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I rifiuti della discordia
15 ottobre 2019

Si scrive Sanb, ma si legge pasticcio politico sulla gestione dei rifiuti: di quelle operazioni in cui è molto abile il neo gruppo consiliare NOI che ha al suo interno campioni del cambio casacca da destra a sinistra, al centro e così via, con grande opportunismo, a seconda delle convenienze politiche e di potere. Ma la loro arroganza arriva al punto di non scegliere il silenzio, per nascondere le operazioni politiche necessarie a catturare consensi per il loro attuale capo politico, Saverio Tammacco, ma ad alzare la voce, perché oggi in politica chi grida di più, ha ragione. Così è stato anche questa volta sulla vicenda della Sanb, acronimo che sta per Servizi Ambientali Nord Barese, una società a capitale pubblico (con i soldi nostri, per intenderci) a cui partecipano 5 Comuni (Molfetta, Terlizzi, Ruvo, Corato, Bitonto) dell’Aro Ba1 (un organo sovracomunale nel quale sono confluiti, dopo la messa in liquidazione degli Ato, Ambiti di territorio ottimale, i Comuni che si sono associati a mezzo di una convenzione) con l’obiettivo di gestire in modo unitario il ciclo di raccolta dei rifiuti, la pulizia delle strade e il porta a porta. Questo doveva permettere, sulla carta, economie di scala, garantendo maggiore efficienza e un risparmio di costi. In realtà questo soggetto, una specie di newco (new company, nuova società) che nasce privata con capitale pubblico, ha sprecato solo soldi dei cittadini ed è in situazione prefallimentare. Infatti dalla sua costituzione nel dicembre 2014, non è stata in grado di fare nulla, se non spendere 80mila euro l’anno solo per pagare parcelle a consulenti e revisori dei conti. Ed è entrata in crisi già nel 2017. Di qui la necessità della sua ricapitalizzazione (detto in soldoni, i Comuni ci devono mettere altri soldi, oltre ai 100mila euro iniziali, capitale ovviamente già eroso con i debiti accumulati) per poter consentire la sua sopravvivenza, altrimenti l’unica strada è quella del fallimento (attualmente la società è in mano di un liquidatore). Per fare questo, però, i Comuni che hanno una propria azienda municipalizzata come Molfetta (Asm), Corato (Asipu) e Bitonto (Asv) devono chiudere e integrare queste aziende nella nuova società che nascerà da questa fusione. E qui si registrano i primi dissidi, fra chi, come i Comuni di Bitonto e Corato, contrari alla ricapitalizzazione, forti dei pareri dei segretari Generali dei rispettivi Comuni e della Corte dei Conti; quello del Comune di Terlizzi contrario allo scioglimento (anche per usufruire di un finanziamento regionale di 800mila euro) e quello di Molfetta che chiede un nuovo piano industriale prima della ricapitalizzazione. Anche Ruvo è per il piano industriale, ma dopo la ricapitalizzazione. Come si vede, un pasticcio non da poco. Alla fine è prevalsa l’idea di un piano industriale aggiornato della Sanb che tenga conto delle richieste di tutti i Comuni, poi si passerà alla sistemazione del capitale, ma anche a modifiche statutarie della società per la nomina dell’amministratore unico (un’altra poltrona che fa gola a molti politici). Questa partita di tennis in cui la palla viene rilanciata da una parte all’altra senza che nessuno faccia un punto, viene giocata sulla pelle dei lavoratori delle società municipalizzate di Comuni interessati (157 solo dell’Asm e Trasmar di Molfetta). Non dimentichiamo che l’Asm è in profonda crisi economica e di gestione, né la nuova presidenza è riuscita a modificare le perdite e a sanare i debiti. Quindi una fusione con la Sanb sarebbe una sanatoria, scaricando su altri i problemi delle proprie incapacità gestionali. Ma non è detto che newco Sanb sia in grado di assorbire tutti i dipendenti. Ma questo interessa poco ai politici che giocano alle candidature regionali. Nella riunione del consiglio comunale che avrebbe dovuto decidere la ricapitalizzazione della Sanb, Pasquale Mancini, capogruppo di NOI (le liste civiche che, dal ciambotto, sono confluite in un unico gruppo che potremmo definire caciucco), fa rinviare la seduta, che aveva quell’unico punto all’ordine del giorno, approfittando delle incertezze del Pd, che conta quanto il 2 di briscola. Il Pd era già stato fagocitato prima dalle liste civiche dell’attuale