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Il rischio idrogeologico un’occasione per ripensare il rapporto con il territorio
15 settembre 2016

L’alluvione che ha colpito la città di Molfetta lo scorso 16 luglio ha acceso i riflettori su una fragilità del territorio da tempo segnalata, avvertita e monitorata. La gravità del rischio idrogeologico, con il vincolo confermato dall’Autorità di Bacino per la Puglia con la delibera di C.I. n. 1 del 7.3.2014, dopo una battaglia legale svoltasi dinanzi ai più autorevoli organi giurisdizionali, è divenuta un fatto tangibile: non di carte bollate si tratta, ma di messa in sicurezza di un territorio che ha manifestato nella giornata del 16 luglio tutta la sua vulnerabilità. Eppure il passaggio attraverso i ”tribunali” è stato necessario per affermare quello che il buon senso e la cultura contadina di un tempo hanno sempre saputo: la natura non tollera prove di forza e tanto meno barriere di cemento innalzate nel cuore dell’alveo delle lame, i corsi d’acqua che nei secoli hanno reso possibile il deflusso a mare delle acque meteoriche provenienti dalla zona pre-murgiana e che attraversano le nostre campagne. L’episodio del 16 luglio si presta, quindi, ad una costruttiva riflessione e ad un superamento della contrapposizione tra istituzioni, tra interessi dei singoli e interessi collettivi. Un superamento dello scontro che fino a qualche anno fa ha visto contrapporsi aspramente le amministrazioni pubbliche (in merito all’esercizio delle rispettive prerogative istituzionali), tra posizioni individuali dei cittadini - per lo più tese all’esercizio della potestà edificatoria - e i superiori interessi pubblici di tutela e valorizzazione, visti come un ingombrante freno per ogni attività di trasformazione edilizia. Ebbene questa contrapposizione tra obbligo di tutela e uso del territorio è stata il frutto di una prevalenza nella nostra città una visione “utilitaristica” del territorio, spesso priva della consapevolezza della dimensione collettiva dei valori della difesa del suolo, del paesaggio, degli elementi caratterizzanti il nostro agro, della sicurezza. Senza considerare che poi la tutela del territorio contiene in sé una componente “individualistica”, inquanto solo un territorio messo in sicurezza, solo uno sviluppo sostenibile e la valorizzazione delle peculiarità del paesaggio possono rendere produttivi gli investimenti e garantire un vantaggio di lunga durata. La pianificazione territoriale, quindi, non può che essere intesa come visione di insieme del territorio, funzionale alla crescita non solo economica, ma anche sociale e culturale della comunità. Nei tre anni di Amministrazione Natalicchio è stato invertito in modo radicale il criterio dell’uso del territorio rispetto al precedente periodo azzolliniano. Tutela delle aree a rischio idrogeologico, laddove vi era la negazione della reale esistenza della pericolosità idraulica e degli evidenti segni di presenza delle lame sul territorio; concertazione con gli Enti sopraodinati dove prima c’era la contrapposizione frontale e giudiziale se non addirittura il disconoscimento del ruolo istituzionale; partecipazione dei cittadini attraverso il Forum A21, Comitati di quartiere, confronto con Associazioni di imprenditori e di categoria, laddove c’era l’uomo solo al comando; attenzione per l’uso del denaro pubblico con l’individuazione dei correttivi diretti a minimizzare i costi a fronte dello spreco di denaro proveniente da finanziamenti a pioggia, non mirati ad un utile risultato; preminenza della legalità e dell’interesse pubblico sull’interesse di lobby e gruppi di pressione economica e politica; attenzione ai valori della sicurezza delle cose e delle persone, laddove c’era l’interesse a dirottare risorse e impegno politico-amministrativo per progetti in cui si annidavano intenti speculativi. Sul tema della mitigazione in zona ASI, è un dato di fatto, riscontrabile dalla semplice lettura delle “carte”, che il Comune di Molfetta, con l’Amministrazione Natalicchio ha partecipato ai tavoli istituzionali con atteggiamento costruttivo, volto a individuare le soluzioni migliori dal punto di vista della sostenibilità ambientale ed economica, ad individuare soluzioni che risolvessero davvero problemi di enorme portata. E l’obiettivo di questo impegno è stato raggiunto: è stato sventato il tentativo di porre in cantiere l’ennesima opera faraonica - il cosiddetto “canalone” che avrebbe portato costi altissimi (oltre i 25 milioni di euro, non tutti disponibili), con