Il Consiglio di Stato respinge il ricorso per annullare le elezioni. Ora la città deve ripartire
Ci sono i fatti e le opinioni. I fatti sono ormai noti. Per presentare delle liste a qualsiasi competizione elettorale, bisogna raccogliere delle firme che vanno convalidate. Per le elezioni amministrative di solito ci si rivolge ai consiglieri provinciali. Ma secondo altre indicazioni, come l’ultima circolare esplicativa della prefettura, oltre al criterio territoriale, rispettato nel caso dei consiglieri provinciali, bisogna soddisfare anche quello di pertinenza. Quindi un contrasto di disposizioni che ha portato le parti politiche sconfitte in otto Comuni italiani (Valenzano, Gavorrano, Tricarico, Maddaloni, Marcianise, San Felice a Cancello, Lusciano in Campania, Molfetta) a impugnare il voto e a chiedere di fatto il ritorno alle urne. In Puglia il ricorso è partito in primis a Valenzano, con il Tar Puglia che ha dato ragione a chi ha chiesto l’annullamento delle elezioni. L’amministrazione ha fatto ricorso al Consiglio di Stato. L’udienza pubblica è avvenuta a Roma il 21 gennaio; la sentenza è arrivata il 13 febbraio. Ricorso respinto e sindaci salvi. Sabato 15 febbraio il Tar Puglia si è espresso direttamente sul caso Molfetta, allineandosi a quanto già deciso dal Consiglio di Stato. Fin qui i fatti. Poi ci sono le opinioni. In una città come la nostra, avvelenata da una campagna elettorale aspra come poche, la prospettiva di un immediato ritorno alle urne ha avuto l’effetto di un terremoto. Ha diviso e corroso nel profondo, estremizzato le posizioni, rimesso in gioco politici che ormai si erano rassegnati a un futuro da subordinati o da comparse e che invece adesso si sono rivisti improvvisamente di nuovo in gioco e quindi pronti a tutto per non perdere la clamorosa occasione. Le elezioni in primavera avrebbero portato scossoni soprattutto a destra dove la leadership del senatore Antonio Azzollini appannata già da tempo, è stata ulteriormente indebolita dalla sua uscita da Pdl-Fi per appoggiare il progetto politico del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano. In città la candidatura sarebbe stata soprattutto ad appannaggio di outsider come Mariano Caputo e Luigi Roselli ma forse anche di giovani leve come Giacomo Rossiello (nel direttivo provinciale Pdl e già indicato da molti come candidato sindaco nelle scorse elezioni). Tutto ciò con il senatore comunque non disposto a farsi da parte e pronto a strumentalizzare il via libera dato dalla Regione alla Zona Franca Urbana, prendendosi tutti i meriti del progetto. Il clima politico si è arroventato e la città si è trasformata in un enorme campo di battaglia, in un tutti contro tutti senza vincitori e con un unica vera sconfitta: Molfetta. Un’opposizione impastata di rancore, invidia e cinico opportunismo, ha cavalcato irresponsabilmente qualsiasi polemica potenzialmente idonea a mettere in difficoltà l’amministrazione guidata dal sindaco Paola Natalicchio. Episodi marginali sono stati strumentalizzati fino all’inverosimile. L’asfalto davanti al Duomo e il palco troppo piccolo preparato per il concerto del 31 dicembre di Roy Paci, sono diventati casi nazionali, paradigmi dell’incapacità del centrosinistra cittadino di governare la città, “scandali” che testimoniano la necessità di ritornare immediatamente alle urne. La campagna diffamatoria del centrodestra, capeggiata da Azzollini, è stata condotta con una determinazione tenace e infervorata che nel suo furore politico ha toccato livelli polemici di inaudita violenza. In rete si sono tutto d’un tratto materializzati blogger che per interessi personali hanno intinto la penna nella bile e martellato, anche con una certa efficacia, i nervi di una comunità già provata da scandali e misfatti ogni tipo. Proprio a questi ultimi, la destra cittadina non ha dato una risposta: va bene l’asfalto davanti al Duomo e il palco di Roy Paci, ma Mani sulla Città, l’operazione D’Artagnan con la vergogna del Porto, gli abusivi della frutta e della verdura, il clientelismo amicale e discrezionale, i servizi sociali che funzionavano come un bancomat a discrezione dell’amministrazione, tutto ciò dove è finito? La stagione dell’illegalità diffusa e del malgoverno dell’epoca azzolliniana è sembrata d’un tratto venire dimenticata da Molfetta che si è lanciata in una nuova campagna elettorale. I consigli comunali si sono trasformati in delle corride dove discorsi dai toni fracassanti si alternavano ad accuse e a ingiurie spesso violente. Una violenza che per poco non è passata dal piano verbale a quello fisico. La destra cittadina tra le altre cose, ha rinfacciato al sindaco Paola Natalicchio la responsabilità di aver bloccato i lavori del Porto e quindi di mettere in mezzo alla strada i lavoratori che adesso perderanno il lavoro. Una menzogna visto che sul Porto gravano precise responsabilità politiche e amministrative sulle quali la magistratura sta facendo chiarezza. Polemiche che forse hanno infiammato troppo gli animi di qualche esagitato: il 29 gennaio un operaio ha fatto irruzione nei corridoi del Comune e cercato di entrare nell’ufficio del sindaco che nell’occasione è stato pesantemente minacciato. Un’aggressione gravissima, che è stata il punto più alto di questo gioco folle e pericolosissimo. I livelli dello scontro sono arrivati abbondantemente sopra i livelli di guardia e bisogna ammetterlo non è stato un buon periodo per Molfetta. La sentenza, si spera, chiude una stagione avvelenata che ha segnato nel profondo la comunità e forse darà la possibilità di fare meglio all’amministrazione Natalicchio. Non resta che sperare che la sentenza del Consiglio di Stato possa essere un nuovo inizio che permetta all’amministrazione di governare la città non più sotto una pressione polemica opprimente e che togliendo l’orizzonte delle urne immediate; consenta al centrodestra di esprimere un opposizione critica e costruttiva. Intanto accontentiamoci di aver visto ancora sottolineato un concetto cardine della nostra Costituzione: il popolo è sovrano e la volontà espressa alle urne non è sovvertibile nemmeno da un pignoleria burocratica.
Autore: Onofrio Bellifemine