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La 167 tradita e la storia del suo parco mai nato: ritardi e sprechi a Molfetta Un altro cantiere lumaca intitolato a Baden Powell fondatore degli scout
Il parco Baden Powell
24 gennaio 2021

 MOLFETTA - C’è una storia che sta a cuore a tanti molfettesi e di cui un po’ tutti hanno smesso di parlare. È la storia della 167 e del suo parco mai nato a Molfetta. E allora bisogna riavvolgere il nastro, tornare indietro. All’inizio. E provare a capire dove è finita la palla. C’era una volta il Parco di Mezzogiorno, intitolato a Baden Powell, il papà del movimento scoutistico, così amato in una città in cui gli Scout, ma anche i tanti cittadini non residenti in centro, chiedono spazi di qualità urbana e vivibilità.

Nacque così, oltre un quindicennio fa, il sogno di dotare la zona 167, prima vera zona di espansione fuori dal centro città, di un polmone verde che potesse dare ossigeno, spazio di sport e di gioco e area ricreativa attrezzata il quartiere alle spalle di via Achille Salvucci, tra i più popolosi dell’intera città. Dopo le urbanizzazioni del Parco di Levante e di Ponente, l’idea del Parco di Mezzogiorno fu audace e ambiziosa, dall’inizio. Per dimensioni, configurazione del progetto, infrastrutture immaginate. Il progetto fu realizzato nel 2005, alla fine del primo mandato di Tommaso Minervini sindaco, insieme all’allora dirigente Vincenzo Balducci, che lo curò personalmente. Eppure, non fu mai portato a compimento. La grande fragilità idrogeologica dell’area interessata (28.300 metri quadri di territorio), la prossimità alla statale 16 Bis e dunque la pericolosità a questo legata ma, più di tutto, la totale assenza di un piano di gestione di un’area così vasta ha trasformato presto il sogno in un incubo. Il parco mai nato non vide mai apertura, né sotto il governo Minervini uno, né sotto i governi Azzollini uno e due. E così la promessa di riaprirlo caratterizzò il triennio 2013-2016. Ma la sfida fu tutta in salita.

 Il percorso di Parteciparco: tornare a coinvolgere i cittadini
I primi sopralluoghi al Parco di Mezzogiorno dopo gli otto anni del suo clamoroso abbandono furono, senza mezzi termini, un colpo al cuore. Totale assenza di corrente elettrica: cavi rubati, pali della luce divelti. Vandalismo diffuso, soprattutto nella zona d’ingresso, ma anche nell’area dell’anfiteatro all’aperto. Insicurezza visibile all’occhio nudo: la prossimità della statale, senza nessuna protezione immaginata, nonché le gravi problematiche idrogeologiche che evocavano chiaramente grossi problemi nella progettazione a monte.

Si decise di fare l’unica cosa possibile: riprogettare l’opera ex novo, cercare di fare le cose per bene e arrivare a una riapertura definitiva, in sicurezza e soprattutto in rispondenza ai bisogni reali della cittadinanza. Ascoltare quei bisogni sembrò imprescindibile e, dunque, si decise di attivare insieme a un gruppo di giovani e motivatissimi professionisti un percorso diffuso di partecipazione attorno alla riapertura. Era il 2014 e, con il coordinamento di due giovani donne architette, Patrizia Paola Pirro ed Eleonora Adesso, prese il via Parteciparco, a cura dell’associazione XScape, una campagna guidata di ascolto attorno alla riapertura del Parco di Mezzogiorno, che potesse mettere a disposizione della progettazione tecnica una mappa dei bisogni della cittadinanza e del quartiere.

Quali erano i desideri di fruizione legati al parco? Che idea di gestione degli spazi poteva rendere davvero sostenibile e incisiva la “second life” di quest’opera così bramata eppure da molti anni incompiuta? Nel 2014, l’Amministrazione redigeva un primo studio di fattibilità, con l’intento di aprire il Parco alla cittadinanza, che prevedeva la sua suddivisione in quattro distinte aree funzionali: area gioco, area sport, percorsi ciclabili e area ristoro.

