Io, guarita dal Covid, vi Daniela racconto la mia esperienza Bufo
Tampone rinofaringeo per ricerca dell’RNA virale SARS – CoV2 (2019- nCov): POSITIVO. È così che, poco più di un mese fa, ho avuto la certezza di aver contratto il Covid ma il mio corpo lo sapeva già prima. Era da un po’ di giorni ormai che non ero più la stessa, energie ridotte all’osso, dolori muscolari ed un forte raffreddore. Ho sperato fino alla fine fosse solo un’influenza dettata dal cambio di stagione ma sapere di esser stata a contatto con una persona vicina a me, risultata poi positiva, mi lasciava pochi dubbi. Da qui poco tempo per avvisare chi magari mi avesse incrociato nei giorni precedenti nelle aree comuni dell’azienda ed un paio di amici, prima del consueto fine settimana di Pasqua durante il quale è normale, magari, avere la possibilità di incontrare qualche conoscente in più. Sì, perché in fondo non è che in questo periodo ci sia così modo di vedere gente. Le giornate sono tutte uguali ormai da mesi e ci riduciamo ad incontrare il solito piccolo manipolo di persone tra lavoro e famiglia. Il lato subdolo di questa malattia sta proprio in questo. Non serve fare grandi cose, non serve esporsi ai più grandi pericoli per contrarlo. Come la varicella, il morbillo e gli orecchioni, lo si prende con un semplice contatto. Io ovviamente non ho fatto eccezione. L’ho contratto in uno dei luoghi che più reputavo sicuro, se messo a confronto con l’ufficio o qualsiasi altro spazio chiuso vi venga in mente. Il pranzo della domenica a casa di nonna, con i soliti cinque componenti della famiglia. Non se n’è salvato uno alla fine. Tutti positivi. Un errore di valutazione il mio, certamente. Ma dopo più di un anno è difficile privarsi anche di un semplice rito come può essere vedere nonna alla conclusione di una settimana fatta solo di lavoro. La prassi dettata dall’Asl è partita subito, il tampone di controllo fissato al 17 aprile. Mi ritengo molto fortunata perché nel mio caso il virus si è manifestato in modo blando, ma mi ha obbligata comunque ad una cura rigorosa durata quasi per tutto il tempo della positività. Ed anche ora, ormai negativa da settimane, ne porto ancora i segni soprattutto per quel che concerne le energie. Fa parte del mio carattere non piangermi mai addosso, per cui ho colto i quindici giorni di reclusione come un’opportunità per fare quello che solitamente riesco a concedermi poco durante il ritmo frenetico delle classiche giornate. Penso non mi sia mai successo di leggere quattro libri in così pochi giorni, intervallati da buona musica e un discreto numero di film e fiction. Ma questo stop forzato, soprattutto, mi ha aiutato a lavorare su me stessa, obbligandomi a pensare a cosa mi faccia stare bene veramente e a riempiere i vuoti con le cose che davvero ritengo importanti per me. Il 17 aprile il tampone di controllo negativo ha scritto la parola “fine” a quella che però non voglio vedere come una semplice parentesi della mia vita da archiviare il prima possibile, ma più che altro come un monito, prima di tutto a me stessa. Sì perché non tutti quelli che hanno contratto il virus possono dire la stessa cosa. Tanti questa battaglia l’hanno persa. Questa è solo la mia esperienza che non vuole insegnare niente a nessuno ma per lo meno sensibilizzare ad una condotta più accorta, perché il Covid ci sta togliendo, da un anno a questa parte, la normalità ma penso che noi dobbiamo cercare di essere più forti e non cedere alla stanchezza, all’apatia. Dobbiamo pazientare ancora un po’ e soprattutto vaccinarci, è l’unica via d’uscita. Io la luce in fondo al tunnel, fortunatamente, la vedo. © Riproduzione riservata