San Pietro, com'è noto dai Vangeli, fu tra i più intraprendenti e sicuramente il più impulsivo degli apostoli, per cui ne divenne il portavoce e capo riconosciuto, con la celebre promessa del primato: “E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”(Matteo 16,18). Questo grande personaggio evangelico non è stato risparmiato dalla leggenda, la quale ha fatto propri alcuni detti o locuzioni che spesso udiamo nel linguaggio popolare. Leggiamoli insieme.
Ci a' ppèrse…u presutte (chi ha perso… il prosciutto): Mentre peregrinava con il suo Maestro, pare che San Pietro abbia trovato un prosciutto smarrito da qualche benestante della Galilea. Subito la sua mente fu colta da un difficile dilemma: restituire il prosciutto al legittimo proprietario, compiendo così un gesto di onestà, oppure trattenere il prosciutto e farsi una scorpacciata una volta tanto nella vita. La scelta della decisione gli procurava grande turbamento. Allora chiese a nostro Signore come dovesse comportansi. Il Maestro gli rispose: “restituisci il prosciutto a colui che l'ha perduto, bandendo la notizia del suo ritrovamento”. San Pietro, timido e riverente, obbedì e cominciò a gridare ci a' ppèrse…u presutte, con voce alta, nei crocicchi delle strade affinché tutti potessero udirlo. Ma per il troppo gridare, gli venne meno la voce. Sicchè l'ultima parola, u presutte, a mala pena era udita dalla gente, compreso il presunto proprietario. Si fece quindi strada la realizzazione del secondo desiderio, segretamente nascosto nel suo cuore: tenersi il prosciutto, perché la roba perduta e non richiesta dal proprietario rimane a chi l'ha trovata.
La strasciàiene de Sén Bìete ( la scia di San Pietro). Come ci riferisce Marco I. de Santis (“Perché si dice così”, Ediz. Quindici 2002), l'apostolo Pietro, desideroso di riposare più agiatamente in Paradiso, pensò di farsi un giaciglio di fieno. Per procurarselo, tornò fra gli uomini e prese un'enorme bracciata di paglia, tale che a stento poteva trasportarla. Ma lungo il cammino dalla terra al cielo, non riuscendo a contenere tra le braccia il traboccante carico di fieno, seminò un'estesa scia di fili d'oro, dando origine alla Via Lattea che, per la grande distanza dalla terra, appare biancastra
Re cepodde de Sén Bìete (le cipolle di San Pietro o cipolle rosse). Sono cipolle a forma rotonda, schiacciata, di colore rosso rame o rosso vino e di notevole grandezza. Che collegamento c'è fra la cipolla e l'apostolo Pietro? La risposta ci viene fornita da una leggenda isernina. Un giorno la madre di San Pietro, molto avara e cattiva, mentre sciacquava in un ruscello delle cipolle appena colte, se ne fece sfuggire una di mano, che fu portata via dalla corrente. Poco più giù, una povera vecchia riuscì ad afferrare l'ortaggio e chiese alla madre di San Pietro il permesso di mangiarlo, perché aveva fame. Quella, per la prima volta nella sua vita, fu colta da benevolenza e acconsentì. Quando la mamma di San Pietro morì, fu mandata all'inferno a causa della sua avarizia. Lei, allora, ricorse a figlio: “Figliolo, mi hanno messa tra le fiamme; è un tormento. Non abbandonare la tua mammina, portami in paradiso con te”. San Pietro le rispose che non si poteva: “Cosa direbbero le altre anime, mamma?”. La donna, però, non faceva altro che chiamarlo per ripetergli di trasferirla in paradiso. Così per far cessare quel lamento, San Pietro si decise ad invocare l'intervento di Gesù per tirarla via di lì. “Dopo tutto - disse il Santo - una volta ha fatto la carità ad una vecchia affamata: le ha regalato una cipolla”. A Gesù venne quasi da ridere, però, per far piacere a Pietro, acconsentì che la madre uscisse dall'inferno. “Se è stata così caritatevole - disse ironicamente Gesù - falla appendere ad una resta di cipolle e portala con te in paradiso”. Appena la madre fu alla resta, il Santo cominciò a farla salire verso il paradiso, ma altre anime dannate si avvinghiarono alla veste della donna per salvarsi anch'esse. Ella, allora, cattiva com'era, urlò loro di staccarsi e menava calcioni, perché voleva salvarsi da sola. E tanto urlò e si dimenò che la resta si spezzò, facendola precipitare nuovamente e definitivamente all'inferno.
