Recupero Password
Il racconto di una vita intensa, spesa per gli altri
15 aprile 2013

L’alba di don Tonino Bello è il 18 marzo del 1935 ad Alessano, nel Salento. Il tramonto è il 20 aprile del 1993 a Molfetta, intorno alle tre del pomeriggio. Solo 58 anni. Troppo pochi a contarli. Densi a raccontarli. È il primo di tre fratelli nati dal secondo matrimonio di papà Bello. Resterà presto orfano di padre (7 anni) e primogenito. I fratelli maggiori, avuti dal padre nel precedente matrimonio, moriranno in guerra. Tonino, Marcello, Trifone e mamma Maria. Una famiglia povera ma dignitosa. Unita e tenuta insieme dalla semplicità di una vita serena ma non rassegnata al destino che, in tempi di guerra, l’ha privata del sostegno economico del padre. Famiglia salentina: nobile nell’animo e le mani sporche di chi per far mangiare i figli, la mattina presto va a raccogliere le verdure nei campi e poi ricama e aiuta in casa di altri.. Come faceva mamma Maria. A dieci anni Tonino entra nel seminario di Ugento. Era intelligente e portato agli studi. Bravo. Il parroco del paese anche per questo consigliò alla mamma per lui il seminario. A quei tempi i poveri facevano così per far studiare i figli. Poteva essere don Tonino uno dei tanti che aveva studiato in Seminario. Sappiamo che fu altro. Dopo gli studi liceali nel seminario regionale di Molfetta, l’8 dicembre del 1950 fu ordinato sacerdote nella chiesa di Alessano. Continuarono a farlo studiare: nel 1958 fu inviato a Bologna per frequentare i corsi di teologia al seminario di studi sociali dell’Onarmo. Dal Salento all’Emilia. Andò nella Bologna del cardinal Lercaro, padre conciliare. La ‘Bologna rossa’ dove l’impegno della Chiesa agiva su due fronti: la spiritualità promossa e ricercata per contrastare ‘i comunisti atei’ e la scelta del confronto con tutti, anche con loro, nel momento in cui la città vedeva crescere nelle sue periferie potenziali aree di sviluppo territoriale ed economico ma anche nuove questioni sociali. La Chiesa che non si chiude in difesa ma con dignità e fermezza segna il suo compito, la sua missione diversa ricercando per il bene del suo popolo il confronto anche con chi non crede. Tra i suoi insegnanti anche mons. Bettazzi. Ci sarebbe rimasto volentieri a Bologna don Tonino ma, una volta laureato, la sua diocesi lo rivolle. L’investimento su di lui andava capitalizzato nella terra di origine: doveva essere il direttore del Seminario di Ugento, doveva formare ed educare le giovani vocazioni. Lo mandarono anche al Concilio Vaticano II, nel 1963, ad accompagnare il vescovo Ruotolo. Durante la prima sessione del Concilio faceva la spola: Roma e seminario di Ugento dove era maestro dei seminaristi. Nel frattempo, ‘per non perdere tempo quando stava a Roma – la raccontava così- si iscrisse all’Università Lateranense. Si laurea discutendo una tesi su ‘Congressi eucaristici e loro significato teologico e pastorale’. Tesi che capitalizzerà da vescovo. Fa carriera. È nominato monsignore, all’età di ventotto anni. Un titolo. Niente di più. Il curriculum recita: prefetto e poi vicerettore nel seminario vescovile di Ugento, assistente diocesano dell’Azione cattolica, rettore del seminario di Ugento, direttore dell’Ufficio pastorale diocesano, vicario economo nella parrocchia del S. Cuore di Ugento, parroco della chiesa della Natività di Maria Vergine a Tricase. E fin qui la sua vita nel Salento. Fatta di incarichi e compiti portati a termine nell’obbedienza ai superiori, ma condendo il tutto con i suoi talenti. Gli sfrattati ospitati nel seminario prima ancora di chiedere il permesso al suo vescovo Mincuzzi di poterlo fare; gli incontri culturali, la squadra di pallavolo allenata e fatta arrivare ai campionati nazionali, le nuotate in mare, la caritas nella parrocchia e il coro seguito di persona, il giornale fatto con i seminaristi e le partite a pallone. Il porta a porta e il faccia a faccia: il rosario e il breviario. Un prete formatosi prima del Concilio e che esercita il suo ministero sacerdotale nell’immediato dopo Concilio. In quel già e non ancora tutto da costruire, sperimentare, osare. Nel 1982 accetta, dopo aver rifiutato