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Il segreto di Chelidonia, le novelle di Gianni Antonio Palumbo
06 giugno 2014
Il titolo di un libro è un po' come la prima pagina di un quotidiano: deve essere capace di invogliare e incuriosire il lettore, ammaliarlo e appassionarlo; deve essere accattivante, deve veicolare un’emozione, generare domande nel lettore, trasportarlo in un’altra dimensione. «Il segreto di Chelidonia», ultima raccolta di novelle (Secop Edizioni, 2014) di
Gianni Antonio Palumbo
, è indubbiamente un titolo originale che, assieme alla sua copertina, opera della pittrice
Marisa Carabellese
, rapisce e cattura l’attenzione del lettore, ammantandolo di una delicatezza ed una struggenza non comuni. E prontamente solleva una domanda: Chi è Chelidonia? È il nome della santa patrona di Subiaco, teatro di buona parte delle vicende raccontate nella prima novella che dà nome alla raccolta. Chelidonia in greco significa “rondine”. Ed è proprio un uccello, il caradrio, ad occupare la scena. Sono le virtù magiche e curative di questo animale, la cui notizia è stata acquisita dalle pagine di un’enciclopedia magica del 1500: “La magia naturale” di Giovanni Battista dalla Porta, catturano l’attenzione del protagonista tormentato da un grave problema familiare, sua figlia, affetta da una grave forma di anemia, è costretta a subire trasfusioni continue. Lo sguardo di questo uccello sarebbe in grado di stabilire la vita o la morte dei malati. Infatti, se l’uccello distoglie lo sguardo dal malato lo destina alla morte, altrimenti lo fissa e ne assorbe i malesseri, per poi volare verso il sole bruciando in tal modo le malattie raccolte. Una narrazione in cui l’Autore riesce a dar vita a una storia dalle mille e preziose sfaccettature attraverso un linguaggio fresco, prezioso e curato. Un racconto suggestivo ed emozionante che tesse ed intreccia insieme un’affascinante storia contemporanea con numerosi richiami al Cinquecento. Indiscutibile l’uso sapiente delle parole: non ve n’è mai una di troppo né una che manchi, tutto scorre al meglio in una perfezione dello stile che è vera e propria arte del narrare. E ancora, il dialogo tra un brigantaccio dagli “occhi di luna” e la poetessa lucana Isabella Morra (vissuta nella prima metà del Cinquecento) trucidata a 26 anni dai suoi fratelli per motivi d'onore, ma anche per motivi politici, perché intolleranti al fatto che potesse correre una simpatia, che forse era solo letteraria, con Diego Sandoval de Castro, poeta di origine spagnola, sposato con figli e nemico dei Morra. Si tratta di un affettuoso dialogo consumatosi presso il fiume Siri, tanto caro a Isabella, che già nel sonetto «Torbido Siri, del mio mal superbo» aveva affidato alle acque un messaggio per il padre lontano. Con riferimento ai poemi del Cinquecento v’è la simpatica novella «Angelica e Rinaldo alla fontana”, attraverso la quale l’Autore riesce a restituire in uno stile spiritoso e originale l’intricato amore di Rinaldo amante della bella Angelica con un finale a sorpresa. Un racconto sui delitti consumati nell'antica Roma è «L’ospite dell’Alba». Puntuali e dettagliati i riferimenti sui liberti, i loro prenomi, le divinità, le credenze, gli stili di vita, quasi fosse una telecamera a riprendere le immagini, i rumori, le frasi raccontate. Una storia di elegante felicità stilistica che intreccia amori, ossessioni, delitti, in pagine che conquistano il lettore per la loro capacità evocativa e la loro eleganza. Carichi di suggestioni e di nuove conoscenze sono i quadri di richiamo biblico: «Nudità» e «Parola di Barabba”, in quest’ultima Gesù Barabba, zelota, patriota senza scrupoli mostra il suo carattere violento, rude, volgare, ben diverso dal
personaggio
che tutti conosciamo pentito e redento. Non mancano racconti poetici come «La sposa del tiglio» di straordinaria sensibilità tagoriana, un’immersione in un mare di bellezza dal profumo di paradiso dove, attraverso il ricordo, il protagonista crea un reticolo di evocazioni per ridestare l'amore nella moglie affetta da Alzheimer. Veniamo alle storie locali: «Il sogno: Alcesti 2013». Un sogno inventato “Un po' per celia, un po' per non morire” di noia nei torridi e monotoni pomeriggi estivi. È il racconto di una famiglia molfettese di anziane zitelle e nipoti orfani che ci riserva un umorismo colorato e divertente. Altra storia molfettese, infarcita di richiami alle tradizioni e al dialetto, ambientata nel quartiere «Catecombe» è «L’incantamento» esercitato da una fattucchiera curiosa e confusionaria. Storia di ordinaria diversità è «La Pleide storna», perfetta mescolanza di realtà e invenzione, con una struttura originale e sognante, dal ritmo allegro e armonioso che ha la grazia di una fiaba e la forza di una parabola. E poi, «Mena» che compulsava libri di Cechov e Tolstoj rincantucciata in una biblioteca, “Nonno Barbieri», “L’ultima messa”, “Luna di gamberi e zucchine”, “La casa del sole”, “Limes Infidata”, “Hotel Perseo”. Si tratta, in conclusione, di diciasette racconti di pregevole fattura, eruditi e ricchi di particolari che definiscono le scene e danno alla narrazione un valore aggiunto, dove la parola è efficacemente piegata, magistralmente dispiegata e comunicativa, tale da rendere la lettura scorrevole, appassionante e accessibile a tutti. Una raccolta che non si può dimenticare per la commistione di antico e moderno, per i dettagli, per la coralità ed infine per l’assoluta autenticità. © Riproduzione riservata
Autore:
Mimmo Amato
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