U Pèsce Sén Bìete (Il pesce San Pietro, Zeus faber ). Molto gradito sulle nostre tavole, è un pesce fornito di macchie nere al di sopra della parte terminale della pinna pettorale. Secondo una leggenda, queste macchie sarebbero le impronte digitali dell'apostolo Pietro che avrebbe afferrato questo pesce per prelevare dalla sua bocca una moneta che in quel momento gli serviva per pagare un tributo.
La chiè du Paravàise la tèiene Sén Bìete (La chiave del paradiso l'ha soltanto San Pietro). Per dire che è inutile affannarsi a cercare su questa terra la chiave della felicità, che altro non è che una dolce chimera. Solo in Paradiso potremmo godere della vera felicità e ritrovarci in una festa senza fine. “Se l'umanità - scrive Gerardo de Marco (Orme, Ediz. Mezzina, Molfetta 2004) - si accontentasse del suo stato, cercando solamente di migliorarlo nel limite delle possibilità, sarebbe veramente felice”.
Sén Bìete u tegnéuse (San Pietro il “tignoso”). Il detto è riferito alla vecchia statua di San Pietro, portata in processione, il sabato santo, fino al 1947. Era particolarmente cara ai molfettesi soprattutto per certe sue originalità. Aveva la mano destra sulla fronte, nel sovvenimento di aver rinnegato il Maestro e la mano sinistra distesa sul gallo, quasi a imporgli di tacere. La statua, come scrive Orazio Panunzio (Diario per la Confraternita della Morte, Amici della Tradizione, Molfetta 1987), raffigurava un uomo anziano, con la barba grigia e un'ampia calvizie. San Pietro era il beniamino dei molfettesi, grandi e piccini, in primo luogo, per la presenza del gallo che con la sua livrea e becco dischiuso sembrava volesse lanciare il suo muto chicchirichì. In secondo luogo per la calvizie del Santo, che veniva considerata quasi fosse una vasta area di diradamento dei capelli dovuta alla tigna: la malattia parassitaria del cuoio capelluto, estremamente contagiosa, che colpisce soprattutto i bambini e che all'inizio del secolo era ancora molto diffusa a Molfetta, specialmente nella città vecchia, a causa dell'arretratezza delle condizioni igieniche. Per questa similitudine, San Pietro era chiamato “il tignoso”, appellativo benevolo che certo non voleva essere irriverente, bensì un segno di familiare confidenza, spinto fino a considerare il Santo come “il protettore dei tignosi”.
Quo vadis? (Dove vai?). E' una delle più popolari frasi latine, attribuita a San Pietro (riportata nel romanzo pubblicato dal polacco Henryk Sienkiewicz nel1896, trasferito nelle sale cinematografiche con un film omonimo di Mervin Le Roy del 1950). L'episodio clou sta nell'apparizione di Gesù all'apostolo Pietro che, stupito e commosso, si butta ai suoi piedi, gli chiede dove va, e glielo chiede con quelle famose parole “Quo vadis, Domine?”, dove vai, Signore? Non si tratta di una invenzione letteraria, ma di un'antica tradizione cui Sienkiewicz attinge: Pietro cammina lungo la via Appia per fuggire da Roma, mentre divampa la persecuzione dei cristiani promossa da Nerone. Gesù, che muove in senso inverso, gli risponde dolente: “Venio iterum crucifige”, vengo di nuovo a farmi crocifiggere, con ciò richiamandolo alle sue responsabilità di capo della Chiesa. Pietro capisce e torna indietro, verso l'inevitabile martirio.