per due volte, la nomina a vescovo. È morta la madre a cui era legato. La perdita, il lutto, il distacco lo vive così: come un segno per liberare le vele. C’è una sua preghiera, La lampara, che segna il passaggio. Un testamento per quelli che lascia e una agenda di prospettiva per quelli che troverà. È consacrato vescovo il 30 ottobre. La diocesi è quella di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo. Diventa vescovo restando in Puglia. Dal 21 novembre l’Episcopio di Molfetta è la sua nuova casa. Una casa dove, a chi bussa, apre il vescovo in persona. E bussano in tanti. Gli sfrattati, ai quali mette a disposizione le stanze; i poveri, i giovani, i preti. I credenti e gli atei. Una parola e una frisa. Uno stile pastorale diverso. Conciliare. La chiesa che, con la Bibbia in mano, legge la Parola sfogliando anche il giornale. La Chiesa cioè che impastando il Vangelo con la vita delle persone. La Chiesa del grembiule e i paramenti sacri. Il vescovo che apre la porta, ma che scende dall’Episcopio per andare a trovare la gente: gli operai delle acciaierie di Giovinazzo, gli immigrati nelle campagne di Ruvo per portarli, complice don Grazio, nei locali della parrocchia; i tossicodipendenti nella comunità che, facendo debiti e sperando nella provvidenza che arriva ma solo ai calci di rigore, ha voluto come impegno e promessa alle famiglie che gli avevano chiesto aiuto. Scende per andare a trovare i giovani: ogni martedì e mercoledì. Appuntamento fisso nelle quattro città della diocesi. Scende per andare al funerale di Massimo, ucciso a 16 anni dal metronotte mentre stava rubando. Scende per andare dai preti anziani o ammalati a far loro di persona gli auguri di compleanno o onomastico. E invita a bussare alla sua porta il marocchino. La lettera al fratello marocchino è un documento intenso di dialogo tra culture. Nel novembre del 1985 è eletto presidente nazionale di Pax Christi, succedendo a monsignor Luigi Bettazzi. Il discepolo diventa maestro. Un impegno che lo apre a scenari e sfide che, al suo solito modo, rilancia e rinnova. A partire dalla Puglia. A chi la voleva arco di guerra, la prospetta come arca di pace portando l’intero episcopato pugliese alla firma di ben due documenti: la terra è di Dio e degli uomini di buona volontà. Non è a disposizione dei mercanti di guerra. Lo grida forte. Lo gridano forte i vescovi collegialmente. Cade il muro di Berlino. La guerra e la pace si giocano su altri scenari: il Golfo prima. La Bosnia dopo. Nel mezzo gli sbarchi degli albanesi. Siamo negli anni ’90. Dal 91 con la guerra del Golfo, all’aprile del ’93 le partite che si giocano sugli scenari internazionali e nazionali sono l’anticipo di ciò che ancora oggi è. Il ministro Scotti nell’agosto del ’92, ebbe ad auspicare “A peste, fame et Bello libera nos, Domine”. Perché negli scenari internazionali che incalzano, lui da vescovo e Presidente di Pax Cristi incalzava a scelte diverse: umane ancor prima che cristiane. Don Tonino gioca la sua guerra personale con il cancro che non gli concede tempo, prendendosi il tempo per lasciare segni ancora una volta profetici: in 500 a Sarajevo a dicembre del ’92. Una follia. Un sogno. Un’impresa. Un segno di un modo diverso di agire la pace nei conflitti ‘moderni’. Sceglie di morire da vescovo nella sua diocesi e trasforma il letto della sua agonia in una cattedra di speranza. Fino alla fine. Chiede di essere sepolto ad Alessano. E lì, respirando la brezza che viene dal mare non molto lontano, in molti gli fanno visita. Ogni anno di più. In oltre 50mila parteciparono ai suoi funerali. Era un pomeriggio di aprile. Sul porto di Molfetta un tiepido raggio di sole e la brezza del mare illuminavano il Vangelo sfogliandone le pagine. Molti anni dopo la stessa cosa accadde al funerale di Giovanni Paolo II. Forse il sole e il vento fanno così con quelli che riconoscono santi. Il 27 novembre del 2007 la Congregazione per le cause dei santi dà il suo nulla osta per l’apertura del Processo della Causa di beatificazione e canonizzazione di don Tonino Bello, Servo di Dio.

Autore: Elvira Zaccagnino
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet