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Il capro espiatorio Dibattito sul centro-sinistra
15 luglio 2001

Non ne sono certo, ma ho l’impressione che i partiti, le coalizioni e i movimenti che sono stati sconfitti nelle recenti elezioni a Molfetta non mostrano alcuna propensione all’autocritica, impegnati come sono nella ricerca di un capro espiatorio. Questa è cosa diversa dalla responsabilità che invece tutti abbiamo di analizzare gli errori commessi, con la lucidità di riconoscere anche i meriti di chi ha governato in questi anni, pochi o molti che siano i successi raggiunti. Personalmente critico verso programmi e scelte della coalizione di maggioranza che negli ultimi anni ha amministrato la città, non mi aggiungerò al facile coro dei critici che in questi giorni, corifei o buccinatori, trovano comoda la caccia all’assassino di quell’esperienza di grande significato politico che fu la transizione iniziata nel 1994, senza ragionare sulla validità iniziale di quella mutazione e sulle deviazioni successivamente intervenute per inseguire le politiche moderniste del centro-sinistra e dell’Ulivo nazionale. Dare la caccia al responsabile è soltanto un esercizio mediatico, una moda avvilente che si ripete in tutte le fasi della storia in cui si è deciso a priori di lasciare le cose come sono, senza correzioni di sostanza, e permettere che le luci della ribalta si accendano di nuovo su quei leaders solitari che, insistendo sulla stessa cornice politica e riproponendo ogni volta la medesima prospettiva, da trent’anni guidano tutti i passaggi (nel 1971, nel 1983, nel 1990, nel 1998) della sinistra molfettese verso le immancabili sconfitte. Il coro dei critici di Guglielmo Minervini (nella foto) non può disconoscere che la città è cambiata negli ultimi otto anni. Ed è cambiata in meglio. Pur trovandoci, oggi, in presenza di un più esteso radicamento elettorale del centro-destra nella città, le prospettive di una trasformazione profonda e radicale sono più avanzate per la sinistra molfettese. Ne è una prova la tempestività con cui abbiamo aperto la discussione su come uscire dalla crisi in cui la sinistra è piombata. E, se discutiamo di uscirne in avanti, il merito è della svolta del 1994, della vittoria del movimento per restituire la città ai cittadini, del percorso per allargare la partecipazione, dunque è merito di Guglielmo Minervini e dei partiti e movimenti che l’hanno voluto sindaco. La sfida era grande, nella città di quegli anni, la vittoria improbabile. Sembrava impossibile, ma chi può dimenticare che le elezioni del 1994 portarono al governo della città, per la prima volta, classi sociali, ceti intellettuali, partiti dei lavoratori, portatori di interessi, movimenti di opinione, che l’hanno trasformata? Fu una vittoria alla quale contribuì tutta la sinistra. E’ vero, molti errori successivamente si sono commessi. Ma chi può affermare che quella sia stata solo una parentesi, una breve e inutile esperienza che il centro-destra e il suo sindaco trasformista può oggi facilmente cancellare, addirittura annullare? Quel che è accaduto in quegli anni è stato straordinario e non si può fare l’errore di minimizzarne la portata. Quel che è accaduto ha suscitato emozioni, scosso le coscienze addormentate, trascinato alla partecipazione. Ce ne siamo dimenticati? Quelli che, nell’euforia collettiva, ieri osannavano, non possono sottrarsi oggi a questa riflessione. Si devono esprimere quelli che hanno creduto nella svolta di Guglielmo Minervini e si sono spesi nella condivisione delle quotidiane fatiche. Devono far sentire la propria voce quelli che, pur criticando, hanno continuato a lavorare con tenacia. Sarebbe interessante sentire anche quelli che hanno abbandonato solo perché hanno capito che troppe erano le fatiche, poche le risorse, grande il coinvolgimento, quotidiana battaglia l’esistenza. Lasciamo perdere solamente quelli che, con sciagurata disinvoltura, hanno abbandonato per passare dall’altra parte. La sfida della transizione era grande e Guglielmo Minervini ha il torto d’aver trascurato le molte teste che per fortuna sono abituate a pensare in proprio. Anche la sconfitta, oggi, è grande, e forse non sarà di breve periodo. E’ sbagliato ritenere che sia solo elettorale. Questa è stata la conseguenza di una sconfitta più profonda, che è politica. Chi afferma il contrario, vorrebbe farci credere che programmi, piani, progetti, scelte possano benissimo rimanere tal quali, inalterati. Questo ragionamento ci porterebbe ad una sconfitta più lunga, più grave, questa sì permanente. La sconfitta elettorale corrisponde, in larga parte, alle debolezze politiche della sinistra, alle carenze organizzative dei partiti, alle insufficienze del loro insediamento sociale, alla mancanza di identità, alla povertà dell’iniziativa politica. La sconfitta è politica e apre molti interrogativi. Si direbbe che il centro-destra abbia allargato e radicato la sua presenza nella città. Non ne sono affatto certo. Forza Italia e Alleanza Nazionale sono pure i due partiti maggiori a Molfetta, ma non potranno agire incontrastati perché hanno raccolto, insieme, dodicimila voti. Gli altri ventottomila cittadini hanno disseminato i loro voti su tredici liste minori (quotate tra mille e duemilaottocento voti, che non possono dunque cullarsi sugli allori di un radicamento certo) oppure hanno frammentato il resto su cinque liste minime (quotate ciascuna per meno di mille voti, che hanno seri rischi di sopravvivenza). Né sono da trascurare, e bisognerebbe capire, i milleseicento voti non validi, tra bianchi e nulli, che potrebbero equivalere nella frammentazione del voto ad una ventunesima lista di medie