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L'ultimo uomo sulla terra: lo spettacolo degli Alchemici ieri a Molfetta
14 giugno 2009

MOLFETTA -La difficoltà maggiore, per Giulio Bufo, nella preparazione dello spettacolo “L'ultimo uomo sulla terra”, è stata quella di tradurre il romanzo “1984”, di George Orwell, in drammaturgia. Ma, come ha ricordato Bufo nella conferenza stampa nella libreria il Ghigno, assieme a Isa de Marco, ciò che ha attraversato le scene è stato l'occhio sulla società attuale attraverso le parole di Orwell. Il fascino del suo romanzo si attualizza per le straordinarie anticipazioni dell'autore sui caratteri del mondo moderno. Spesso le vite si muovono di fronte ad uno schermo, che alimenta le idee e governa le azioni, lasciando le persone nell'isolamento dell'impotenza. Nell'impossibilità di costruire, di creare. Come gli uomini già morti, quegli uomini vissuti da regole fisse e immutabili, addomesticati dal regime infame che penetra nelle menti inconsapevoli della gente, condizionandole alle sue parole. Quelle parole che Winston, interpretato da Michele Ortiz, è costretto a scrivere sul giornale del regime, ma che lo distaccano sempre più dall'insignificanza dell'obbedienza, dalla povertà dell'odio. Perché è l'odio a dirigere le menti in una sola via, fatta di sudditanza incosciente, di slanci uccisi dal passato immemoriale ormai tradito. A tradirlo è stato un presente reso eterno da chi vive negli ordini, nella identità delle situazioni, che non ricevono dal futuro un senso, il proprio fine. Non c'è più niente a legare gli animi alle tensioni del desiderio, non c'è più l'amore a rendere ogni atto irripetibile, a sedurre i pensieri per trascinarli nel vortice dei sogni, delle utopie. Un'utopia negata, una tendenza passionale spezzata dagli ammonimenti dei funzionari del Granz, dalle immagini passate in rassegna sullo schermo artificiale del regime, ad imporre nuovi miti fatti di apparenza, di muscoli scolpiti al sole. A coprire il vuoto della cultura, a dire la pace per nascondere la guerra, a mostrare il bello per far dimenticare l'altezza di certi miti che, approssimandosi ai sogni, fanno risuonare la musica dell'attesa, dell'ambizione. Verso il futuro, verso mondi ancora da scoprire. Tutto lì, nascosto sotto gli occhi di tutti, ignorato dall'indifferenza, coperto dal suo contrario. Nell'intreccio di immagini e parole, di emozioni e realtà, di quel mondo piatto in cui spesso siamo costretti a cercare ritagli di novità, di mistero, di amore. Cercando di aprire un varco tra i muri stretti che bloccano la varietà delle vedute e addormentano la vita. Tra le emozioni trasmesse dal teatro di Giulio Bufo, ieri, è impossibile non ricordare il fallimento di un teatro, che costituisce anche l'unico cinema molfettese: il cinema Odeon. Nonostante la richiesta degli Alchemici di Giulio Bufo e di altre compagnie teatrali molfettesi di ricevere spazi dalle istituzioni per nuove rassegne e laboratori, la risposta è sempre la stessa: solo i grandi eventi vengono finanziati. E intanto tutti assistono inermi al fallimento dell'Odeon, mentre gli operatori culturali del territorio sono costretti a lottare per ottenere un posto per esprimere il teatro, per riportare la cultura a Molfetta.
Autore: Giacomo Pisani
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A modo mio, miscelando Bauman e De Andrè. "La tragedia della cultura, consiste nel fatto che la scienza, la tecnica, l'arte, tutte prodotte dalla spinta dello spirito umano verso il miglioramento e il perfezionamento, diventano sempre più irrilevanti per il loro creatore e per il loro scopo originario, e questo proprio a causa del loro successo. La cultura umanistica non rende più umani, perchè le sue proliferazioni, numerose e vigorose, hanno cessato di essere in primo luogo "umanistiche". L'intellettuale diventa ora un concetto che separa i portatori di cultura non solo dai non-istruiti, ignoranti, primitivi o altrimenti incolti, ma anche da più di uno scienziato, tecnico e artista. L'intellettuale come estraneo, un estraneo in um mondo saturo di scienza, tecnologia e arte. In un mondo del genere, l'intellettuale, nel suo ruolo tradizionale di legislatore culturale, non può che essere un tragico viandante senza dimora. Nessuno ha bisogno della sua guida, salvo qualche altro estraneo come lui stesso. Un tempo le speranze erano invero tali da mozzare il fiato. I portatori di Lumi, i dotti, gli intellettuali credevano di avere qualcosa di grande importanza da offrire a una umanità malata e in "attesa"; credevano che gli studi umanistici, una volta eseguiti e assimilati, avrebbero reso le persone più umane; che avrebbero riplasmato la vita degli esseri umani, i loro rapporti, la loro società. La cultura era vista come l'unica possibilità che l'umanità aveva di respingere i pericoli congiunti dell'anarchia sociale, dell'egoismo individuale, dell'unilaterale, mutilante e sfigurante sviluppo del sè.(Z.B.) Oggi questi pericoli sono diventati quotidiani e esaltati dal consumismo eccessivo e senza regole, una cultura massificata diventata volgare e del "peggio", dell'intrigo e della curiosità del "visto attraverso il buco della serratura". "La cultura doveva essere uno sforzo guidato, ma entusiasticamente e universalmente condiviso, per raggiugere la perfezione. Nessuno ha espresso questa speranza più acutamente di Matthew Arnoldo: "La cultura, che è lo studio della perfezione, ci conduce a concepire la vera perfezione umana come una perfezione "armoniosa", che sviluppa tutti i lati della nostra umanità; e come una perfezione che sviluppa tutte le parti della nostra società. L'idea della perfezione come di una espansione generale della famiglia umana urta col nostro forte individualismo, col nostro odio per ogni limitazione al disfrenarsi della personalità individuale, con la nostra massima del "ciascun per se". Ma la cultura indefessamente si studia, non di erigere a norma su cui modellarsi ciò che possa piacere a qualsiasi persona incolta; ma di avvicinarsi sempre più a un senso di ciò che è veramente bello, grazioso e decoroso, e di far sì che esso piaccia alla persona incolta". (Z.B.) Scomparsi questi "intellettuali", sostituiti dai falsi, demagogici intellettuali al servizio del principe, l'impegno a combattere e a resistere, anche con le armi della parola e della poesia, questo sistema che produce violenza, sfruttamento e infamità: fatta appunto di ricchezze ostentate e di ignoranza elevata a valore.
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