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Il sistema di potere del sen. Azzollini sulla Cdp: le motivazioni del tribunale del Riesame per la conferma dell'arresto dell'ex sindaco di Molfetta
06 agosto 2015

MOLFETTA - «Un sistema di potere che esigeva – indebitamente – il controllo dell’attività imprenditoriale e che operava intimidazioni con fare prevaricatore e arrogante, con capacità di temere tutti e tutto sotto controllo, gestendo illecitamente potere, pilotando contratti con i fornitori, ordinando assunzioni lavorative: un sistema che si connota, dunque, con gli elementi costitutivi tipici dell’associazione a delinquere», questa la descrizione del ruolo del sen. Antonio Azzollini che si legge nelle motivazioni del Tribunale del Riesame di Bari (non quello di Trani, al quale l’ex sindaco di Molfetta, attribuisce il fumus persecutionis contro di lui).

L’ordinanza del Riesame (presidente Lamalfa, relatore Mattiace) che ha confermato l’arresto del parlamentare chiesta dalla Procura di Trani per il crac da 500 milioni di euro della Casa della Divina Provvidenza (Cdp) di Bisceglie rappresenta indirettamente una risposta al voto con cui il Senato ha detto “no” agli arresti domiciliari del politico indagato e una conferma di come il “salvataggio” sia stato un’operazione politica per mantenere gli equilibri di governo, senza che i senatori abbiano letto le carte giudiziarie.
Insomma, c’era una “copertura politica”: «Azzollini e i suoi sodali operavano in forza di accordi raggiunti con i vertici della Congregazione, nei quali questi ultimi accettavano il “commissariamento”, ottenendo in cambio l’assicurazione dell’appoggio politico per una legge che era di vitale importanza per la stessa sopravvivenza dell’ente ospedaliero».
E il Riesame aggiunge: «Se la crisi della Cdp ha finito col tradursi, nel corso degli ultimi anni, in un immane disastro finanziario, lo si deve al fatto che il sodalizio ha imperversato sull’ente sia imponendo le sue logiche politiche, sia usufruendo del “complice silenzio” di molteplici dirigenti della Congregazione».

Il sen. Azzollini, secondo il Riesame, era, perciò, «il dominus di un apparato sicuramente inquinato e finalizzato a dilapidare le sostanze della Congregazione della Divina Provvidenza» dopo «aver fatto approvare leggi per far ottenere sgravi fiscali, nella sua veste di presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama».

La presenza di tutti i soggetti indagati «tutti sicuramente riconducibili al senatore Azzollini, fornisce il dato oggettivo della “presa di potere” da parte di quest’ultimo e dell’articolazione dell’associazione per delinquere, quanto meno a far data dal suo “ingresso” a ben poco valendo la circostanza dell’assenza  di elementi di prova della sussistenza del vincolo sin da epoche remote»… «C’è piena convergenza di intenti che muoveva il senatore e la madre superiora suor Cesa la quale non solo aspettava da un anno i nominativi per l’organo di vigilanza ma che si augurava che Azzollini rimanesse al suo posto di presidente della Commissione Bilancio perché ciò faceva “comodo” alla Congregazione: il riferimento alle iniziative legislative tese a consentire le esenzioni contributive e fiscali è del tutto evidente. Ulteriore elemento da cui si trae l’esistenza di un sodalizio dedito alle attività criminali sopra accennate si coglie dai criteri di scelta dei dipendenti da escludere dalle liste di mobilità (i molfettesi, ndr)».
Ma dal Riesame arriva anche un’altra pesante accusa, proprio del ruolo istituzionale di Azzollini, quando sottolinea che «se il senatore Azzollini si fosse soltanto preoccupato di comprendere quale fosse il reale stato finanziario della  Congregazione quale presupposto per le proprie iniziative politiche, onde valutare l’opportunità di produrre nuovamente benefici contributivi e fiscali che lo Stato riconosce ai cittadini che si trovano in difficoltà non a causa di una propria condotta, di certo avrebbe ottenuto il plauso generale». E, in realtà, si è verificato il contrario.
Leggendo le motivazioni del Riesame appare più plausibile l’ipotesi fatta da più parti che dietro il “no” all’arresto ci sia stato un compromesso politico che prevedeva le dimissioni dello stesso Azzollini dalla presidenza della commissione Bilancio, in cambio del “salvataggio” dal carcere.

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1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)
1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)
2°parte. - Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra. (fine)


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