Nel quadro generale di un “Parco Baden Powell bene comune”, si valutò una gestione mista delle aree, con spazi interamente pubblici e altri da dare in concessione ai privati (area ristoro e area sport), come accade in tutti i grandi parchi di queste dimensioni. Questo anche per economizzare la manutenzione delle aree a verde, non banale per un’area di quelle dimensioni.

Ma questa “divisione funzionale” non voleva perdere di vista il tema del “sistema parco”, come lo definirono i tecnici di XScape, ovvero il quadro complessivo delle sue potenzialità di utilizzo. Per rispondere a questa necessità, nel novembre 2014 l’amministrazione comunale, supportata dal Forum Agenda XXI cittadino (coordinato da Cosimo Sallustio) avviò Parteciparco. Il percorso durò tre mesi e si snodò come un laboratorio itinerante, con tecniche di interazione diversificate, per coinvolgere anche i soggetti silenti: bambini e anziani. Non si limitò alla sola zona 167, ma coinvolse anche il resto della città. Presentazioni pubbliche, incontri con gli alunni delle scuole primarie e superiori, attività di strada: Parteciparco volle essere soprattutto, come scrisse la sua coordinatrice Patrizia Paola Pirro in un bell’articolo sul tema pubblicato sulla rivista dell’INU “un’occasione di educazione della comunità alla cura e al rispetto dei beni comuni, ma anche un esperimento di costruzione partecipata di strategia collaborative per la loro gestione. Il laboratorio - scrisse Pirro – ha consentito di individuare il fabbisogno sociale e la domanda di spazio pubblico attraverso un percorso di stimolazione creativa dell’immaginario collettivo finalizzato a far emergere bisogni, desideri, idee, progettualità per la redazione del progetto definitivo e del programma gestionale”.
L’esperienza con i giovani professionisti di XScape fu uno dei momenti più generativi del triennio 2013-2016. Ricordo ancora che giravano per Molfetta con un presidio mobile di Radiocasa, una struttura leggera in ferro, progettata dal collettivo di design Momang, che rappresentava un’ideale “casa del parco” temporanea. Gli abitanti esprimevano i loro desideri sulle funzioni e gli usi del parco e li incollavano su una grande mappa dell’area, usando anche delle divertenti lavagne-fumetto. Molto significativi anche i laboratori con i ragazzi delle scuole Zagami e del Liceo Scientifico Einstein. Il parco, in qualche modo, tornò a vivere.

Il desiderio collettivo della sua riapertura divenne pulsante, una comunità si mise in cammino e l’Amministrazione era davvero una centrale di traduzione dei bisogni collettivi in politiche pubbliche, come sempre (e solo) dovrebbe essere. Ci fu un workshop finale di co-progettazione e fu consegnato all’Amministrazione un report che fu poi messo al centro del bando di gara del gruppo di progettazione a cui affidare la fase finale della progettazione esecutiva.

Fu anche consegnato un chiaro e molto sfidante piano d’azione per la gestione, centrato su quattro punti-chiave: 1) la redazione di una Carta del parco, un vero e proprio codice etico sulla qualità dei servizi da erogare, con garanzie su sostenibilità, accessibilità, sicurezza; 2) l’incoraggiamento di partnership col terzo settore da parte dei gestori privati che avrebbero gestito le aree ristoro e sport e l’affidamento gratuito di aree a verde per cittadini e associazioni da dedicare all’orticoltura urbana o altre finalità sociali; 3) creazione di una Banca del tempo e dei saperi nel parco; 4) strategia di comunicazione integrata per favorirne la massima fruizione ed evitare l’abbandono. Un percorso appassionante, innovativo, di altissima qualità, assolutamente inedito nella storia della città. All’esito del quale fu scritto il bando di gara per la progettazione, poco prima delle dimissioni del 2016. Eppure eravamo convinti di aver rimesso il futuro del Parco in sicurezza, sui giusti binari, in profonda connessione con i bisogni reali della città. Peccato che tutto il lavoro di Parteciparco fu sostanzialmente cestinato da chi è arrivato dopo.

