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Ipssar, successo della commedia musicale Rinaldo in campo
15 maggio 2009

Ancora una volta, nell’ambito della IX edizione della “Giornata dell’Arte e della creatività”, il Laboratorio di arti sceniche dell’IPSSAR di Molfetta ci regala un allestimento delizioso, assolutamente all’altezza di precedenti lavori come “Emozioni al muro” (sul canovaccio della verghiana “Cavalleria rusticana”) o “La baronessa dell’Olivento” (la Vlaika focomelica di Raffaele Nigro). A rallegrare il pubblico stavolta un libero adattamento della commedia musicale di Garinei e Giovannini “Rinaldo in campo”, un classico rivisitato grazie alla sapiente opera di regia e coordinamento artistico delle docenti Adelaide Altamura, Teresa De Leo, Carla Calò e Rosita Napolitano. La scenografia e i pregevolissimi costumi sono stati curati da Antonietta Travaglini; preposto alle spiritose coreografie, tutt’altro che avulse dalla progressione dell’azione scenica, Antonio Roselli. L’esecuzione musicale è stata coordinata da Antonio Allegretta e Francesco Giancaspro. L’intera équipe di docenti e studenti ha ricevuto il plauso del preside, prof. Pellegrino de Pietro, che ha ricordato, con orgoglio, alla numerosa platea le molteplici attività di un istituto alberghiero fucina di giovani talenti. I nomi dei personaggi del “Rinaldo in campo”, dal protagonista all’amata-odiata Angelica, passionale virago, rinviano alla tradizione epico-cavalleresca (Marfisa) ed eroica (Clorinda, Armida) italiana, che riconosce nei poemi di Ludovico Ariosto e Torquato Tasso le sue più mature ed alte espressioni. Quella dell’umanità sbozzata nel “Rinaldo”, figlia di una Sicilia allora teatro della memorabile impresa delle Mille, è tuttavia un’epopea canagliesca, animata da briganti che vivono di espedienti e sfruttano l’inquieto fervore patriottico di personaggi come la giovane baronessa di Valscutari, per racimolare quattrini e sbarcare il lunario. È proprio durante una delle proprie bricconesche ‘imprese’ (certo, finalizzate a estorcere danaro ai ricchi per donarne alla gente povera) che, travestito da zelante garibaldino, il simpatico e picaresco Rinaldo Dragonera (Dario Dell’Orco), capo di una temuta quanto scalcinata banda di briganti, fa innamorare di sé la volitiva, nonché lievemente rompiscatole, Angelica (Rosalba Mastrodonato). A dispetto del nome, la giovinetta, che fugge da casa per seguire l’amato, tutto appare fuorché una donna-angelo: le continue schermaglie tra Rinaldo e la fanciulla approderanno a un momento celeberrimo, il duetto “Sì e no” (cavallo di battaglia di Domenico Modugno e Delia Scala, come di altri mostri sacri dello spettacolo italiano). Questa comicissima rappresentazione dell’eterno incontro-scontro che caratterizza il rapporto tra amanti finisce col rappresentare Angelica come una sorta di mutante, capace di resistere all’impatto coi “pescicani”, alla vivisezione (“io pure in mille pezzi mille volte parlerò”), alle fiamme dell’Etna (“Io esco dalle fiamme e più infiammata parlerò”), a tutte, insomma, le estrose fantasie omicide di Rinaldo, per risorgere e pungolare l’uomo col proprio eloquio infernale. Così, l’amore produrrà la metamorfosi del brigante in garibaldino, trasformazione, a dirla tutta, piuttosto casuale e forzata dalle circostanze, ma che, in fondo, appare cosa buona e giusta. Bravissimi gli interpreti: Dario Dell’Orco incarna alla perfezione il Rinaldo antieroe dotato di un suo ferreo codice d’onore; nel canto la sua voce si leva limpida e si apprezzano le doti interpretative del ragazzo soprattutto nelle celeberrime gag dei “tre briganti e dei tre somari” o nella suadente rassegna delle femmine/ pecorelle, che sfocia in un gradevolissimo numero di danza di briganti e concubine. Rosalba Mastrodonato è una roccia; una scelta felicissima, una vera rivelazione: odiosa e irresistibile al punto giusto nel recitativo del “duetto sì e no”; romantica e ingenua quanto si conviene nei momenti di commozione. Ci piace moltissimo anche il Chiericuzzo camaleontico, smargiasso e simpatico di Gaetano Pisicchio, con quell’aria a suo modo un po’ dandy e svagata che ne fa uno dei punti di forza dell’allestimento. Un plauso merita anche l’elegantissimo cantastorie di Michele Febbrile, perfetto nell’imitare la cadenza lamentosa di queste figure di cui la società moderna, disincantata e volgare, avrebbe ancora disperatamente bisogno. Giusto è comunque menzionare tutti gli interpreti (Antonio Di Pinto – Pureonaso e Lu Lupu; Antonio Fiorentino: Facciesantu; Angela Zaza – Zia Agata; Francesco Ventura – Don Rosario; Domenico Marcone – Capitano Birolli; Paola Rossoni – Armida; Angela Habachi – Clorinda; Angela Carbonara – Marfisa; Aber Semini – Scippalestu; Alessandro Nocella – Sfaticatu; Sara De Bari, Erika Scaringella, Annamaria Leo, Donato De Bari, Alessandro Nocella – Briganti): quando un laboratorio scolastico di arti sceniche sfocia in un allestimento ch’è una festa dei colori, delle arti, dell’integrazione e, insomma, un vero inno alla gioia, lo spettatore non può che ringraziare briganti, somari, pecorelle e chi li ha coordinati per novanta minuti di assoluto, sano, puro divertimento.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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