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Il crepuscolo degli dei
15 luglio 2015

Luigi XIV il re sole diceva L’Ètat c’est moi, lo Stato sono io, Azzollini I, re di Molfetta più modestamente si limita a dire La Ville c’est moi, la città sono io. In questa battuta c’è tutto il sen. Antonio Azzollini, 62 anni molfettese doc, avvocato di professione e politico per passione, sposato senza figli, presidente fino a ieri della commissione Bilancio del Senato e per circa 10 anni sindaco di Molfetta. Uomo di grande intelligenza, di notevole cultura, di efficace eloquio, devoto alla Chiesa, affiliato ad alcune confraternite locali e molto vicino al vescovo Martella, che gli è stato sempre grato per i finanziamenti concessi per il restauro di alcune chiese di Molfetta. Il personaggio Azzollini, però, nella sua Molfetta appare in abbigliamento trasandato e con un linguaggio abbastanza «colorito», infarcito del dialetto molfettese che usa anche in politica. Lo chiamano «spreduzze» per via dell’abitudine di indossare, talvolta anche nelle occasioni ufficiali, sandali uniti ad un abbigliamento sempre poco formale, con magliette stropicciate e non sempre da mastro lindo, uniti a una barba lunga di almeno quattro giorni. Ma il senatore non se adonta, anzi lo considera quasi un complimento perché il disprezzo per la forma per lui equivale all’esaltazione dell’intelligenza, la capacità di sentirsi superiore e quindi di rifiutare convenzioni e regole. Questa sua indole «proletaria» lo fece aderire subito in gioventù ai movimenti extraparlamentari di sinistra, militò anche prima nel Pdup, partito di unità proletaria, poi nei Verdi per poi arrivare al Pci e quindi al Pds. La sua transizione nel centrodestra era già scritta nel suo dna tant’è che fu espulso dal partito quando decise di partecipare alla giunta, definita di unità guidata da Annalisa Altomare, ex Dc, dopo l’assassinio del sindaco Gianni Carnicella, in sostanza uno spostamento al centro, prima di approdare a Forza Italia, una volta annusata l’aria vincente e, sempre con il fiuto del segugio, capita la parabola discendente di Berlusconi, si è trasferito armi e bagagli (l’amata commissione Bilancio che ha presieduto dal 2001) nel Nuovo centrodestra «governativo » di Angelino Alfano. Con il fratello Nicola, col quale ha vissuto quasi in simbiosi, ha appreso la «cultura politica» da un altro grosso personaggio locale, il socialista Beniamino Finocchiaro, già senatore e sindaco della città, dal quale, però, ha poi preso le distanze, quando è approdato al berlusconismo. Animale politico, ha sempre sostenuto di essere drogato di politica, di iniettarsi ogni giorno una dose di politica nelle vene, Antonio Azzollini con suo fratello Nicola, deceduto qualche mese fa, ha proceduto all’unisono alla conquista politica il primo ed economica il secondo di Molfetta. Il fratello infatti da semplice consigliere di amministrazione della Banca Cattolica Popolare ha poi «scalato» l’istituto di credito di Monsignore, come veniva definito a Molfetta, fino a divenirne presidente e artefice della vendita prima al Credito Italiano, poi all’Antonveneta e quindi al Monte dei Paschi, ottenendo anche una poltrona nei consigli di amministrazione di questi istituti di credito nazionali. Tonino, eletto senatore nella XIII legislatura nel recupero dei resti della quota proporzionale, malgrado la sconfitta da parte del senatore eletto Giuseppe Ayala è stato poi riconfermato nel 2001 battendo quel Guglielmo Minervini del quale è sempre stato l’antagonista politico e che ricoprì la carica di sindaco di Molfetta dal 1994 al 2000. Azzollini è stato poi rieletto nelle successive legislature consolidando il suo potere romano nel Senato della Repubblica, sempre nella commissione Bilancio, vero centro di potere per il ruolo importante nelle leggi finanziarie e soprattutto delle cosiddette leggi mancia, in grado di soddisfare le aspettative di tanti parlamentari sia di destra che di sinistra. Braccio operativo del ministro Tremonti ha sempre avuto l’obiettivo di portare fondi alla propria città, anche attraverso operazioni finanziarie ardite, come quella di far finanziare il nuovo porto commerciale, attraverso una legge che riguardava Milano e la Lega Nord, con la quale ha mantenuto sempre un atteggiamento politico di vicinanza, vedi la vicenda delle quote latte. E la Lega gli è stata riconoscente al momento di votare contro la richiesta di utilizzo delle intercettazioni telefoniche per la presunta truffa da 150 milioni per l’appalto del nuovo porto di Molfetta. Nella sua gestione della città è stato un monarca assoluto, ma non ha mai voluto lasciare la carica di presidente della commissione Bilancio del Senato ricoprendo un discutibile doppio incarico, facendo il sindaco del week end, il sabato e la domenica, ma seguendo da Roma ogni movimento locale. Accentratore e diffidente, non ha mai concesso deleghe ai suoi assessori che erano privi di autonomia e attendevano la sua «discesa» da Roma, il sabato per poter varare i vari provvedimenti. Si è sempre circondato di fedelissimi «il cerchio magico della Nutella», come fu definito da “Quindici” il gruppo degli amici, con riferimento alla sua golosità smisurata per la nota crema di cioccolato che divora a barattoli. Un monarca assoluto a cui piace più il potere del denaro, ma che è incappato in due pesanti inchieste giudiziarie quella dell’appalto del nuovo porto e quella del crac della Divina Provvidenza di Bisceglie, che oggi gli tolgono il sonno e che sono il sintomo di una parabola discendente: il suo potere vacilla a Molfetta ed è stato perfino abbandonato dai suoi consiglieri comunali, passati prima con Fitto, suo nemico giurato da sempre e alle regionali con Emiliano in una lista di centrodestra che ha appoggiato il neo governatore di centrosinistra. Il senatore sembra aver perduto la grinta originaria e l’aggressività che aveva nel famoso filmato del consiglio comunale che ha fatto il giro del web divenendo virale. Come sindaco all’attacco all’opposizione di centrosinistra che lo accusava di non aver garantito la presenza di una donna in giunta, lui replicava urlando «sciatavinn» (andatevene). Una conferma del momento di difficoltà che sta attraversando, umanamente comprensibile, è la famosa telefonata della Zanzara col finto Papa che lo rimprovera per la presunta frase offensiva rivolta alle suore della Divina Provvidenza di Bisceglie e lui finisce per piangere, negando ogni cosa. Uno scherzo cattivo che ci auguriamo possa almeno ricondurlo a quella dimensione umana che non ha avuto in altre circostanze quando ha offeso senza scrupoli e con poca carità cristiana, avversari, giornalisti e tutti coloro che osavano criticarlo. Ora, dopo il sì all’arresto della giunta per le immunità del Senato, Azzollini dovrà affrontare l’aula di Palazzo Madama chiamata a confermare o negare la detenzione. Siamo al crepuscolo degli dei, alla caduta di un potente intoccabile, che oggi spinge a pietà per l’uomo, che, però, non può essere considerato al di sopra della legge, con un privilegio di casta non concesso ai comuni mortali. Se non ha nulla da nascondere, e noi ce lo auguriamo, affronterà la giustizia come tutti gli altri cittadini. Sarà quella della crac dell’istituto religioso di Bisceglie la sua parabola discendente oppure riuscirà a recuperare quel potere politico che vede venir meno giorno per giorno e che per lui è come l’ossigeno? Lui confida sempre nella Divina Provvidenza.

Autore: Felice De sanctis
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