Il potere come servizio, da don Tonino Bello a Papa Francesco
v e n t ’ a n - ni dalla sua morte don T o n i n o Bello fa ancora parlare di sé. Il ricordo del vescovo considerato “santo” dai molfettesi ben prima che la Congregazione per le Cause dei Santi ne avviasse il processo di beatificazione nel 2007, è ancora vivo nella città di Molfetta, come hanno già dimostrato diverse iniziative promosse dall’Aneb o dall’Università Popolare. Stavolta è toccato alle Edizioni La Meridiana riproporre la straordinaria attualità della figura di Antonio Bello, pubblicando il suo libro «La coscienza e il potere. Conversazione di Nicola Magrone, Guglielmo Minervini e Clara Zagaria». L’opera, uscita nelle librerie il 18 marzo, nel giorno del compleanno di don Tonino, non è propriamente un suo scritto, ma riporta un dialogo avvenuto in episcopio nel lontano marzo del 1992, tra il vescovo (che sarebbe morto l’anno successivo) e i tre interlocutori citati nel sottotitolo, due dei quali, il magistrato Nicola Magrone e Guglielmo Minervini, direttore editoriale delle Edizioni La Meridiana, nonché assessore regionale, erano presenti la sera della presentazione, tenutasi presso la sede della casa editrice, insieme ad un altro ospite, il rettore del Seminario Regionale, mons. Luigi Renna. L’argomento di quell’incontro, che come ha tenuto a sottolineare Magrone, «non ebbe niente di strumentale, ma nacque dallo spontaneo bisogno di parlare con don Tonino». Era lo scrittore abruzzese Ignazio Silone (autore del celebre romanzo Fontamara), il quale incarnava nella propria esperienza di “socialista senza partito” e di “cristiano senza chiesa”, insofferente tanto alla logica della “partitocrazia” che aveva spostato il centro del potere al di fuori del Parlamento quanto alle gerarchie ecclesiastiche che allontanano il Cristianesimo dalla purezza del messaggio evangelico delle origini, una dialettica tra potere e coscienza che, con esito diverso, è dato riconoscere anche nella figura di don Tonino. «Arriva sempre il momento in cui la coscienza, con il suo corredo di sogni e utopie che hanno bisogno di incarnarsi, finisce per incrostarsi in una struttura di potere – ha commentato Minervini –. Per Silone questo implica la sconfitta della coscienza, ma don Tonino ci ha dimostrato che è possibile stare dentro il potere per rigenerarlo ». Perciò, è importante lasciarsi guidare dal Vangelo che, come ha aggiunto mons. Renna, «non è una legge come le altre, ma va tagliata su misura per le varie situazioni della vita, proprio perché la sua interpretazione deve essere guidata dalla coscienza che, come sostenne John Henry Newman, è il primo di tutti i vicari di Cristo». Sin dagli esordi, il ministero episcopale di Antonio Bello fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino), da una costante attenzione agli ultimi e da una dialettica aperta con le istituzioni, non priva di esposizioni pubbliche anche compromettenti, come dimostrano alcuni episodi quali la marcia nella Sarajevo sotto assedio serbo del 1992, la chiusura dell’acciaieria di Giovinazzo nel 1983, lo sbarco di una nave carica di cingalesi sul porto di Bari in piena politica di respingimento o la condanna della maternità irresponsabile in condizioni d’indigenza. Episodi rievocati durante la conversazione del ’92 e talmente esplicativi della personalità del vescovo quanto educativi di fronte all’attuale crisi istituzionale, da suscitare nel magistrato Magrone «la sensazione di possedere abusivamente un documento di estrema utilità pubblica» e la necessità di renderlo noto dapprima con la pubblicazione del dialogo sulla rivista “Sudcritica” da lui diretta nell’anno 1994 e poi con l’uscita di questo volumetto nella collana Paginealtre delle Edizioni la meridiana. Un volumetto che è un incentivo allo scavo interiore, poiché ricorda come ciascuno di noi nella vita si trova a esercitare o subire una forma di potere facendo i conti con la propria coscienza. Nel suo barcamenarsi tra rigidità del Magistero della Chiesa e le contingenze della realtà quotidiana, don Tonino Bello ha vissuto sulla propria pelle il contrasto tra la regola e la vita, un contrasto che non è affatto superato, ma è sufficientemente scomodo da renderlo superabile nella discussione con se stessi. Egli stesso affermava, come si legge nel libro, che «perché un’idea possa camminare deve entrare nella struttura. Però a un certo momento deve anche trascendere la struttura e uscirne, altrimenti si assolutizza la struttura». Come uomo di potere all’interno di un’Istituzione, non è stato semplice per lui sconfessare l’esistenza di dogmi d’infallibilità e combattere regole ingiuste senza mai trascendere nel progressismo più eterodosso o in aspirazioni antisistemiche grilliane, ma mantenendosi un conservatore dell’autenticità cristiana. Fortunatamente, non è soltanto attraverso un libro, per quanto pregevole, che il suo spirito sembra poter rivivere in questi giorni. Il nostro nuovo pontefice, Jorge Mario Bergoglio, non ha scelto a caso il nome di “Francesco”. Un nome che è tutto un programma, stando alle dichiarazioni di Mons. Luigi Martella riportate sul sito ufficiale della diocesi, e che apre a due interpretazioni: «La scelta del fraticello di Assisi, improntata al Vangelo sine glossa, alla radicalità di una fede che si fa attenta ai bisogni veri e concreti dell’uomo, ma anche la testimonianza di San Francesco Saverio, il gesuita (inizi del 1500) patrono delle missioni perché protagonista di un notevole e coraggioso impegno di evangelizzazione, proprio quell’impegno che a più riprese, e già da tanti anni, chiediamo alle nostre chiese e consideriamo come prioritario per il nostro tempo». Nell’omelia per la celebrazione eucaristica dell’inaugurazione del ministero petrino, svoltasi in Piazza San Pietro il 19 marzo, il pontefice stesso ha parlato di custodia del Vangelo e di potere come servizio, in un messaggio programmatico molto forte che, ribadendo l’importanza per la Chiesa di agire in un momento storico di estrema difficoltà, di non ritirarsi sull’Aventino, ma di scendere nell’agone e di calpestare la polvere di strada, ha toccato il cuore di tutti, e in particolar modo quello dei molfettesi, tutti concordi nel riconoscere in lui la personalità di don Tonino Bello.
Autore: Giulia de Vincenzo