Prima risposta all'esclusiva iniziativa di “Quindici” di invitare i lettori a inviare racconti inediti fra i quali sarebbero stati selezionati i migliori da pubblicare. I nostri sforzi hanno cominciato a dare i loro frutti. Domenico Marino è un giovane molfettese che ci ha proposto questo ottimo e affascinante racconto. Senza dubbio l'autore non è alle prime armi perché mostra una buona padronanza del linguaggio e una invenzione che, seppur ripercorre argomenti già letti, mostra come si possono realizzare fiabe per adulti che amano la narrativa di genere, senza scivolare nell'ovvio o nello stucchevole. Tra le tante opere pervenute alla redazione è quella che per prima si è ampiamente meritata la pubblicazione, ma ne seguiranno altre di altrettanto valore. In ogni caso tenete a mente il nome di questo ragazzo, certo lo risentirete perché si farà strada. (d. a.)
Eric il Cantastorie sedeva sulla sabbia, da qualche parte nel mezzo delle distese desolate che nei Regni erano chiamate Terre Aride. Intorno a lui il buio di una notte senza luna, davanti a lui uno dei falò dell'accampamento dei nomadi. Il vecchio nomade seduto accanto al fuoco lo fissava in silenzio, gli occhi scintillanti tra una ragnatela di rughe, il volto bruno antico ed impenetrabile come il deserto. Per lunghi momenti i due uomini si osservarono, immobili, nella muta attesa di qualcosa. Infine l'anziano nomade chinò la testa, si avvolse nel mantello e si sedette più comodamente, ed Eric seppe che la sua richiesta era stata accolta, che avrebbe ottenuto ciò per cui si era spinto fin lì, nel cuore del deserto. Stava per ascoltare una nuova storia.
La voce bassa e musicale del nomade iniziò a narrare.
“Avvolta dai fumi profumati dell'incenso, la Principessa, perla del regno, bellezza senza eguali, giaceva mollemente avvolta in drappi di seta su un letto di vetro, che poteva sostenere solo lei, col suo inconsistente peso. Seduto per terra, nei pressi del letto, il giovane Musico suonava sulla sua sitar note d'amore e di dolore. Ad un certo punto smise di suonare, e gli schiavi neri alzarono tutti insieme la testa, sorpresi come le danzatrici berbere, rimaste con un passo di danza sospeso a mezz'aria. Il giovane Musico ardì sollevare gli occhi sulla Principessa, e chiese con la voce dolce: - Potrà mai amarmi, Principessa?
Solo quando nel mio regno il ferro sarà diventato oro, i fiumi torneranno alla sorgente e il sole sorgerà ad occidente – rispose la Principessa con la sua voce da divinità, per premiare l'audacia del servo.
Il giovane chinò la testa, sospirò profondamente, e disse: - Aspetterò.
Quella notte il Musico percorse la strada che nessuno percorreva mai, fino alla caverna che si trovava ai piedi della montagna, ci entrò e scese al buio una lunga e umida scala a chiocciola, pregando di non cadere. Non cadde, ed arrivò nell'antro sotterraneo del Mago. Era una grande caverna piena di oggetti misteriosi, uccelli impagliati, statue di demoni, simboli e pozioni arcane. Il Mago era un uomo imponente, vestito di nero, e il suo bastone era nella foggia di un lunghissimo serpente rosso, che reggeva una sfera di cristallo in bocca.
Cosa vuoi da me, ragazzo? – chiese il Mago, che non leggeva più nei cuori, perché da troppo tempo era da solo.
Voglio che tu trasformi in oro tutto il ferro del regno, così forse l'animo della Principessa muterà.
Posso farlo, ma è faticoso. Cosa mi darai in cambio?
Non ho molto da darti, anche la mia sitar appartiene alla Principessa. Possiedo solo una misera capanna.
Mi va bene, prenderò quella. Va, esaudirò il tuo desiderio.
Il Musico risalì la scala a chiocciola, e ripercorse indietro la strada che nessuno percorreva mai, fino alla città. Quando vi arrivò sorgeva l'alba, e tutti correvano in increduli fuori dalle case urlando di gioia, perché pentole, catene, secchi ed ogni altro genere di ferro si era trasformato in oro. Il giovane non se ne curò; passò davanti al luogo dove sorgeva la sua casa, e vide che non c'era più, ma non se ne curò; andò direttamente al palazzo reale, dove gli schiavi neri e le danzatrici berbere osservavano stupefatti gli anelli di ferro che portavano alle braccia, simboli della loro schiavitù, divenuti d'oro come i gioielli della Principessa.
Il Musico sedette ai piedi dei letto di vetro, e suonò dolci note con la sitar per attirare l'attenzione della Principessa. Quando lei si accorse della sua presenza, lui chiese: - Nel tuo regno tutto il ferro è diventato oro. Ti basta? Potrai amarmi ora?
Tutto il ferro è diventato oro, ma i fiumi scorrono ancora verso il mare, e il sole sorge ancora ad oriente. Non posso amarti.
Il giovane chinò la testa, sospirò profondamente e disse: - Aspetterò.
Quella notte, il Musico percorse di nuovo la strada che nessuno percorreva mai, entrò nella caverna ai piedi della montagna, scese la scala a chiocciola pregando di non cadere e raggiunse l'antro del Mago. Oltre a tutti gli oggetti strani della sera prima, nella caverna c'era anche la sua casa, sull'uscio della quale era seduto il Mago.
Cosa vuoi da me, ragazzo? – chiese il Mago.
Voglio che tu faccia scorrere verso la sorgente tutti i fiumi del regno, così forse l'animo della Principessa muterà.
Posso farlo, ma è molto faticoso. Cosa mi darai in cambio?
