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L’autopsia conferma: De Ceglie morto dopo aver battuto il capo
22 agosto 2001

MOLFETTA – 22.8.2001 La morte di Felice De Ceglie il meccanico di 56 anni avvenuta sabato sera nel corso di una festa in un lido cittadino, è stata causata da una lesione di un paio di centimetri alla testa e dallo scuotimento della massa cerebrale che ne ha provocato un’emorragia interna. Lo ha accertato l’autopsia disposta dal Pm, Luigi Scimè, ed effettuata dal prof. Francesco Vinci dell’Università di Bari alla presenza del prof. Alessandro Dell’Erba, consulente della famiglia della vittima e del prof. Francesco Introna, perito di parte dell’indagato, accusato di omicidio preterintenzionale. Intanto indiscrezioni e testimonianze hanno permesso di definire meglio i contorni di questo giallo estivo. L’unica testimonianza, definita “fonte confidenziale” dai carabinieri, continua a sostenere che fra i due uomini, il De Ceglie e un suo conoscente coetaneo, del quale ora sono state fornite le iniziali, A. M., commesso in un’autoconcessionaria, ci sia stato un diverbio conclusosi con una gomitata in pieno petto e successiva caduta da parte del De Ceglie che avrebbe battuto la testa sul pavimento del gazebo del lido, il noto circolo cittadino “Park Club”, in via Giovinazzo accanto allo stadio “P. Poli, frequentato da una parte della borghesia cittadina. Una scena che si sarebbe svolta davanti a tanta gente, che però sostiene di non aver visto nulla, forse per il timore di essere coinvolta indirettamente nella vicenda. Ma la vedova di De Ceglie, signora Ottavia De Robertis, lancia l’accusa di omertà: “Impossibile che nessuno abbia visto nulla, il bar era pieno di gente e due persone che discutono animatamente si notano facilmente. C’è un’omertà vergognosa, eppure mio marito era una persona per bene”. La vedova, perciò, invita i presenti a collaborare con la giustizia: “è un dovere morale anche nei confronti dell’indagato”, aggiunge. La versione fornita dal presunto aggressore A. M. contrasterebbe con quella del testimone chiave: il meccanico gli avrebbe chiesto di saldare una pendenza di appena 20mila lire per un lavoretto di officina. A. M. si sarebbe rifiutato di soddisfare questa richiesta, sostenendo che il lavoro non sarebbe stato eseguito a regola d’arte. A quel punto, sempre secondo l’indagato, De Ceglie lo avrebbe bloccato alle spalle e lui avrebbe tentato di liberarsi per evitare brutte figure davanti a tanta gente. L’uomo poi avrebbe visto cadere il meccanico senza pensare a possibili conseguenze (l’autopsia ha accertato che De Ceglie è morto nel giro di 15 minuti). Continua comunque a circolare l’altra ipotesi, con contorno di pettegolezzi, che vuole il litigio legato alla difesa presa dalla vittima nei confronti di una socia del “Park Club”, oggetto di fastidiose attenzioni da parte dell’indagato. Il magistrato, comunque, continua il suo lavoro per risolvere questo che più che un giallo appare – come accusa la vedova - proprio come un caso di omertà, che nella nostra città non è nuovo: c’è una vecchia tradizione nella parte peggiore di alcuni cittadini che oscilla tra l’omertà e la vergognosa delazione. Michele de Sanctis jr.
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