L'Arialata e le sirene di Mariangela Ruccia
Un fascino ipnotico si sprigiona dalle creazioni esposte da Mariangela Ruccia e dalle sue allieve presso la Chiesa della Morte, nell’ambito di Arialata, iniziativa promossa dalla FIDAPA, segnatamente dall’allora presidente Lidia Gagliardi Amato. La mostra è stata inaugurata in data 22 settembre alle 18, con la relazione della prof.ssa Jole de Pinto, poetessa e critico letterario, che ha introdotto “Logica & Fantastica”, testo della professoressa Chiara Scardicchio, che ha offerto numerosi spunti concettuali per il laboratorio di ceramica tenuto dalla Ruccia alle Fidapine. Immagini e proiezioni sono state curate dal dott. Giovanni Ventura. Alla professoressa de Pinto anche il compito di accompagnare le bellissime sculture delle allieve del corso di ceramica di Mariangela Ruccia, con una poesia tratta dalla silloge L’ora di dentro, Sirene. In tale lirica, la de Pinto, con eleganza levigata e ariosi voli fantastici, pennella l’essenza di queste “libere creature / fatte d’acqua come le meduse”, rendendole metafora dei sogni stessi dei poeti, tesi a ‘sfrattare’ “il vuoto ghigno / della morte / sulla sabbia essicata della riva”. Le maliose ceramiche delle allieve palesano l’interiorizzazione della poetica della loro maestra. L’arte di Mariangela Ruccia, infatti, abbraccia con amore il moto perenne del creato, traducendolo in danza senza fine, in cantico di cristallina purezza. La precisa scelta espressiva di custodire e perpetrare, come una sorta di vestale dell’incanto primigenio, tecniche antichissime come il raku (emblema dell’armonia insita nelle piccole cose) o l’engobbio, per colorare o grafire la ceramica, germina dell’anelito ad abbracciare la materia nelle sue forme primordiali. È figlia della prometeica tensione all’approssimarsi al moto demiurgico della divinità. E Mariangela Ruccia avverte perpetuamente il richiamo del divino, mellificando suggestioni che muovono dalla mitologia gaelica sino alle genealogie divine greche e all’immaginario cristiano, per poi rielaborare ogni tassello in un repertorio onirico ricco di felicissime originali peculiarità, come nella bellissima Arialata. In una commistione di animismo postmoderno e suggestioni ancestrali, l’artista produce non di rado figure femminili, spesso deità, connotate dall’estasi orante. Appare persuasa la Ruccia che proprio il femminino, sulla terra, rappresenti l’arcano mediatore tra umanità e natura, tra materia e principio spirituale. Così, nelle sue forme rivive perennemente la Grande Madre, che coesiste con l’archetipo della Vergine Maria nella salmodia universale di un creato esaltato nel Magnificat. Altra creatura dominante è la Sirena che, anche quando è, con ironia, prestata alla realizzazione di un fischietto, diviene ipostasi del sogno e può però rivelarsi, se l’incanto diviene ebbrezza, foriera di sciagure, apparentandosi all’ondina Lorelei. Costante è il tema della necessità di instaurare un contatto tra il mondo dei vivi e le anime limbiche, l’oltretomba (sia Orco o Sidhe, quello che per i Celti era “un mondo parallelo felice); ecco la funzione dell’Ermete del bellissimo totem delle voci. Al dio del caduceo era, nella mitologia antica, affidata la missione di “psicopompo”, ossia di guida delle anime. Mediatore tra l’umano e il divino è anche Prometeo; il suo sorriso insolente di titano bellissimo cela il disegno della ribellione al sommo Zeus e il progetto di beneficare l’umanità, donandole una scintilla del fuoco divino. In fondo è un po’ ciò che compie ogni artista, a maggior ragione chi, come la Ruccia, modella materia baciata dal calore incandescente, in una mescolanza degli elementi primordiali, per rappresentare l’armonica danza (si pensi alla valse du feu o alla Danza alla luna, altra divinità legata all’oltremondo) di un universo circonfuso d’ineffabile splendore