Nei momenti più critici, e non solo, bisognerebbe focalizzarsi sull’essenziale, dimenticando il superfluo, per trovare la forza di resistere e di camminare a testa alta. Il racconto appassionato di Giuseppe Farinola, molfettese innamorato della sua città quanto dell’hockey su pista, aiuta ad intraprendere proprio questo processo introspettivo. Cosa ti ha portato ad emigrare da Molfetta e cosa ti manca della città? «Sono andato via da Molfetta e dalla mia Puglia, che amo follemente, nel 2017, purtroppo come ormai fanno un po› tutti i ragazzi della mia età ed anche più giovani. Sono portati a lasciare il Sud per cercare maggiore stabilità e migliori fortune, sia al Nord che all’estero. Io ho fatto questo, avendo oltretutto una bambina piccola, Sofia, alla quale vorrei dare tutta la stabilità possibile. Fortunatamente dei miei amici di Agrate Brianza (MB), che non smetterò mai di ringraziare, mi hanno dato un grande supporto, aiutandomi ad inserirmi nella nuova realtà brianzola e facendomi sentire parte della loro famiglia. Eppure la nostra terra, che ripeto di amare alla follia, ha delle immense potenzialità, soprattutto per i più giovani e soprattutto grazie al turismo, che vede la nostra regione al primo posto al mondo come meta privilegiata da diversi anni. Abbiamo un mare spettacolare, delle spiagge bellissime, dei borghi e dei luoghi incantati: ecco, è tutto questo ciò che mi manca di più. Il profumo del mare al mattino che non si può raccontare, i colori della città e delle persone, la mia famiglia, mio papà e mia mamma. Però, purtroppo, una gestione locale e regionale a mio avviso malsana, ha fatto sì che tanti giovani cervelli siano riusciti a farsi apprezzare per le loro doti e qualità altrove. Anche se sembra che qualcosa stia cambiando, o almeno è questa la percezione che ho vedendo le diverse attività che stanno sorgendo soprattutto nei centri storici. Era ora»! Quale legame conservi con la tua terra? «A Molfetta ho i miei genitori, con cui mi sento più volte al giorno. Ci scambiamo opinioni e pensieri, anche i più futili, purché questo ci permetta di restare in contatto. Impegni lavorativi e sportivi permettendo, mi organizzo con la mia bimba per andare a trovarli e per far assaporare a mia figlia, quel profumo salmastro nell’aria, indescrivibile a parole. A Molfetta, come a Giovinazzo, ho parecchi amici che rivedo volentieri ogni volta che torno a casa». Come nasce la tua passione per l’hockey su pista? «In questi casi l›affermazione è più che doverosa: è stato un vero e proprio «colpo di fulmine » o ancor di più «amore a prima vista» tra me e l›hockey su pista. Mio papà, a metà degli anni ‹80, era dirigente della vecchia e gloriosa società “Hockey Club Molfetta”, guidata magistralmente da Mario Cantatore «U Bob” prima, e successivamente dal dott. Nunzio Fiorentini (entrambi figure eccezionali purtroppo scomparse). Il primo in famiglia a calzare i pattini è stato mio fratello maggiore Onofrio. Oggi lui ha intrapreso completamente tutt’altra strada, è un frate cappuccino a Roma, ma è grazie a lui che mi sono avvicinato a questo sport nel 1987, quando avevo solo 3 anni. Ed oggi sono ancora qui». Quali sono le soddisfazioni più grandi e i traguardi più belli raggiunti tramite la pratica di questo sport? «L›hockey mi ha permesso di formarmi come persona. All›hockey devo tanto. Come in tutti gli sport, ci sono state gioie e dolori. Anche se devo ammettere che le prime sono molte di più rispetto ai secondi. A livello giovanile, in tutte le categorie giocate, ho avuto la fortuna di arrivare ogni anno alle finali di categoria di Coppa Italia e di Campionato nazionali, puntando sempre al primo posto, senza mai uscire dal podio. Molfetta, nella mia generazione, aveva un settore giovanile da paura, con oltre 150 bambini, e poteva