La falsa ripartenza dell’amministrazione Minervini: un altro cantiere lumaca?
La questione del Parco di Mezzogiorno non sfiorò nemmeno l’interesse del Commissario: tra l’estate 2016 e quella del 2017, nella sostanza, nulla accadde. La gara per la progettazione, predisposta in ogni suo passaggio, con la generosa supervisione dei due assessori-architetti Giulio Germinario e Marilena Lucivero (che molto seguirono Parteciparco, come fece anche e con passione il resto della giunta), rimase in un limbo misterioso, fino alla Determina Dirigenziale 764 dell’ottobre 2017. Pochi mesi dopo l’elezione di Tommaso Minervini a sindaco, infatti, viene finalmente affidato l’incarico di progettazione preliminare e definitiva, per oltre 70mila euro di valore dell’incarico. Il progetto viene approvato dalla giunta quasi un anno dopo, nel giugno 2018, con la delibera 160, con lavori di rifunzionalizzazione che arrivano al costo complessivo di 1.450.000 euro (oltre 400.000 euro in più rispetto allo studio di fattibilità di partenza del 2014). Passano altri tre mesi e arriva il progetto esecutivo, approvato con la delibera di giunta 218 del 16 ottobre 2018. Solo nel successivo novembre, l’opera viene inserita nel piano triennale delle opere pubbliche. E però la gara non parte. Tutto si ferma fino ad agosto 2019 quando, con determina 912, viene riapprovato il capitolato di gara. Perché? Secondo i dirigenti, è tutta colpa del DL 32, il cosiddetto “sblocca cantieri”, per la verità approvato in aprile 2019, quindi ben sei mesi dopo l’approvazione dell’esecutivo mai andato a gara.

Un passaggio opaco, che si trascina fino al 26 settembre 2019 (oltre un anno fa), quando il progetto esecutivo viene finalmente messo a gara. Quel progetto ha tenuto in considerazione le osservazioni del percorso partecipativo Parteciparco? Assolutamente no. Nessuno, in questi quattro anni, ha mai sentito i professionisti di XScape, che seguirono Parteciparco nel triennio di governo del centrosinistra. Atteggiamento vergognoso, oltre che incomprensibile, vista l’altissima qualità del loro lavoro. E nel frattempo si è andati avanti per perdite di tempo. Solo il 28 febbraio del 2020 è stato stipulato il contratto d’appalto. Poi lo spartiacque del Covid, che ha portato l’effettiva consegna lavori al 7 maggio.

E adesso? Gli abitanti della zona 167 raccontano di un “movimento terra” in corso e ci inviano le fotografie dei cartelli che descrivono tempistiche e dettagli dell’appalto. La ditta esecutrice è la Di Gregorio snc, società tranese che ha curato il secondo stralcio dei lavori di Corso Umberto e, in regime di estensione di contratto, i lavori a Piazzale Aldo Moro, finiti sotto la lente della Procura di Trani nel cosiddetto “caso AppaltopolI”. Dopo quello di via Mons Bello, il rischio è quello di un altro cantiere lumaca? Con una cittadinanza che si è nuovamente illusa su questa riapertura, per poi vedere vanificato l’intero percorso di partecipazione? E, dopo tre anni di nuova amministrazione, aver ottenuto in cambio di roboanti promesse sulla “immediata riapertura” da ogni palco e comizio, soltanto una catena di ritardi e una lentissima “consegna dei lavori”?

Ultimo atto della storia del parco mai nato è la determina prima della tempesta “Appaltopoli”. La firma il dirigente Alessandro Binetti ed è la 1143 datata 8 ottobre scorso. Approva il primo Sal, Stato Avanzamento Lavori, a favore della ditta esecutrice. Si liquida il 20% dell’anticipazione, come da contratto: oltre 220mila euro.

Quindi per ora la storia è questa: il parco è ancora chiuso e, da chiuso, è costato quasi 300mila euro, tra progettazione e anticipo lavori. Con dirigenti e ditta sotto indagine la grande paura è che tutto si fermi ancora. A conferma che sul Parco di Mezzogiorno, ogni volta che si voltano le spalle alla città, la bacchetta magica si spezza.Ma c’è da scommetterci: la 167 tradita non dimenticherà.  


Paola Natalicchio

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