Alle 11:57 del 9 aprile 1945 uno scoppio terrificante squarcia il limpido cielo di Bari. L’esplosione, avvenuta al centro della nave americana Charles Henderson attraccata alla banchina n. 14 del porto barese, spacca in due tronconi il piroscafo. La parte centrale dello scafo, sede dell’apparato motore e delle stive cariche ancora di 3725 tonnellate di munizioni e bombe di vario tipo, si disintegra. I portuali che lavorano nelle vicinanze della nave vengono dilaniati e scaraventati lontano, orribilmente ustionati o travolti da macerie e detriti. La calata n. 14, lungo la quale la Henderson si estende per 75 metri, si sgretola fino alla profondità di 25 metri, facendo scomparire pure il capannone e le gru e svellendo i binari. Il lungo spezzone di prua, proiettato in avanti, si conficca nel muro di sponda del molo antistante (sarà trasferito a Genova, per la demolizione, nel 1946). Il troncone di poppa, ridotto a una carcassa, affonda affiorando appena nello specchio d’acqua. La nafta versatasi in mare ribolle e brucia. Un’alta e densa colonna di fumo nerastro si staglia all’orizzonte. Scagliati nel raggio di alcuni chilometri, dai doppifondi del piroscafo volano spruzzi di nafta e cadono pesanti schegge della nave, anche di qualche tonnellata, che danneggiano diversi edifici dell’area portuale e della città vecchia. I vetri delle case e delle scuole vanno in frantumi e porte e finestre sono scardinate dal tremendo spostamento d’aria. Vengono danneggiati palazzi antichi, la Cattedrale, la basilica di San Nicola e Santa Scolastica. Diverse persone rimangono ferite o uccise. Altre restano intrappolate negli edifici crollati. La gente, presa dal panico, cerca un rifugio, muovendosi con difficoltà tra le macerie e i detriti. La maggior parte dei popolani di Bari vecchia cerca scampo nel Quartiere Murat. Nel porto sono ormeggiate circa quindici navi maggiori, soprattutto americane. Le navi vicine alla Henderson prendono fuoco. La Lucia C., piroscafo da carico di 6123 tonnellate, appartenente alla Società Anonima di Navigazione Italia di Genova, requisito dall’8 febbraio 1944 dalla Regia Marina, dopo l’incendio sviluppatosi a bordo per la presenza di combustibili, è portato ad incagliare. La nave lamenta alcune vittime e due dispersi. Il porto di Bari, già gravemente danneggiato dall’apocalittico bombardamento aereo tedesco del 2 dicembre 1943, è semidistrutto. Gli addetti al soccorso, in particolare gli equipaggi dei rimorchiatori, in preda al panico, abbandonano i loro posti. Invece i Vigili del fuoco di Bari, diretti dal comando inglese, danno prova di grande determinazione e coraggio. Anche se la seconda guerra mondiale è agli sgoccioli, tuttavia non è finita. In Italia l’offensiva alleata nel settore tirrenico è iniziata il 5 aprile; nel settore adriatico scatta invece il 9 aprile. Perciò dagli Stati Uniti alcune settimane prima di tali date vengono ancora inviati materiali, munizioni e viveri per le truppe alleate impegnate nell’Italia settentrionale e per le basi aeree di Gioia del Colle, Cerignola, Amendola e Foggia, da cui si alzano in volo i bombardieri Lockheed P-38 e Boeing B-17 (le “Fortezze Volanti”) e i cacciabombardieri Curtiss P-40. Per questa ragione la nave da carico in acciaio di 7176 tonnellate Charles Henderson, una Liberty costruita nel 1943 con motore a tre cilindri, a tripla espansione, da 2500 HP dalla Delta Shipbuilding Company di New Orleans per la War Shipping Administration di Washington, il 14 marzo 1945 è partita dal porto di Norfolk verso il Mediterraneo e l’Italia meridionale, unendosi ad altre quarantacinque navi della stessa classe (EC2-S-C1). L’equipaggio della Henderson è composto alla partenza da 43 civili e 13 militari tra ufficiali, sottufficiali e marinai della riserva navale statunitense. Il 29 marzo, a 35 miglia ad ovest dello stretto di Gibilterra, dopo le 12:55 il convoglio riesce a sventare un attacco di sottomarini tedeschi grazie al lancio di bombe di profondità da parte di due dei cacciatorpediniere di scorta. Poi la Henderson tocca per rifornimento il porto siciliano di Augusta e la mattina del 5 aprile attracca nel porto di Bari alla banchina n. 21, dalla quale nello stesso giorno è spostata alla calata n.16. Dalle 6675 tonnellate di munizioni e bombe d’aereo stivate a bordo, i lavoratori portuali scaricano, fino alle ore 10 del 9 aprile, 2450 tonnellate di materiali bellici. Infine