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I manifesti futuristi raccontati a teatro
15 ottobre 2009

Ma n i f e s t i Futuristi, questo il nome dello spettacolo realizzato nell’antico chiostro San Domenico, grazie alla collaborazione di diff erenti associazioni quali L’Associazione Musicarte (musica), Il Carro dei Comici (teatro), Ictiìu (arte) e Daniela Mezzina (danza). L’evento ha voluto sintetizzare (sintesi quale principio compositivo dei futuristi) nelle arti del teatro, arte, musica e danza, gli enunciati del discusso movimento avanguardista che decretò la sua nascita con l’articolo, manifesto del futurismo, di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato il 20 febbraio 1909 sul quotidiano francese Le Figaro. Cosa avrebbero pensato gli stessi futuristi del fatto che i loro enunciati fossero declamati all’interno del chiostro di un monastero di Molfetta, le cui mura avrebbero soff ocato le loro parole ardenti? Ne avrebbero provato orrore. Tuttavia l’imponente voce dell’attore, nonché regista delle sintesi teatrali, Francesco Tammacco, ha saputo divampare nel cuore degli spettatori smaterializzando le vecchie mura del chiostro. Marinetti ne sarebbe rimasto soddisfatto, che voleva “distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria”. Nelle parole infi ammate degli attori, declamate con estrema violenza, è chiaramente leggibile l’intento di voler descrivere la generazione degli intellettuali futuristi che desideravano, con il loro impeto, scardinare i vecchi ideali di un passatismo obsoleto, vera zavorra di un pensiero positivista. Quella sera, in cui il buio complice non faceva che esaltare le parole, le note, i gesti a favore dei miti della velocità e della macchina, gli spettatori sembravano sbigottiti , come fossero stati sradicati da un sogno confortante del primo mattino per essere travolti e trascinati a malo modo in un contesto vulcanico di idee, forme, pensieri, colori; un vorticare incessante di parole che non cedeva il passo a un lieto ripensamento, al tempo di un ma o di un forse. Con quale disappunto le parole urlate schiacciavano la platea! “Noi vogliamo glorifi care la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”. Frasi quanto mai discutibili, oggigiorno, ma che, contestualizzate nell’epoca in cui furono proclamate, avevano il sapore di una decisa contestazione e ribellione alle deboli, tranquille virtù borghesi. Lo stesso manifesto, redatto da Pasquale Modugno per lo spettacolo, annunciava il carattere sovversivo dell’arte futurista: la composizione assimetrica, la fi gura ruotata di novanta gradi dell’uomo in movimento di Boccioni che sfi da la gravità e il buonsenso che lo vuole ritto, le lettere scosse da un movimento nascosto. Lo spettacolo si è articolato tra il pubblico e una quinta con l’immagine dell’Uomo in movimento, di Boccioni, rimarcando la repulsione di un teatro con una netta linea di demarcazione tra gli spettatori e la scena. Gli attori, privati di una scenografi a che contestualizzava il tempo o un luogo, hanno riassunto enunciati, brandelli di scene teatrali del futurismo, mediante gestualità scarnifi cate da ogni espressività retorica, tralasciando, tuttavia, la cura dei costumi che meritava una più giusta celebrazione degli abiti-scultura dai tagli asimettrici con colori sfavillanti che, in un operazione d’arte globale, facevano bella mostra di sé sui palchi futuristi del Novecento. L’atmosfera metallica dello spettacolo si moltiplicò con l’integrazione di danze accompagnate dalle musiche di Franco Casavola, esponente del Futurismo Pugliese. La bellezza della danza, scaturita da un movimento del corpo, veloce e scattante, in contrapposizione ai movimenti fl uidi della danza classica, erano un chiaro riferimento alla celebrazione della macchina e del movimento: lo scatto veloce del corpo, il piede piegato a novanta gradi sulla gamba tesa, la mano chiusa a pugno battuta sull’altra. La chiusa dello spettacolo è stata molto commovente. Un bambino in corsa dal pubblico abbraccia, con sorprendente slancio, l’attore Giuseppe Ranoia, interprete di Marinetti, mostrandogli la monetina da venti centesimi in cui è impressa la scultura di Boccioni, a ricordare l’importanza di tale movimento artistico, che dette notevole prestigio all’Italia del secolo scorso . Con rammarico penso che del Futurismo non ci rimane che una monetina. Depurando tale movimento da ogni impalcatura ideologica quali il militarismo, il progressismo modernista, non posso ignorare l’invito del futurista a “lavorare secondo coscienza”, senza temere, ma anzi, “cercando la derisione e il disprezzo del pubblico”, aborrendo “i critici ignoranti e venali”, lasciando, cioè che il nostro operato sia il frutto incondizionato di una mente libera.

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