L'età giolittiana (I parte)
Napoli – 8. 12. 2006
Dopo la crisi di fine secolo la sinistra liberale, capeggiata da Giuseppe Zanardelli e Giovanni Giolitti (foto), diede inizio ad un nuovo corso politico teso a superare la frattura tra “paese reale” e “paese legale”, attraverso l'integrazione dei socialisti e dei cattolici nello Stato italiano.
In cambio della fiducia ai governi presieduti da Zanardelli, i socialisti ottennero il riconoscimento dei loro diritti all'organizzazione, allo sciopero e alla neutralità del governo nei conflitti del lavoro. Tuttavia, il consenso dei socialisti non era scontato. Nel 1903 essi si dividevano in riformisti e massimalisti. I primi, guidati da Filippo Turati e da Leonida Bissolati, avrebbero sostenuto il governo Giolitti dall'esterno. Ma nel partito prevalsero i massimalisti che affermarono la loro linea di intransigenza dottrinaria ispirata all'anarco-sindacalismo. I riformisti, invece, proponevano un “programma minimo” di riforme, con le quali miravano ad affermare i diritti civili e politici dei lavoratori, nonché a migliorarne le condizioni di vita e di lavoro.
Il contrasto tra le due correnti all'interno del Partito socialista rifletteva il divario dello sviluppo delle forze di produzione tra regioni settentrionali e regioni meridionali. Nei confronti di queste ultime il “programma minimo” dei riformisti non poneva soluzioni significative ai problemi che travagliavano le masse rurali.
Con il congresso del 1908, i riformisti tornarono alla guida del partito e poterono assicurare il loro appoggio a Giolitti sino al 1912, anno in cui il congresso di Reggio Emilia sancì il ritorno dei massimalisti rivoluzionari.
Altrettanto problematico fu il rapporto tra Giolitti ed i cattolici: di chiusura durante il pontificato di Leone XIII e di apertura sotto quello di Pio X. Questi infatti, ritenne fondamentale l'alleanza con i liberali giolittiani onde contrastare la progressiva affermazione del socialismo materialista. In questo modo, si giunse alla progressiva attenuazione del non expedit, ossia alla progressiva partecipazione dei cattolici, guidati da Filippo Meda, alla vita politica nazionale.
Nel 1913 mediante il Patto Gentiloni fu assicurato su larga scala l'appoggio dell'elettorato cattolico ai candidati che avessero assunto l'impegno di opporsi a tutti i provvedimenti contrari agli interessi della Chiesa.
Se il merito di Giolitti fu quello di integrare i socialisti ed i cattolici nella vita nazionale, è anche vero che egli fu il diretto responsabile del diffondersi delle pratiche politiche clientelari e trasformistiche soprattutto nel Mezzogiorno, che in quegli anni espresse una classe dirigente quasi del tutto filo ministeriale.
Da un punto di vista legislativo, Giolitti utilizzò lo strumento delle leggi speciali per favorire lo sviluppo economico del Meridione.
Salvatore Lucchese