Per tredici anni abbiamo colto i segni di assonanze incredibili tra il vescovo don Tonino Bello e il Papa venuto dalla fine del mondo. Non le abbiamo cercate. Francesco ce le ha consegnate negli scritti, negli interventi, nei gesti, nelle parole. E come ‘semi seminati’ li ha lasciati a chi dentro e fuori la Chiesa saprà essere terreno che feconda e permette ai semi di diventare frutto. Il suo, Francesco, lo ha fatto. Lo ha detto. Lo ha praticato. Ciò che resta o sarà dipende da che terreno vogliamo essere ciascuno e insieme. C’è uno scritto di don Tonino che nelle settimane ultime di Papa Francesco mi è risuonato più di altri: I piedi di Pietro. Va letto tutto ma un passaggio lo riporto:
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Cadiamo una buona volta ai piedi di Pietro. Non per adorarlo, come fece il centurione Cornelio. Ma per lavarglieli, quei piedi. Oggi, specialmente, che sono così stanchi per il tanto camminare sulle strade del mondo. Facciamogli sentire il tepore dell’acqua. Prendiamo l’asciugatoio che ha i profumi casalinghi dello spigo e delle melecotogne. Forse, mentre lo rinfrancheremo dalle sue fatiche con i gesti della tenerezza, cadute certe teorie puritane sullo spreco delle sue itineranze, ripeteremo pure noi i versetti di Isaia: «Come sono belli i piedi dei messaggeri che annunciano la pace!». Facciamoci raccontare, attorno a deschi fraterni, le meraviglie operate dal Signore sulle piazze, come accadeva un tempo, quando la gente accorreva da ogni parte conducendo gli ammalati perché, «al passaggio di Pietro anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro». Diamo cadenze d’amore trepido alla nostra implorazione, come avveniva un tempo quando «era tenuto in prigione, e una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui». Stiamogli vicino, a questo fratello ultimo, che forse più di ogni altro ha bisogno della nostra carità.
Forse, mentre l’acqua tintinnerà nel catino, egli proverà tanto ristoro dalla nostra appassionata premura, che ci mormorerà all’orecchio, come quella sera fece con Gesù: «Non solo piedi, ma anche le mani e il capo».
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Oggi che i potenti della terra di questo tempo dalle tante contraddizioni sulla pelle dei bambini, delle donne e degli uomini ma anche del creato e del suo futuro, saranno ai piedi di Francesco, per commemorare la sua uscita di scena, i suoi piedi e le sue scarpe sono l’immagine che con prepotenza prende spazio in me. Scarpe che escono dall’abito bianco a ricordare che nell’obbedienza alla Chiesa, anche vestendo gli abiti che dicono il ruolo di potere, bisogna saper correre più di lei per andare incontro ai poveri. Ecco un Papa che ha camminato più veloce della Chiesa. In questo un’altra assonanza con don Tonino, che ha avuto un passo più veloce della sua Chiesa, scegliendo di camminare al passo del Vangelo per connetterlo a “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, perché “sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes). Pastori entrambi e non solo alti prelati della Chiesa del Concilio. Non lasciano eredità quelli come loro che vanno via da questo mondo, ma semi. Semi seminati. Fuori e dentro la Chiesa. Aver respirato la Parola attraverso le loro parole è stata una grazia. Un dono unico le parole di Francesco pronunciate durante l'ultima Urbi et Orbi di Pasqua: «Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità.» Persone con un’anima e una dignità. Parole che sono seme.
Elvira Zaccagnino
“Paratesto” Edizioni “la meridiana”
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Il testo di don Tonino Bello "I piedi di Pietro" è raccolto nel libro Dalla testa ai piedi a nostra edizione.
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