la Henderson è destinata dal comando interalleato alla banchina n. 14, dotata di gru meccaniche, dove gli operai scaricano altre 500 tonnellate di bombe d’aereo dalle stive n. 4 e n. 5. Circa tre minuti prima di mezzogiorno nella stiva n. 5 sprizza una fiammata, che sviluppa una cortina di fuoco. Si alza un grido e poi si ode una deflagrazione che scatena l’inferno tutt’intorno. Muoiono 53 uomini della nave, i cui resti riposano nel cimitero di Bari, e, secondo le stime ufficiali, 318 civili, tra cui alcuni marinai e molti scaricatori baresi e della provincia. In quel lunedì maledetto periscono anche Herbert J. Louis, master, cioè capitano mercantile della nave, ed Eugene Eric Ebert di Delaware in Pennsylvania, Lt. jg SC (Lieutenant junior grade Supply Corps), ossia sottotenente di vascello del Corpo d’approvvigionamento, che lascia vedova a Filadelfia la moglie Mary Catherine Ebert. Due soli militari si salvano, perché in quel momento per loro fortuna non sono presenti a bordo: Oscar T. Davis, Chief Engineer, cioè capo macchinista, e William Lovell Owen, GM2c (Gunner’s Mate, 2nd Class), ossia aiuto cannoniere di 2a classe (e non «ufficiale addetto al carico», come è stato erroneamente scritto). I feriti ricoverati con camion militari, carri e veicoli di fortuna sono 608, compresi 29 operai fortunatamente al lavoro nelle stive di prua, le quali in qualche modo li proteggono da danni maggiori. “La Gazzetta del Mezzogiorno”, tuttavia, parla di 1730 feriti, una cifra quasi tripla, in quanto i feriti leggeri sono subito dimessi dalle strutture sanitarie o ricorrono a medicazioni di fortuna per non andare in ospedale. Quasi mille famiglie di Bari (937 per l’esattezza) restano senza casa. Leggendo la piccola lapide del Terminal Crociere del porto di Bari rileviamo che tra i civili italiani travolti dalla sciagura, in una mesta graduatoria la città di Bari piange 253 morti, Molfetta 17 (ma più esattamente 18), Bisceglie 9, Gallipoli 8, Mola di Bari 5, Trani 4, Bitonto, Giovinazzo e Palo del Colle 2, Adelfia, Bologna, Conv e r s a - no, Corato, Messina, Monopoli, Nardodipace (Catanzaro), P u t i g n a - no, Rutigliano, Ruvo di Puglia, Sernaglia della Battaglia (Tr e v i s o ) , Torre del Greco, Triggiano, Turi, Va l enz ano e Venosa 1 morto ciascuna. Tra i deceduti di Bari, 70 appartengono alla compagnia portuale “Nazario Sauro”. Al di sopra della lastra minore del Terminal Crociere vi è una lapide molto grande contenente i nomi delle 318 vittime civili del disastro portuale, purtroppo senza la data di nascita e senza l’indicazione della città di origine. Con una paziente indagine è stato possibile individuare i 17 molfettesi periti per l’esplosione e inseriti nell’elenco. Sono il fuochista trentanovenne Antonio Altamura di Francesco e Susanna Uva, coniugato con Filomena Biase; il civile Mauro Altamura, marito di Angela Damiani; il marittimo ventiseienne Antonio Benedetto Altomare di Sergio e Lucia Capurso; il civile trentottenne Corrado Belgiovine di Domenico e Rosa De Bari; il civile quarantacinquenne Pasquale Ciannamea fu Marino e di Antonia Amato; il sessantenne Simone Ciannamea, fratello del precedente; lo scaricatore sedicenne Nicolò Ciccolella di Vito e Pasqua Farinola; il marinaio quarantasettenne Giuseppe De Gennaro fu Angelo Ilarione e di Lucia Amato; il giovanissimo operaio militarizzato Damiano De Pinto, nato il 15 giugno 1929; lo scaricatore diciottenne Vito Giancaspro fu Corrado e di Isabella De Robertis; Michele Magarelli fu Michele; il civile trentasettenne Onofrio Messina di Giuseppe e Pasqua Mezzina; il civile Giovanni Mezzina, nato il 10 agosto 1891 e coniugato con Lucia Tattoli; lo scaricatore ventenne Gaetano Mongelli di Pietro e Anna Maria Squeo; il civile quarantunenne Corrado Samarelli di Ignazio e Giuliana Magarelli; il civile sessantacinquenne Leonardo Sgherza fu Cosmo Damiano e di Angela Camporeale, e il civile trentaseienne Francesco Simonetti fu Angelo e di Carmela Libonia. In realtà c’è un altro molfettese morto per lo scoppio della Henderson: il giovane Onofrio Binetti di Nicola, sepolto vicino ad altri compagni di sciagura in un ossario del Cimitero comunale di Molfetta, individuato dall’amico Lazzaro La Forgia. Inoltre il “luttino” di Antonio (Benedetto) Altomare di Sergio riporta delle incongruenze. La data di nascita è 12 aprile 1920, mentre all’anagrafe il marittimo risulta nato il 25 febbraio 1919. La