e afferma che il rapporto ‘‘uno a uno’’ è il primo costitutivo della relazione educativa di don Tonino’’. Lasciamogli la parola in una pagina tra le più dense del suo lavoro: “la totale mancanza di opacità nei rapporti è la prima grande qualità del suo sguardo, che è dialogico per l’importanza che dà alle risposte. Egli riesce a stabilire un rapporto che l’interlocutore percepisce quasi esclusivo. Vale la pena però di precisare che don Tonino non indulge nell’individualismo. In lui è sempre centrale la categoria dell’insieme, del sognare insieme. Nella relazione è decisiva la direzionalità del suo sguardo, indirizzato in modo appassionato e coinvolgente verso qualcosa”. Oltre allo sguardo, la relazione, perché sia autentica, ha bisogno della Parola. Scrive il vescovo: “noi siamo inguaribilmente malati di magniloquenza. Abili nell’usare la parola per nascondere i pensieri più che per rivelarli, abbiamo perso il gusto della semplicità. Esperti nel tessere ragnatele fosforescenti di vocaboli sui crateri del non senso, precipitiamo spesso nelle trappole nere dell’assurdo, come mosche nel calamaio. Anche il silenzio che libera dall’assedio delle parole, dalla morbosa voluttà delle notizie, è altrettanto efficace come strumento di relazione costruttiva del dialogo”. Veniamo ora al terzo capitolo, l’Azione Concreta, quella che si esplica nella famiglia, tra i giovani tra i laici, nel volontariato, nell’azione civile. “La parrocchia ha tra i suoi compiti essenziali l’educazione alla giustizia: aiutare a realizzare sul territorio una presenza profetica, rifuggendo dal potere: favorire la liberazione dal bisogno e la promozione delle persone, individuando con analisi puntuali le cause che provocano ingiustizia o sfruttamento o emarginazione e rimuovendole”. Come non vedere in queste parole una straordinaria consonanza con l’art. 3 della nostra Costituzione? Queste poche note non offrono che una pallida idea del valore di questa preziosa silloge di Lazzaro Gigante che costituisce la testimonianza dell’affetto e della fedeltà di un credente per il suo Vescovo, figura inimitabile per tempra morale, visione profetica e fedeltà al Vangelo. Qualche parola infine sulla pregnante Prefazione di Goffredo Fofi. Questi è un non credente, impegnato da decenni in attività poliedriche, dal giornalismo alla critica letteraria e cinematografica. Pacifista convinto, ha organizzato reti alternative alla cultura del consumismo e dell’omologazione, attento soprattutto al rapporto tra realtà sociale e sua rappresentazione mediatica. Fofi non ha conosciuto don Tonino ma apprezza e stima e con lui condivide “la necessità assoluta di reagire alla storia, all’imperfezione dell’uomo e delle sue costruzioni, alla prepotenza del potere e all’oscenità delle sue manifestazioni”. Come lui si considera seguace della libera persuasione di Socrate, piuttosto che della autoritaria retorica di Aristotele. Auspica che tra credenti e non si creino intese e programmi comuni, pur nel reciproco rispetto delle differenze. Accenna anche ad un problema di non poco rilievo. A fronte di coloro che hanno la fortuna di credere che la vicenda umana, pur con i suoi innumerevoli delitti, sia comunque una via verso la Salvezza, vi sono altri che tale fede non hanno. Questi ultimi (molto semplificando), hanno davanti a loro due strade: quella percorsa dal Leopardi della “Ginestra”, che da una terrazza sul golfo di Napoli assiste impassibile ad una eruzione dello “sterminator Vesevo”, e scruta nel cosmo miliardi di stelle ardere senza un senso; e quell’altra che quel senso ritiene di trovarlo vivendo la sua breve e unica vicenda mortale aiutando, per quanto può il suo prossimo, senza speranza e senza timore. Ed io aggiungerei che c’è anche chi “di fronte ai nemici che servono il male in piena coscienza”, perseverando e restando impuniti, potrebbe scegliere di armare la sua mano. E’ una tragica opzione che l’Occidente sembra aver rimosso. Eppure, l’Apocalisse prossima ventura potrebbe farla rinascere dalle sue ceneri, con tempi e modalità imprevedibili. Ma questo è un altro discorso. Leggiamo intanto questo ottimo lavoro di Lazzaro Gigante. © Riproduzione riservata