Non ho più avere, posso darti solo la mia abilità nel suonare la sitar.
Mi va bene, la prendo. Va, esaudirò il tuo desiderio.
Il giovane ritorno in città lungo la strada che nessuno percorreva mai, e arrivò all'alba quando i cittadini appena svegli avevano cominciato ad urlare di stupore, vedendo i fiumi invertire il loro corso naturale, e tornare sulle montagne. Andò al palazzo dove gli schiavi neri e delle danzatrici berbere, affacciati agli alti balconi, osservavano lo strano spettacolo dell'acqua che risaliva le pendenze.
Il Musico si sedette ai piedi del letto di vetro, ma non suonò la sitar, perché non sapeva più farlo.
Quando la Principessa, ore dopo, si accorse della sua presenza, lui chiese: - Nel tuo regno tutto il ferro è diventato oro e i fiumi scorrono verso la sorgente. Ti basta? Potrai amarmi ora?
Tutto il ferro è diventato oro e i fiumi scorrono verso la sorgente, ma il sole sorge ancora ad oriente. Non posso amarti.
Il giovane chinò la testa, sospirò profondamente, e disse: - Aspetterò.
Quella notte il Musico percorse per la terza volta la strada che nessuno percorreva mai, entrò nella caverna ai piedi della montagna, scese la scala a chiocciola pregando di non cadere e si ritrovò di nuovo nell'antro del Mago, il quale era seduto sull'uscio della capanna, suonava la sitar.
Cosa vuoi da me, ragazzo? – chiese il Mago
Voglio che tu faccia sorgere il sole ad occidente, così forse l'animo della Principessa muterà.
Posso farlo, ma è faticosissimo. Cosa mi darai in cambio?
Non ho più nulla, posso darti solo la mia anima.
Non so che farmene della tua anima, ma non disperarti. Saprò in ogni caso prendere qualcosa di molto prezioso. Va, esaudirò il tuo desiderio.
Il giovane tornò ancora una volta in città lungo la strada che nessuno percorreva mai, e arrivò all'alba quando una folla si riversò per strada, urlando di terrore perché il sole stava sorgendo dallo stesso lato del mondo su cui era tramontato. Andò al palazzo, e anche lì schiavi neri e danzatrici berbere gridavano e piangevano, ma non per la paura, ma perché la Principessa era stata male durante la notte, e stava per morire.
Il Musico urlò di dolore, e corse per i corridoi, perché doveva parlare alla Principessa un'ultima volta. Raggiunse il letto di vetro, dove la perla del regno sembrava ormai un pallido fantasma, e le chiese:
Nel tuo regno tutto il ferro è diventato oro, i fiumi scorrono verso la sorgente ed il sole è sorto ad occidente. Ti basta? Potrai amarmi, ora?
La Principessa socchiuse le labbra esangui per rispondere, ma l'anima approfittò di quel pertugio per sgusciare fuori. Il giovane la vide sotto forma di un mulinello di vento, che volava verso la montagna. Allora comprese il piano malvagio del Mago, che a forza di non vedere nessuno si era annoiato tanto da decidere di rubargli la vita, e corse come un pazzo lungo la strada che nessuno percorreva mai, si buttò a capofitto nella caverna ai piedi della montagna e giù lungo la scala a chiocciola, lanciando grida da invasato, finchè irruppe nell'antro del Mago, che sedeva sull'uscio della capanna suonando la sitar, col pallido fantasma della Principessa sdraiato ai suoi piedi, a fissarlo con sguardo adorante.
Cosa vuoi, da me ragazzo? – chiese il Mago, sorridendo trionfante.
Voglio che tu mi ridia la mia casa, la mia musica e la mia donna, maledetto ladro.
Riprenditele, se puoi! – rise il Mago, facendo risuonare la volta della caverna.
Il Musico si scagliò contro il suo nemico, ululando come uno sciacallo per la furia ed il dolore, deciso a strappare il cuore dal petto dello stregone, e mangiarlo, ed imparare così ciò che gli era necessario conoscere per riavere la sua vita. Il Mago sollevò una mano, e subito i geni invisibili che in tanti anni di solitudine erano stati la sua unica compagnia afferrarono il giovane, lo scagliarono contro una parete di pietra, e lo trattennero con forza di catene d'acciaio, finchè il Musico non capì che lottare era inutile. Si sedette per terra, col capo tra le ginocchia, e pianse la sorte che lo aveva fatto Musico, incapace di cambattere. Il fantasma della Principessa rise delle sue lacrime, ma il Mago si avvicinò a lui e lo guardò con commiserazione.
Non puoi costringermi a ridarti ciò che ti ho preso, perché io sono un potente Mago, e tu uno stupido Musico. – disse – Ma ti prometto che non terrò per sempre per me quello che ti ho preso. Un giorno riavrai tutto. – Il Musico alzò la testa con speranza. Avrebbe assolto ogni condizione del Mago, fatto tutto ciò che gli fosse stato chiesto. Il Mago vide la luce nei suoi occhi, e sorrise beffardo. – Ti restituirò ciò che è tuo quando nel cielo tutte le stelle saranno spente.
E rimane incredibilmente sorpreso quando il giovane chinò la testa, sospirò profondamente e disse: - Aspetterò.
Ormai il regno della Principessa è solo un cumulo di rovine, nel mezzo di questo deserto. I fiumi sono inariditi, le montagne scomparse. Ma c'è chi racconta che nelle notti senza luna, quando più forte brillano le stelle, un'ombra si aggiri per i ruderi. E chi si è fermato ad osservarla giura che si tratta di un giovane che, urlando di rabbia, passa tutta la notte a lanciare sassi contro il cielo stellato.”
Domenico Marino
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