data di morte indicata è 12 aprile 1945, che potrebbe essere la data comunicata ai famigliari o quella dell’inumazione dopo il trasporto da Bari. Il 10 aprile il prefetto Antonio Antonucci ordina di dare la prima assistenza alle famiglie più colpite, facendo distribuire viveri con la collaborazione della Croce Rossa, mentre il sindaco di Bari Natale Lojacono si coordina col presidente dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza) per ricoverare i senzatetto nei pochi locali di proprietà o pertinenza del Comune. Il provveditore agli studi Tommaso Fiore, antifascista salveminiano, ingiunge di mettere a disposizione dei sinistrati rimasti senza casa le scuole libere di Bari e chiede alle autorità alleate di sgombrare gli altri edifici scolastici occupati dai militari anglo- americani da più di un anno e mezzo. All’inizio la censura militare impedisce che le notizie del disastro appaiano sulla stampa. Soltanto quattro giorni dopo la sciagura, il 13 aprile 1945, “La Gazzetta del Mezzogiorno” può far apparire in prima pagina l’articolo Il terribile scoppio nel porto di Bari. Perché questo silenzio forzato? Nelle alte sfere c’è un notevole imbarazzo. Molte bombe sono state caricate con aggressivi chimici. Si tratterebbe non solo di iprite, proibita dalla Convezione di Ginevra del 1925 e inabissata con altre sostanze chimiche nel basso Adriatico al largo di Molfetta, Bari e altrove tra il 1943 e il 1946, ma anche di napalm, un’emulsione dal potere incendiario e calorifico terrificante, che diverrà tristemente famosa nella guerra del Vietnam. Gli americani l’hanno già usata in Italia. Ad esempio, il 12 ottobre 1944 un raid di 60 aeroplani statunitensi ha martoriato l’area di Bologna con bombe al napalm. La successiva cattura di soldati tedeschi sopravvissuti è servita per verificare la devastante efficacia della nuova arma, confermando l’importanza dello spaventoso effetto delle fiamme sulle truppe nemiche. Per la sciagura del 9 aprile 1945 si fanno due ipotesi principali: sabotaggio o incidente. Come rammenta Pasquale B. Trizio nell’opuscolo commemorativo Quelli della Charles Henderson (Bari 2008), il Quartier generale delle operazioni nel teatro del Mediterraneo dell’esercito statunitense avvia un’inchiesta, affidandola al capitano Edward Buchanan, che la concluderà con una relazione del 24 aprile 1945. Il capitano si reca a Bari e interroga sull’accaduto il maggiore americano Goldsmith, il capitano inglese Coogan dell’Ufficio Trasporti del porto di Bari e il comandante James Craik della U. S. Coast Guard, addetto alla supervisione delle operazioni di sbarco delle munizioni nello stesso porto. Dalle testimonianze risulta peraltro che l’ispezione degli esplosivi prima del loro sbarco era di esclusiva pertinenza del personale inglese, sotto la cui giurisdizione era posta l’area operativa del porto di Bari. Il cap. Buchanan interpella anche il colonnello inglese Robert Bruce Oram, comandante del 5th British Port Operating Group e presidente della Commissione d’inchiesta, che – aggiunge il dr. Trizio – espone «una sua iniziale impressione sulle probabili cause dell’esplosione, imputabile alle bombe 150/GP-T1 che, invece, sembra fossero state sbarcate nei giorni precedenti il disastro dalle stive prodiere della nave». Si tratta di ordigni da 150 libbre (68 Kg) per aerei da bombardamento, di uso generico, ma originariamente progettati come bombe incendiarie. Il colonnello Oram, che nel 1970 pubblicherà il libro The Dockers’ Tragedy (Hutchinson, London), è uno dei militari meglio informati sui fatti. Tuttavia il cap. Buchanan – annota il dr. Trizio – ritiene che «l’eventualità di un sabotaggio non dovesse essere esclusa, incoraggiata com’era, nella città, soprattutto ad opera di antifascisti a titolo di propaganda». Ipotesi tanto contraddittoria quanto inquietante. A sua volta, il comandante inglese del porto di Bari John Lee esclude categoricamente il sabotaggio. Per lui la causa è stata un malaugurato incidente. Alcuni addirittura vociferano che l’esplosione sia stata forse innescata dall’imprudenza di qualche incosciente fumatore. Comunque stiano le cose, si tratta di uno dei più grandi disastri della seconda guerra mondiale in tutto il Mediterraneo. Lo riconosce perfino il periodico “Union Jack”, stampato a Roma come edizione delle forze armate britanniche. Ma è un primato tutt’altro che consolante.
Autore: Marco I. de Santis