Raffinate esecuzioni di grandi capolavori di musica sacra del Settecento italiano ed europeo, grande virtuosismo, interazione con linguaggi contemporanei, tradizione e innovazione sono stati il filo rosso che ha legato i quattro appuntamenti del Festival di Pasqua, intitolato Inflammatus e promosso dalla Fondazione Vincenzo Maria Valente e dalla sua direttrice artistica Sara Allegretta. Per la verità, al momento di andare in stampa, manca un appuntamento, l’ultimo, “Et Resurrexit” Ma facile profezia è ritenere che sarà all’altezza delle altre performance che sono sempre state connotate da un grandissimo livello tecnico e interpretativo. Un percorso stilistico e spirituale che è partito il 26 marzo con lo Stabat Mater, un testo attribuito a Jacopone da Todi, che ha avuto, nel corso dei secoli grande apprezzamento; sono, infatti, circa 400 le versioni di musicisti che hanno voluto misurarsi con quei toccanti versi, da Pergolesi a Dvorak, da Boccherini a Rossini. Per il primo appuntamento di Inflammatus, è stato scelto lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi. Lo spettacolo, che ha coniugato danza, teatro e poesia, ha visto protagonisti il quintetto Santa Teresa dei Maschi, diretto dal Maestro Sabino Manzo e le voci soliste dei soprani Paola Leoci e Sara Allegretta che, finalmente è tornata a esibirsi nella sua città. La serata si è aperta con l’accorata performance di Laura Volpe, della compagnia Lost Movement di Milano che ha danzato una coreografia di Nicolò Abbattista e Chirstian Consalvo su musica di Filippo Ripamonti. Il giovane compositore, che ama sperimentare nuove forme di dialogo artistico con l’ausilio della tecnologia, ha riscritto in maniera originale la partitura di Pergolesi. Ne è scaturito un intenso dialogo tra classicità e modernità, tra performer e spettatori, dialogo in cui emozioni, forza, fragilità e sentimenti si sono intrecciati in un continuo crescendo. Altrettanto emozionante si è rivelato il secondo concerto, intitolato “Sacralità e sacro in Mozart e Boccherini”. La serata è stata introdotta dall’Adagio e Fuga KV 546 per Quartetto d’archi di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguiti da Carmine Scarpati, Clelia Sguera, Donatella Milella, Matteo Notarangelo. Una composizione ricca di sacralità, pur non trattandosi di musica sacra, una composizione caratterizzata da un motivo dolente e patetico in contrasto con movimento ritmico ed energico; contrapposizione che si ritrova anche nella Fuga. Il quintetto Le Consonanze (Carmine Scarpati, Clelia Sguera, Donatella Milella, Matteo Notarangelo, Massimo Allgretta) e il soprano Anna Maria Stella Pansini hanno eseguito l’intenso “Stabat Mater” di Luigi Boccherini nella sua prima versione, quella del 1781. Com’era consueto nel Settecento, gli artisti componevano, generalmente su committenza. A richiedere la composizione dello Stabat Mater, che prevede un quintetto d’archi e la voce soprano, fu l’infante di Spagna. La seconda edizione, invece, vide la luce nel 1800, probabilmente per volontà di Luciano Bonaparte, ambasciatore di Francia a Madrid. I gusti musicali erano cambiati e Boccherini creò una composizione che vede l’intervento di tre cantanti, una introduzione sinfonica e una conclusione più ricca. A differenza di quella ottocentesca, la composizione proposta nel concerto si è rivelata intima (come fosse una esecuzione privata), raffinata, ricca di spiritualità e originalità (cosa non semplice, dovendo confrontarsi con il celebre Stabat Mater di Pergolesi). Il ritmo, ora lento, ora vibrante e concitato, non ha fatto che accrescere l’impeto drammatico del testo, sino alle ultime battute, legate agli ultimi versi che, invece, hanno richiamato la serenità dell’orante che, dopo aver contemplato e condiviso tanta sofferenza, ha fiducia nel premio eterno. Alla vigilia della Domenica delle Palme, dopo i Vespri, quando – come ha sottolineato il parroco don Vincenzo Di Palo – la Chiesa entra nella settimana della Pasqua (passione, morte e resurrezione di Cristo), l’ensemble Alter-Azioni, magistralmente diretta da Nadir Garofalo, ha eseguito “Le ultime sette parole di Cristo sulla croce” di Franz Joseph Haydn. L’opera, composta nel 1787 su richiesta della Cattedrale di Cadice (Spagna), nasce come brano interamente strumentale per accompagnare la liturgia solenne del Venerdì Santo. Per aiutare a comprendere il carattere della composizione il direttore artistico della Fondazione, Sara Allegretta, ha ripreso la descrizione dello stesso Haydn: «Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava poi la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso». Ne è derivata una composizione articolata in sette adagi con una introduzione e, alla fine, un terremoto: momento particolarmente intenso e coinvolgente, grazie alle vibrazioni create dagli archi. Le parole del presule, nel corso del concerto, sono state sostituite dalle sofferte riflessioni e dai versi di pensatori e poeti del Novecento, resi con grande pathos dalle interpretazioni di Isabella Ragno, in un elegantissimo abito rosso, a richiamare il colore del sangue e della passione (complimenti al costumista Michele De Bari), e Zaccaria Gallo. Si sono susseguiti, dunque, brani tratti da Davanti alla Croce di Giovanni Testori, dal Poema della Croce di Alda Merini, da L’ora della Passione di Boris Pasternak, da Tienimi per mano di Hermann Hesse, da La Crocifissione di Margherita Guidacci, da La Crocifissione di Pier Paolo Pasolini (di cui ricorre il centesimo anniversario dalla nascita) e la Preghiera dell’Abbandono di Charles de Foucauld (versi tanto cari a don Tonino Bello). Il festival si concluderà il 17 aprile, domenica di Pasqua, con “Et resurrexit”, con il ritorno dell’orchestra barocca Santa Teresa dei Maschi, diretta da Sabino Manzo. Si esibiranno l’ensemble vocale “Florilegium Vocis”, i soprani Valeria La Grotta e Federica Altomare e il controtenore Nicolò Marzocca, che daranno vita a un alternarsi di arie, duetti, cori. Saranno eseguiti due capolavori di Johann Sebastian Bach e Antonio Vivaldi. Due testi di estrazione differente, che nascono l’uno in ambiente protestante (un inno di Martin Lutero), l’altro cattolico; accomunati, però, dalla forma cantata. Un intreccio di musica che, come si legge nella presentazione del concerto, sarà “un’esplosione di musica illuminante, che punta a quella luce di Resurrezione che il giorno di Pasqua annuncia a tutti i cristiani uniti sotto il segno di un unico Dio”. «Infiammiamo questa città, torniamo a colorarla di idee, di colori, di amore per l’arte e per la musica. La scelta è stata quella di attingere al Settecento italiano, periodo in cui vengono composti i maggiori capolavori italiani legati alla musica sacra. Un festival che può diventare un punto di riferimento per Molfetta, un unicum, qualcosa che ci possa contraddistinguere da altre città» aveva affermato Sara Allegretta, nel presentare le attività programmate dal sodalizio. Indubbiamente i fatti le hanno dato ragione. Particolarmente apprezzabile è stata la scelta di coniugare linguaggi diversi e di portare sulla scena molfettese artisti che da tempo, pur calcando i palcoscenici di mezzo mondo, non si esibivano nella nostra città e giovani il cui talento merita di essere valorizzato.