dimensioni. Non sono convinto che la legittimazione elettorale del centro-destra, il solido consenso del 65%, costituiscano automaticamente una maggiore fedeltà dei suoi elettori. Non credo che le forze politiche della coalizione vincente abbiano assorbito tutte le culture, umori e interessi, espressi nel voto. Non si può governare mettendo d’accordo, a Molfetta, liberismo selvaggio e populismo retrivo. Con il voto, il centro-sinistra se ne è liberato: ne prenda coscienza e riparta da quegli undicimila voti incassati. Forse non sono pochi. Di sicuro, la vittoria del centro-destra non pone fine ad un’esperienza politica di grandi potenzialità. Direi che non ponga fine a nulla. La sinistra c’è ed è anche più larga, plurale, più variegata di prima: grazie anche a Guglielmo Minervini, forse anche ai programmi condivisi che non si sono potuti realizzare. La storia della città non è finita con la vittoria del sindaco opportunista. La storia è una catena di anelli: saldiamo quelli giusti. E smettiamola di ritenere che Rifondazione Comunista sia il responsabile di tutti i mali e della sconfitta. Sarebbe troppo comodo, così da lasciare in campo tutte le ragioni dell’insuccesso. Sarebbe un’altra caccia all’assassino. Come spiegheremmo, allora, i ritardi della candidatura di Nino Sallustio e i lunghi mesi trascorsi a guerreggiare tra forze politiche della stessa coalizione alla ricerca di un candidato autorevole? Potremmo così trascurare le contraddizioni dei processi costitutivi della Margherita e del Girasole a Molfetta? Potremmo via via tralasciare gli insuccessi dell’Ulivo, ignorare gli inseguimenti di personaggi cittadini naufragati dal centro-sinistra verso il centro moderato di Democrazia Europea, la latitanza dei Democratici di Sinistra dalla campagna elettorale, le incertezze del Percorso, l’oscuramento dei Verdi, le debolezze dei Popolari, le lentezze dovute alle indicazioni nazionali sulle candidature parlamentari? Certo, a questi aspetti, potremmo anche aggiungere l’incontrovertibile diversità, culturale e politica di Rifondazione Comunista: allora sforziamoci di vedere questa diversità da entrambi i versanti, non solo da quello di una forza antagonista che fastidiosamente si rifiuta di piegarsi alle ragioni del neoliberismo imperante, ma anche da quello delle forze riformiste che, pur di governare, fanno troppe concessioni agli interessi dei moderati e dei conservatori. L’isolamento di Rifondazione Comunista non ha giovato a nessuno. Di questo si deve essere certi, così come si deve riconoscere che è sbagliato contrastargli la conquista di un’egemonia nella sinistra, impedirgli la costruzione di un partito comunista di massa. Così si può ricominciare, ritrovandoci tutti con più collaudate capacità di conoscenza, capaci di riconoscere, anche con Guglielmo Minervini, una città variegata, fatta di cittadini pazienti, accoglienti, a volte fanatici e pittoreschi, mai docili: diversi, ma simili quando si tratta di ricondurre lavoro e salute, casa e ambiente ad un progetto amministrativo avanzato. Il lavoro di costruzione di un’alternativa è destinato ad avere spazio e speranza, a Molfetta. L’importante è non restare fermi sulla riva, ad aspettare che l’aggressiva occupazione dei centri di potere e delle sedi istituzionali mostri tutte le contraddizioni proprie di una coalizione numerosa ma debole, una maggioranza in cui il partito del sindaco ha dimensioni risibili e scarso radicamento territoriale. Torniamo al lavoro, dunque, utilizzando ruolo e potere reale del Consiglio Comunale. Riprendiamo la buona abitudine di stare in mezzo alla gente, perché fu così che la città si sottrasse al ceto politico che dominava nel 1994. Pur senza ruoli di governo, non facciamo eclissare i partiti riducendoli a comitati elettorali. Costruiamo una vera stampa di opposizione, culturalmente preparata e impegnata in un’efficace controinformazione. Ricomponiamo l’unità dei sindacati, divisi nel rompicapo lotta/governo. Torniamo alle grandi manifestazioni di piazza. Non trascuriamo i collegamenti in rete. Oggi, nel centro-sinistra, c’è una Margherita consistente. Il partito dei Democratici di Sinistra non è più il primo partito del centro-sinistra: freni, dunque, la sua deriva moderata e neoliberale e ponga fine all’illusione di sottrarre voti al centro-destra. Così potrà finire l’isolamento di Rifondazione Comunista, che potrà condurre in questo scenario l’egemonia di una sinistra forte perché antagonista. E, in tale scenario, si potrà combattere, sul piano del potere reale, il solidificarsi di un blocco esteso per i prossimi anni, il blocco sociale di riferimento della destra a Molfetta: la borghesia imprenditoriale, unita alle forze della speculazione edilizia; la Banca Cattolica, con le grandi ricchezze; le reti televisive locali, con l’informazione faziosa e di parte; l’integralismo cattolico, vicino ai vertici della Chiesa e lontano dal volontariato e dalla testimonianza cristiana; la salute dei cittadini, nelle mani della direzione dell’ospedale e dell’Asl; la burocrazia riaffiorante negli uffici comunali; gli studi professionali, a cui affidare incarichi comunali ed amministrativi. E’ questo il blocco sociale che non ha nascosto la propria propensione in campagna elettorale. Sono i creditori che oggi dichiarano esplicitamente il proprio sostegno e cominciano già a chiedere le contropartite. Li ritroviamo in fila lunga, alla porta del sindaco reticolare, pronti all’incasso. Ed è qui che, per i cittadini liberi, cominceranno costi e danni. E non ci sarà alcun beneficio, per i cittadini del centro-sinistra e della sinistra antagonista. Vito Copertino
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