Il mio migliore amico
Il racconto
Claudio Chillemi è siciliano verace, tanto che una delle sue maggiori passioni è Federico II. E io sono sensibilissimo ad argomenti che riguardano il Puer Apuliae. Il racconto che vi propongo in questo numero è alla Brown, cioè un racconto breve con un colpo di scena finale. Probabilmente molti di voi lo capiranno prima, ma questo è voluto dall'autore che cela-.non cela la sua idea in una apparente sfida col lettore. Claudio Chillemi è docente di storia, ha al suo attivo numerose pubblicazioni è anche un appassionato di Star Trek (troverete un suo gustosissimo racconto sul sito WebTrekItalia), insomma, una grosso autore che siamo orgogliosi di ospitare nelle nostre pagine. (d.a.)
Il mio migliore amico si chiama Alex, lo stesso nome di un buffo animaletto di plastica che avevo con me quando ero piccolo. Sono affezionato a lui come lo ero al mio giocattolo, e lo tratto bene: gli do il meglio da mangiare, lo faccio dormire in casa durante le notti fredde, lo porto tutti i giorni a passeggio nel parco.
Alex ha ormai tredici anni, ed ha assistito alla nascita di tutti i miei figli, con me ha passeggiato nervosamente, con me ha festeggiato calorosamente, insieme a me li ha cullati per ore. Non potrei proprio vivere senza di lui, e lui lo sa. Ogni tanto guardo i suoi grandi occhi neri, e lo vedo sorridere; altre volte lo osservo nutrirsi, afferrare delicatamente il cibo con le sue zampe, portarlo alla bocca con grazia, e masticare senza far rumore, come si usa tra di noi quando si è a cena in un luogo importante. Ad Alex affiderei la mia casa, la mia famiglia, la mia stessa vita, e potrei dormire sonni tranquilli, perché ama tutto ciò che amo io. L'ho sempre saputo, e, questa sera, anche lui me lo ha detto.
E' andata così. Eravamo tornati a casa verso le ventuno. Era la vigilia del Giorno della Prima Parola, e stavamo approntando il pranzo per l'indomani. Mia moglie Lilly viaggiava dalla cucina alla dispensa a velocità supersonica, ed impartiva ordini perentori a me e ai suoi figli. Alex stava in un angolo a masticare il suo osso di gomma, grattandosi la testa con le enormi zampe di cui disponeva. Tutti avevamo un compito e cercavamo di portarlo a termine nel miglior modo possibile, per santificare, come dovuto, il giorno seguente. In quel trambusto nessuno udì quello che stava succedendo: due estranei si erano intrufolati a casa nostra. Rotta la finestra della camera dei ragazzi, li vidimo spuntare con i volti coperti e delle armi in pugno.
“Dateci tutti i soldi o sarà peggio per voi!”, questo fu il senso delle loro parole. Mi feci forza e diedi loro tutto ciò che avevamo, pregando di non far male a nessuno. Arraffato il nostro denaro, quei banditi stavano per lasciare casa, quando Lilly, terrorizzata, fece cadere un mestolo che si scontrò col pavimento in un frastuono assordante. Uno dei malviventi fermò il suo complice, e si avvicinò a mia moglie. Toltasi la maschera, le leccò il viso con fare sfrontato dicendo parole offensive. I miei due piccoli, prima ancora che io potessi fermarli, gli si avventarono contro e lo presero a morsi, non potendo aggredire in altro modo. Fu questione di pochi secondi. L'altro bandito si avventò verso i ragazzi, e, puntando la pistola contro di me, li scostò dal suo complice. Io non sapevo proprio cosa fare, era la prima volta che vivevo una rapina in prima persona; ma di una cosa ero sicuro, ancora una volta Alex mi avrebbe aiutato. E, infatti, appena incrociai il suo sguardo lo vidi pronto all'azione. Cogliendo di sorpresa uno dei nostri aggressori lo gettò a terra e lo costrinse all'immobilità afferrandolo con un morso alla gola. Io, approfittando della confusione che seguì l'azione del mio amico, aggredì l'altro malvivente e, dopo una breve colluttazione, riuscì a disarmarlo.
Chiamata la polizia, aspettai dieci lunghissimi minuti, tenendo quei malviventi sotto la mira delle loro stesse pistole. Alex era accanto a me, e strofinava la sua testa tra le mie gambe, saltellando pieno di felicità tra Lilly e i miei piccoli. Una strana avventura finita bene, pensai. Ed era così, almeno a detta del sergente Wolf della polizia locale, che riconobbe i due banditi e li definì “sporca feccia”. Quando gli raccontai l'accaduto, lui si mise a ridere, e disse: “Non è buffo che il suo uomo l'abbia salvato alla vigilia del Giorno della Prima Parola?”. “Davvero buffo”, risposi, e lo salutai caldamente scotendo la coda.
Racconta una leggenda che un tempo gli uomini dominavano il mondo, fin quando un pazzo esperimento scientifico aveva dato la parola ai cani. Ed io credo che sia vero, che al mio uomo manchi solo la parola. In quanto al cuore, lo ha conservato intatto, e ne ha più di certi cani che conosco.
Claudio Chillemi