MOLFETTA – Ancora una volta il Maestro Riccardo Muti ricorda la sua Molfetta in occasione dell’appello sull’importanza della cultura italiana. Dopo le note del Nabucco, col “Va' pensiero” a risuonare tra i banchi dell'Aula, il maestro Riccardo Muti le “suona” alla politica. Non parla espressamente di soldi né di fondi, ma chiede agli onorevoli tutti, di avviare una nuova "primavera della cultura", per tenere alto il nome dell'Italia in tutto il mondo e non far vergognare gli artisti che, in passato, hanno fatto alto il nome del Belpaese:
"Non vorrei - ammonisce sorridendo - che ci maledicessero in eterno". Quando prende la parola, dopo circa un'ora di musica, Muti è emozionato. "Senza saperlo – esordisce - Fini ha detto alcune parole che avrei detto io" a proposito della valorizzazione di una cultura troppo spesso ignorata dalla politica negli ultimi tempi.
"E' stucchevole dire sempre le stesse cose e trovo volgare approfittare dell'occasione per una lamentela – premette - ma siccome il presidente ha parlato di cultura...".
Proseguendo, Muti prende coraggio: "Il nostro Paese è basato sulla storia della cultura, io giro il mondo e so che la nostra Italia è una terra amata per quello che ha rappresentato, rappresenta e può rappresentare nel futuro, ma solo se manteniamo la nostra identità e la nostra cultura".
Il maestro s'affida ai ricordi ("Vengo dalla Puglia, ho studiato nel liceo di Molfetta dove Gaetano Salvemini era considerato un profeta") e giura: "Io mi riconosco nell'Italia, quando giro il mondo l'Italia per me significa Verdi, Tiziano, Puccini, Antonello da Messina. Ma io - dice e il pensiero va alle polemiche leghiste delle ultime settimane - non penso che Tiziano è nato lassù e Antonello laggiù. Per me sono solo due italiani". Quello che sta a cuore a Muti è il futuro dell'Italia: "Noi rappresentiamo la voce del nostro Paese, guai - dice- se dovessi girare il mondo e avere critiche perché il nostro Paese non produce più ciò che deve, per omaggiare la nostra storia, la storia della nostra musica".
Poi, mentre dai banchi dell'Aula arrivano gli applausi, il maestro offre alla politica l'esempio della musica: "La musica ha unito sempre, in tutto il mondo. L'orchestra e il coro sono l'esempio della società. Tutti suonano parti diverse, ma tutti devono tendere all'armonia, che è il bene superiore. La musica non è un intrattenimento per passare un po' di tempo, ma dobbiamo sempre cercare di creare una armonia, tanto più ora che siamo in un mondo disarmonico. Il direttore d'orchestra – spiega - non è un dittatore, ma è colui che ha un'idea e la porta all'orchestra, che la può condividere o no, ma se la condividono tutti, allora tutti tendono al bene superiore, non solo alla propria sezione".
Un mondo armonico è un mondo migliore, osserva Muti: "Se lo insegniamo ai bambini, avremo una società migliore. E dobbiamo costruirla, di questo sono assolutamente convinto. Ciò che le parole molto spesso non possono fare, la musica fa. Noi abbiamo dato, più di qualsiasi Paese al mondo, un contributo alla musica: abbiamo inventato il teatro, le note, i più grandi strumenti musicali. Abbiamo una responsabilità, al di là di costruire una società migliore, abbiamo una responsabilità più grande verso chi ci ha preceduto: non vorrei che ci maledicessero in eterno...".
Infine, il maestro torna dove ha cominciato. Non si tratta semplicemente di tagli alla cultura, ma più amaramente dell'indifferenza che il governo mostra verso l'arte: "Non vogliamo sentirci come questuanti con la mano tesa di fronte alla chiesa per avere la possibilità una volta ogni tanto di intrattenere la gente. Oggi – incalza - è il 21 di marzo e purtroppo il mondo è in fiamme, ma è il primo giorno della primavera, chiedo una cosa e attenderò una risposta nei prossimi giorni: che questo giorno di primavera sia anche il primo giorno di un primavera della cultura".