I giovani e il lavoro: due esperienze a confronto
Si è soliti, quando si parla di giovani, accomunarli sotto uno stesso lume di caratteri, comportamenti, ideali. Io, ho cercato di avere delle risposte su quello che due ragazzi, uno di 17, l'altro di 18, pensano su una tematica seria come il lavoro.
Avere un'intervista dal primo non è poi stato molto difficile, dato che ha letteralmente tempo da vendere. Lo incontro, fuori piove, ma Lui sembra piuttosto entusiasta di parlare con me.
La prima cosa che gli chiedo è di descrivere un po' se stesso in relazione al mondo del lavoro.
“Preferisco non rivelare la mia identità, in ogni modo frequento il quarto anno di un istituto tecnico. La mia è una famiglia piuttosto agiata ed è per questo che non ho mai avuto particolarmente bisogno di cercarmi un lavoro. Il pomeriggio, se non devo studiare o se devo studiare poco, e capita spesso, resto a casa a giocare alla Play Station o esco per giocare a calcetto con gli amici…- non lo vedo convinto -… la verità è che prima non avevo il bisogno di lavorare, ma ora, per realizzare i piccoli sfizi, sento di non farcela più a sottomettermi alla volontà dei miei genitori. Purtroppo altrettanto vero è che lavorare non mi piace, non m'è mai piaciuto: io amo stare con gli amici a divertirmi, ma in particolar modo ho il culto dell'ozio”.
Siamo in vena di rivelazioni a quanto pare, e così gli chiedo qualche informazione in più, sul suo rapporto con gli altri. “Non mi da fastidio se mi prendono in giro quelli che lavorano, anzi in realtà sono io in primis a criticarli. Non capisco il perché, cosa spinge dei ragazzini neanche maggiorenni ad avere tanta fame di denaro; probabilmente, e in questo caso concordo, lo impone la condizione economica familiare. Per lavorare lasciano oppure trascurano gli studi, ma un giorno se ne pentiranno, probabilmente perché avranno bisogno di un lavoro più redditizio, che richiederà un certo livello di preparazione scolastica. Anche se io non ho particolari soddisfazioni dalla scuola, non la lascerei mai e neanche tornerei mai sui miei passi; è troppo importante avere una certa formazione personale. E poi io da bambino ci ho provato, ma lasciamo stare, non mi piace proprio”.
Capisco che tutta questa repulsione per il lavoro deve pur avere una causa; gli chiedo di spiegarmela, benché sia un po' restio. “Quando frequentavo la prima media sono andato qualche volta in campagna con mio nonno, ma anziché aiutarlo gli facevo solo perdere tempo utile, ero imbranato. Non era quello ciò che volevo fare e senz'altro non lo farò mai più”. Avevo colto esattamente il nocciolo della questione e purtroppo non so cosa consigliarli. Poi mi viene un dubbio in mente: come si comporterà in futuro, quando avrà dei figli? “Non riesco a pensarci, ma finché non saranno maggiorenni loro la vita dovranno godersela per davvero: d'inverno si concentreranno sulla scuola proprio come d'estate vedranno solo il colore del mare e del sole, nient'altro”. Almeno di questo sembra piuttosto convinto.
Incontrare il secondo, non è stato proprio per niente facile: il cellulare è sempre staccato e per la strada lo si vede solo un'ora la domenica o nei giorni festivi. Anche lui è piuttosto disponibile, ma tiene all'anonimato nella difesa di quelle che lui chiama “cose che mi imbarazzano”. Gli chiedo di parlarmi un po' della sua vita. “Frequento il quarto anno di un istituto professionale, le condizioni economiche della mai famiglia sono buone, ma a spingermi a lavorare, è stata la voglia di essere meno dipendente dai miei genitori e di diventare più responsabile. È stata dunque, una mia scelta; i miei genitori non erano neppure tanto d'accordo, ma io sentivo e sento questo bisogno”. Penso che tanta forza di volontà e convinzione non possano che essere ammirate in un ragazzo diventato maggiorenne solo da poche settimane.
Tornando all'argomento della nostra conversazione, cerco di saperne qualcosa di più su quello che fa. “Sono apprendista elettrotecnico, e lavoro ogni giorno dalle 6 del pomeriggio alle 9:30 la sera. Comunque queste cose un po' m'imbarazzano”. Gli dico di non preoccuparsi e di parlarmi dell'aspetto economico se gli va. “Diciamo che guadagno 30€ la settimana e li uso un po' per tutto quello che mi capita. Non ho un contratto e non ho un'assicurazione, ma sono soddisfatto in generale”. Beato lui che la pensa così; a me sembra proprio uno sfruttamento. E la scuola? “Un po' la influenza, ma la media generale è buona, infatti, se tornassi indietro rifarei tutto. Sembrerà strano, ma sono felice”.
Non si può dunque dire che uno abbia più ragione dell'altro, ma neppure negare che tutti vorrebbero dei figli così convinti e decisi. De gustibus…