rischio concreto di blocco dei lavori; impatto enorme sull’agro con migliaia di ettari di terreni pregiati espropriati. Un canale di cemento largo quanto un’autostrada e una cicatrice profondissima nelle nostre campagne. Il progetto del canale di mitigazione idraulica in zona industriale, peraltro, proposto nel 2011 dal Consorzio ASI e modificato su richiesta dell’Amministrazione Azzollini, avrebbe creato condizioni si sicurezza idraulica per l’inesistente PIP 3 (non esecutivo perché bocciato da Autorità di Bacino), ma non avrebbe messo in sicurezza la zona ASI, in quanto la zona tra il canale e la ferrovia, sarebbe stata soggetta ad allagamenti (come attestato dal parere di A.d.B.). Il cambiamento di prospettiva si è avuto nel 2013, quando l’Amministrazione Natalicchio ha proposto un approccio metodologico più “dolce” e “naturalistico”, frutto di un confronto con progettisti all’interno di A21, diretto a riqualificare e recuperare il deflusso delle singole lame sino a mare. Tale studio, pur non essendo stato recepito dall’ASI, ha comunque spostato l’attenzione del tavolo su un metodo diverso, culminato con il recupero di un progetto di mitigazione del 2007 che aveva già ricevuto un parere di massima favorevole dell’Autorità di Bacino. Di concerto tra tutti i soggetti coinvolti (ASI, Autorità di Bacino, Puglia Sviluppo, Regione Puglia, Comune) è stata quindi individuata la soluzione più congrua e più idonea alla messa in sicurezza dell’area industriale e artigianale esistente. Su questo progetto si sono espressi favorevolmente gli Enti interessati e dunque, su questa strada, si sta mettendo a punto la progettazione definitiva di un’opera che ha come obiettivo primario quello di assolvere al proprio compito di messa in sicurezza di un’area strategica per la città, che con le imprese ivi insediate dà ricchezza e lavoro a migliaia di famiglie. Ma l’esatta percezione del rischio e della pericolosità ha anche consentito di porre l’attenzione sulle zone abitate, per anni dimenticate a favore degli interventi che, evidentemente, venivano considerati più produttivi di un ritorno elettorale e di maggiori consensi. A fronte dei milioni di euro investiti in costose quanto inutili opere pubbliche, solo dal 2013 si è cominciato a investire in modo serio e concreto nella pianificazione delle opere di mitigazione per la messa in sicurezza dell’abitato, per la necessaria sistemazione deitombini e della fogna bianca, lasciati per anni privi di manutenzione. I nuovi quartieri di espansione, sorti a ridosso della lama Martina, sono a forte rischio, come già segnalato da A.d.B. nel PAI, e ciononostante non si è mai fatto nessun investimento, né per il potenziamento della fogna bianca, né per opere di mitigazione esponendo la popolazione a un concreto rischio di alluvione, Per la prima volta invece è stato conferito dalla Giunta (a fine 2015) incarico ai dirigenti di Ufficio Tecnico e Lavori Pubblici, con il supporto di un esperto di costruzioni idrauliche, di progettare delle opere per zona PIP e anche per Lama Martina, per candidarli a finanziamento. Dunque, abbandonando l’approccio diretto ad edificare a tutti i costi, è necessario portare avanti un programma di interventi di pianificazione urbanistica e di programmazione di infrastrutture, promuovendo una cultura collettiva di rispetto per le risorse e per la messa in sicurezza del territorio che deve essere prioritaria, come gli eventi del 16 luglio, drammaticamente, ci ricordano. Ecco perché la questione “lame” per la città di Molfetta costituisce una partita da giocare fino in fondo: a partire dall’emergenza imposta dal rischio idraulico, può invertirsi la tendenza a considerare la pianificazione urbanistica solo come strumento per l’individuazione di suoli da destinare all’espansione urbana o industriale, per rimodellare il territorio partendo dai suoi aspetti identitari messi a fuoco nella delibera di indirizzo per il nuovo PUG (delibera di G.C. n. 161 del 17.7.2015): la centralità delle lame, il rapporto tra la città, il mare e il suo porto, la ricucitura tra centro e periferia, la riconversione ecologica della città. E’ l’occasione, quella della riflessione pubblica scaturita dall’alluvione del 16 luglio, per provare a realizzare un modello di gestione del territorio che veda l’ambiente, i bisogni dei cittadini e la messa in sicurezza al centro di una nuova stagione di pianificazione, che negli ultimi tre anni è già cominciata. Indietro non si torna.

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