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Il porto delle golette I nostri velieri dimenticati
15 luglio 2023

Il livello dei liquami sta salendo e molti italiani sembrano gradirne il profumo. Io ritorno ad un mio vecchio amico: il mare. Molfetta è stata spesso definita “la città della vela latina”. Ciò è dovuto al fatto che dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla Seconda Guerra Mondiale, le nostre bilancelle da pesca, dette paranze quando operavano in coppia, erano attrezzate con una grande vela latina triangolare. In realtà Molfetta potrebbe definirsi anche “la città della vela al terzo”, dato il grande numero dei nostri trabaccoli da carico, che adottavano appunto quella varietà di vela aurica. Ma io proporrei ora un’altra definizione: “Molfetta città delle golette”. Chiunque consulti le testimonianze fotografiche e pittoriche del nostro porto dall’ultimo quarto dell’Ottocento al secondo conflitto mondiale, noterà la presenza in attracco, alla fonda, o all’ormeggio, di numerosi velieri. Ebbene, la maggior parte di questi battelli risulta essere golette. A questo punto, è necessaria una precisazione. Nell’arco temporale accennato, i velieri prendono il nome dalla loro velatura e dal numero degli alberi, e non dagli scafi, dalle dimensioni, o dagli impieghi. Una goletta ha due alberi a randa, un brigantino-goletta ha il trinchetto a vele quadre, e il maestro a randa, con o senza controranda, e così via. Possono essere lunghe 20 o 40 metri, pesare 40 o 100 tonnellate: se hanno le stesse vele e gli stessi alberi, conservano la stessa rispettiva denominazione. Abbiamo detto che la goletta è attrezzata con due alberi a randa. Questa vela è a forma di trapezio irregolare e si allaccia col lato superiore ad una verga inclinata che si chiama picco, col lato prodiero all’albero cui il picco si appoggia; il lato inferiore si distende lungo una trave orizzontale, chiamata boma, nella cui estremità poppiera passa la cima destinata ad aprire e distendere la vela, detta scotta, mentre quella prodiera è fissata con un perno alla parte più bassa dell’albero. Il boma dell’albero maestro può oltrepassare di poco con la sua estremità libera la poppa del veliero, ed è suscettibile di movimento angolare su di un piano orizzontale. Il picco ha una sezione rotonda, foggiata a gola, detta anche forca, per potersi adattare a scorrere lungo la faccia poppiera di un albero verticale e disporsi obliquamente a questo, in direzione della poppa. Inoltre è sospeso mediante due cime, dette drizza di fuori e drizza di gola. La prima sospende la sua estremità libera verso poppa, la seconda l’stremità di prora cioè la gola. Questa è tenuta aderente all’albero mediante un collare di ferro o di corda, detto trozza. Le golette più grandi possono avere delle travi di legno disposte verticalmente, fissate lungo i tronchi maggiori degli alberi dal loro lato poppiero, dette senali. La gola del picco invece di essere appoggiata direttamente all’albero e scorrere lungo quest’ultimo, è appoggiata e legata al senale, e scorre su di esso. Infine, questi velieri possono essere muniti di controrande, sorta di piccole vele triangolari, distese al di sopra delle rande. Si allacciano col lato prodiero all’albero, col lato inferiore al picco. Non mi dilungherò sulle varie dimensioni di questi battelli, molto varie, perché queste note hanno una finalità puramente iconografica. Insieme alle golette, sono i brigantini-goletta che più facilmente si individuano nel nostro porto e nello scalo di alaggio, a partire dagli anni Ottanta dell’800. Come si è detto, essi avevano due alberi, il trinchetto a vele quadre, il maestro con la randa. Le vele quadre si allacciano a verghe orizzontali di legno, dette pennoni, poste in croce sugli alberi e prendono rispetto al piano longitudinale della nave inclinazioni variabili, tra l’angolo retto ed un angolo minimo di 30 gradi. Esse hanno la forma di trapezi regolari e si legano con il minore dei loro lati paralleli ai pennoni. Quello maggiore è libero e si chiama bordame. I pennoni sono sospesi orizzontalmente sulle facce di prora degli alberi per reggere le vele che ad essi sono inferite. Ciascuno è sostenuto al centro da una corda chiamata drizza e all’estremità da altre due corde chiamate amantigli. Al centro è fissato all’albero da un altro tipo di trozza, costituito da due collari in ferro, uniti da un fermo snodato di rotazione che abbracciano il pennone e il suo albero. Un breve accenno alle vele di strallo e ai fiocchi, entrambi triangolari. Le prime si distendono tra gli alberi di trinchetto e maestro, e tra quest’ultimo e l’albero di mezzana; i secondi si pongono a proravia dell’albero verticale di prora e lungo quell’alberetto un po’ elevato sull’orizzonte, che fuoriesce dalla prora e si chiama bompresso. Vedremo nella seconda parte altre vele e altri velieri. Seguono le didascalie delle immagini. Foto 1: Molfetta. Brigantino- goletta ormeggiato al lato di un trabaccolo. Si notino le due vele di strallo tra il trinchetto e il maestro. Un marinaio sta sistemando la gassa della scotta sul boma della randa. Foto 2: Molfetta 1929. Brigantino- goletta sullo scalo di alaggio. Alcuni gabbieri sfidano la gravità sui pennoni del trinchetto. Foto 3: Goletta all’ormeggio. In primo piano un trabaccolo. Foto 4: Molfetta 1949. Due motogolette da pesca con rande e bompressi. Foto 5: Molfetta. Una piccola goletta alla vela nel porto. Sullo sfondo golette e brigantini-golette. Foto 6: Molfetta. Golette in andana nel porto. In primo piano rete da pesca con la “cannizzata”, detta anche “cefalara”. © Riproduzione riservata

Autore: Ignazio Pansini
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