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Il piano di riordino regionale e il futuro dell’ospedale
15 aprile 2019

Circa 12 milioni di italiani oggi non accedono più al Servizio sanitario nazionale, rivolgendosi a strutture private. Di fatti gli ultimi dati sullo stato di salute del nostro Paese confermano che il livello di qualità si sta abbassando con un aggravamento della cronicità al Sud. Non s’investe più a sufficienza e ad aggravare la situazione ci si mettono commissariamenti e piani di rientro che non funzionano, prediligendo la cura della malattia e ignorando un aspetto di fondamentale importanza come la prevenzione. In più bisogna fare i conti con la triste quanto inquietante realtà che la spesa sanitaria è assai diseguale sul territorio con un forte gap soprattutto tra nord e sud. E questo non può che riflettersi sulle condizioni di salute delle persone. Tant’è vero che nel Mezzogiorno è aumentata moltissimo la mortalità sotto i 70 anni. A riprova di questo – se è vero che ciò che importa è la salute – se ci si ammala è altrettanto importante capire che cosa offre il proprio territorio in termini di adeguatezza e prestazioni sanitarie perché con il nuovo regionalismo differenziato ogni regione avrà il sistema sanitario che si potrà permettere, a seconda della ricchezza prodotta. Per la serie che un pensionato piemontese sarà curato meglio di un pensionato lucano e uno studente calabrese riceverà un assistenza peggiore di uno studente lombardo. In altre parole è come se l’universalità del diritto alla salute – sancito dall’articolo 32 della Costituzione e sancito a livello internazionale dall’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 – venisse meno rispetto ad una differenziazione sostanziale di accessibilità. In Puglia la situazione non è tanto più rosea che altrove. Di fatti a Molfetta l’ospedale sarà fortemente ridimensionato così come previsto dal piano di riordino ospedaliero mentre per il potenziamento della medicina territoriale e per l’ormai mitico ospedale unico del nord-barese i tempi sembrano ancora non maturi. Di questo e molto altro si è discusso durante la tavola rotonda organizzata da Potere al Popolo! Molfetta, Rifondazione Comunista e lo Sportello Medico Popolare nella Sala Turtur. Ad introdurre la serata il dott. Gennaro Agrimi che – in qualità di moderatore – ha rimarcato come oggi il diritto alla salute sia un diritto negato perché sempre più cittadini si rivolgono ad un sistema sanitario privato per una serie di problematiche che affliggono quello pubblico come il calo del personale, i tempi di attesa interminabili e l’insufficienza di risorse utili ad assicurare un congruo volume e una adeguata qualità delle prestazioni. Dunque cosa ci aspetta in futuro? A questa domanda hanno risposto gli esperti del settore a partire dal dr. Giovanni Infante – Medico ospedaliero, malattie infettive presso l’Ospedale di Bisceglie – che ha parlato ai presenti dello sportello medico popolare, di cui fa parte attivamente. Si tratta di uno strumento gratuito messo a disposizione dei cittadini per accedere con più facilità a visite mediche, esami diagnostici e percorsi di cura grazie all’assistenza di personale medico specializzato. Si tratta in altre parole di un servizio messo a disposizione della comunità che prevede anche l’erogazione gratuita di farmaci da banco nonché di percorsi diagnostici e terapeutici. L’obiettivo è quello di sopperire alle carenze del Sistema sanitario nazionale mettendo al centro la comunità e il senso di umanità. Un sistema che purtroppo ha diverse falle come l’attenzione alla cura della malattia e la quasi assenza di prevenzione, liste d’attesa troppo lunghe, carenza di personale medico e l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere sempre più obsolete e incapaci di stare al passo con l’evoluzione tecnologica. A questo si aggiunge anche una cattiva pratica dell’Inps che a breve non sarà più accettabile. Col passare degli anni, infatti la piramide demografica sta subendo un’inversione tale per cui la fascia di pensionati sarà sempre più in forte crescita rispetto a quella di soggetti in età da lavoro e questo a lungo andare non garantirà più una concreta sostenibilità del Sistema sanitario nazionale. La conseguenza naturale a tutto ciò sarà un aumento della spesa nella sanità privata e dei portatori di interesse come le assicurazioni attraverso l’erogazione di polizze private ed integrative. A scendere del dettaglio della situazione relativa all’ospedale di Molfetta ci ha pensato il dr. Domenico Ruggiero – specialista