maggioranza, trasformandosi, in pratica, anch’esso da partito a lista civica. Ora viene messo da parte da quelli stessi che lo avevano coinvolto per fare maggioranza e portare all’elezione di Tommaso Minervini (anch’egli divenuto ostaggio oggi di NOI e del sindaco ombra Saverio Tammacco). L’altro uomo ombra della giunta Minervini, il regista della caduta del centrosinistra a Molfetta, è il governatore della Puglia Michele Emiliano, grande elettore della giunta Minervini proprio attraverso Saverio Tammacco, politico passato da An a Forza Italia e poi al centrosinistra nella speranza di ottenere un seggio regionale: operazione fallita nel 2015 e che ora vuole riproporre nelle elezioni del 2020. Emiliano ha chiesto la ricapitalizzazione della fallimentare Sanb attraverso il commissario dell’Aro Ba1 l’avv. Grandagliano, inviato in consiglio comunale a sostenere questa posizione col sindaco Minervini. Ma si è trovato le truppe di Mancini-Tammacco schierate contro, forse perché in vista delle elezioni regionali, questi politici stanno alzando il prezzo, forti dei loro voti. A spiegare questo pasticcio, reagendo a questi giochi e ai ricatti politici al sindaco e alla maggioranza da parte di NOI è solo l’opposizione di sinistra con l’ex sindaco Paola Natalicchio: «GLI ALTRI SONO NOI (Piccolo punto sulla politica molfettese, detenuta dalla ditta Mancini-Tammacco). Ho massimo rispetto personale (lo stesso che lui non ebbe per me negli anni della sindacatura) per Pasquale Mancini, che guida la nuova formazione politica molfettese NOI (Nuove Officine delle Idee), dopo aver guidato per anni il gruppo locale di Forza Italia e aver partecipato in prima linea alla lunga stagione di governo del centrodestra guidata dal Senatore Antonio Azzollini. Pasquale oggi è il capogruppo o, come si dice di questi tempi, il “capitano” di una formazione politica nata con uno scopo ben preciso: restituire all’area conservatrice guidata da Saverio Tammacco l’egemonia piena sulla stagione di governo cittadino e su quella imminente dell’Emiliano bis. Questo scopo passa da una strada obbligata: indebolire il partner di questa maggioranza snaturata, ovvero il Partito Democratico. Per farlo, Mancini guida un’operazione senza precedenti: unisce in un unico gruppo consiliare tutti i consiglieri delle (false) liste civiche che hanno portato all’elezione di Tommaso sindaco. Unici fuori gruppo sono i tre consiglieri del PD: Piergiovanni, Facchini e De Nicolò. Questo consente a Mancini e al gruppo NOI di determinare direttamente le sorti dei provvedimenti che l’Amministrazione porta in Consiglio. E’ il gruppo NOI che governa Molfetta (e quindi l’ex gruppo dirigente di Forza Italia, Molfetta Futura e dell’arcipelago ex azzolliniano). Il PD non conta più nulla e il sindaco che si ispira al socialismo democratico è sostanzialmente un sindaco di centrodestra e si è ridotto a prendere ordini da pezzi scoloriti dell’ala più conservatrice della politica locale. Se, ad esempio, il gruppo NOI decide che non si vota la ricapitalizzazione della SANB (la newco per la gestione dei rifiuti nei comuni del Nord Barese), la ricapitalizzazione salta. Ed è stato infatti Mancini a chiedere che il provvedimento, pronto a essere votato, fosse rinviato al prossimo consiglio comunale. Una maggioranza lacerata, quindi: Gangs of New York. A due anni dall’insediamento dell’amministrazione delle grandi promesse di stabilità. La cosa più triste è che alla città si racconta un’altra storia. E, tirando in ballo i lavoratori ASM e Trasmar, si dice che il voto è saltato per colpa delle opposizioni o degli errori del passato o, sentiremo a breve, di una qualche invasione di cavallette. No. Il voto è saltato perché la maggioranza non aveva i voti per approvare il provvedimento. Per la prima volta, in aula, è accaduto questo: uno strappo evidentissimo tra il sindaco e il PD, da un lato, che sostenevano la ricapitalizzazione, e Mancini e NOI dall’altro, che hanno chiesto “più tempo per valutare”. Salvo poi inondare i giornali locali di dichiarazioni di vicinanza ai lavoratori e attacchi alle altre forze politiche». Una vicenda miserabile sul piano politico. I rifiuti della discordia, ma anche i rifiuti della politica. © Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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