ambulatoriale di Medicin interna - che ne ha tracciato tutte le vicissitudini dall’amministrazione di Raffaele Fitto, passando per Nichi Vendola e arrivando nel 2016 a Michele Emiliano. Una escalation di diversi e maldestri interventi che hanno portato alla chiusura di alcuni reparti e all’accorpamento di altri, alla riduzione dei posti letto nonché del personale. A tal proposito negli ultimi anni il presidio molfettese ha perso dieci Primari, tutti andati in pensione e mai sostituiti. Non hanno avuto sorte migliore gli ospedali di Terlizzi e Corato. Quanto detto si concretizza come un vero e proprio attentato al diritto alla salute in quanto per avere in tempi ragionevoli prestazioni, visite ed esami chi ha la possibilità le esegue a pagamento e chi non c’è l’ha rinuncia a curarsi. Allora quale la soluzione? Per il dr. Ruggiero la risposta sta nell’istituzione dell’Ospedale unico del nord barese, un progetto che si baserà sulla edificazione ed istituzione di un solo punto di riferimento, ovvero un ospedale di primo livello accompagnato altresì da due unità sanitarie territoriali complementari ed integrative. Insomma un nuovo faro sanitario tra Corato, Molfetta e Terlizzi. Città scelte sulla base di diversi parametri, uno fra tutti l’incapacità di nessun presidio attuale di rispondere alle esigenze del territorio. Di fatti Corato e Terlizzi sono di certo strutture più rinnovate rispetto a Molfetta ma sono realtà troppo piccole allo stato attuale per contenere tutti i reparti necessari. D’altra parte Molfetta è la meglio collegata di tutti e avrebbe la possibilità spaziale di assecondare le varie domande ma richiede lavori di ristrutturazione abbastanza elevati. Favorevole a tale progetto di riordino anche il dr. Tommaso Fontana – già primario Malattie infettive P.O. Bisceglie – che ha rimarcato la necessità di mettere fine ai disordini economico-organizzativi per una programmazione più organica e funzionale. Chiaro è che a fronte di una limitata presenza di risorse economiche bisognerebbe pensare a come razionalizzare quelle poche esistenti. E allora si potrebbe pensare di utilizzare i progressi della scienza per curare alcune tipologie di pazienti “da remoto”, andando così a razionalizzare i già pochi posti letto ed evitando per contro così la desertificazione sanitaria. Del medesimo avviso è anche il dr. Piero Drago – Medico di medicina generale e Presidente del CPT Trani – che parte da un assunto notorio. Stante la complessità del problema del riordino sanitario italiano e l’inefficacia della gestione dello stesso in uno scenario sciale in continua evoluzione e che oggi non trova le giuste risposte alle nuove esigenze emergenti, il nocciolo della questione è uno. La disponibilità economica del nostro Paese in questo preciso momento storico e scarsa. Sono stati apportati moltissimi tagli, soprattutto in ambiti laddove la spesa era maggiore come per l’appunto nel campo sanitario. Di contro si poteva provvedere a potenziare il territorio per evitare il sovraffollamento di strutture i II livello. Ma nemmeno questo è stato fatto, creando un gran danno. Ora detto questo anziché rimuginare su una questione al momento irrisolvibile o non quantomeno nell’immediato, bisogna trovare delle soluzioni alternative che possano aggirare l’ostacolo. Una di queste – sperimentata in prima persona dal dr. Drago – sta nella realizzazione di centri polifunzionali territoriali in cui i medici di famiglia lavorano in aggregazione per fornire prestazioni come diagnostica di primo livello, ecografie e tanto altro che andrebbe ad alleggerire la spesa sanitaria nazionale attraverso una serie di interventi di riordino razionale. La domanda dunque sorge spontanea. Perché non estendere questa bella possibilità anche in altri territori? Senza contare che questo centro offre oggi 12 ore di assistenza continua e posti di lavoro ad infermieri che si occupano della cura dei pazienti a domicilio, ovviando così al problema dei ricoveri e della mancanza dei posti letto. A conclusione della serata è intervenuto anche Beppe Zanna, di Rifondazione Comunista, che ha sottolineato ancora una volta e a coronamento dei precedenti intereventi, l’importanza della difesa della sanità pubblica come diritto fondamentale e imprescindibile per ciascun cittadino. E se la sanità è rimasta l’ultimo baluardo del welfare tocca difenderla a tutti i costi per evitare in futuro chi abbia la possibilità economica riesca a curarsi e chi non ce l’abbia rimanga ai margini.

Autore: Angelica Vecchio
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