permettersi grandi allenatori che ci preparavano perfettamente. Uno di loro è stato Sergio Lezoche. Anche a livello Senior, qualche soddisfazione sono riuscito a togliermela. Da allenatore, invece, nonostante la giovane età per la mansione, posso ritenermi più che soddisfatto: da due anni sono il viceallenatore della prima squadra del Monza. Il primo allenatore è un grande giovinazzese di questo sport, Tommaso Colamaria. Il Monza è una squadra che milita nel campionato di A1 e che l’anno scorso ha giocato la fase a gironi, prima dello stop dovuto al covid, della Coppa Europea (la Champions League del calcio) scontrandosi con squadroni mondiali, il Porto su tutte. Ricopro quest’anno, anche il ruolo di responsabile tecnico del settore giovanile della stessa società, che annovera circa 70 ragazzi di tutte le età, seguendo direttamente anche le categorie dell’under 17 e 19. Ad oggi, il primo trofeo messo in bacheca da allenatore, l’ho conquistato nel 2019 quando, alla guida della categoria under 19 di Agrate, ho centrato le finali di coppa Italia nazionali di categoria che, stranissimo scherzo del destino, si sono svolte a Molfetta. Come in un film. La mia Molfetta non è voluta mancare al mio debutto in panchina in una competizione finale, proprio a volermi ricordare da dove tutto è partito e quanti sacrifici ho dovuto fare. Per poi ritrovarci ancora lì, nel palazzetto, di cui conosco ogni singola mattonella. Risultato finale? Ho alzato la coppa Italia nella mia città, proprio davanti a tutta la mia famiglia che ha esultato per me, davanti a tutti quegli amici che per l’occasione erano in tribuna, nel palazzetto che mi ha visto nascere e crescere, davanti a quel mare che spesso sogno. Non potevo chiedere di meglio». Quali sono le testimonianze che vuoi raccontare su come sia stato uno degli sport che in passato ha regalato grandi soddisfazioni alla nostra città? «A Molfetta l’hockey esiste sin dall’inizio degli anni 80, grazie alla lungimiranza ed alla completa passione di persone d’altri tempi: una su tutte, Mario Cantatore, detto “U Bob”. Mario era di un temperamento esagerato, un fuoco attivo che camminava. Riconosco in me questo particolare modo di essere, che anche grazie a lui ho fatto mio. Ma era anche di una bontà disarmante con tutti, soprattutto con noi più giovani. Durante le partite dei più grandi, lo ricordo mettersi dietro la sponda, nei pressi della vecchia cabina telefonica, ed essere un fiume in piena ad ogni decisione arbitrale, piuttosto che ad ogni errore dei giocatori del Molfetta. Quante volte ha rotto il vetro della stessa cabina colpendola con un pugno per sfogarsi! Ma aveva un cuore d’oro. Organizzava molte manifestazioni dedicate ai più piccoli: da feste e fiaccolate sui pattini per l’intera città a feste natalizie con l’indimenticabile vescovo, don Tonino Bello. L’altra figura che ricorderò sempre con molto piacere, è quella del dott. Nunzio Fiorentini. Anche lui aveva una bontà enorme e smisurata, riuscendo nel difficile compito di portare all’interno della società tanta passione, tanto sacrificio, oltre che tanta competenza. Era sempre una persona disponibile, con la battuta facile, pronta a dare una mano. Con “Nunzio”, il Molfetta ha raggiunto grandi traguardi, anche grazie ad allenatori come Sergio Lezoche. Persone con veri principi, dediti alla crescita del nostro sport a Molfetta». Cosa consigli ai giovani appassionati di hockey e di sport in generale? «Oggi stiamo vivendo un’epoca abbastanza difficile per mille motivi a livello mondiale. Un’epoca che sicuramente finirà sui libri di storia. Purtroppo il virus ci sta sfidando, ci sta mettendo a dura prova. Sento tanto parlare di chiusure di palazzetti, di piscine, di palestre e di luoghi dove svolgere attività fisica: credo che togliere lo sport in generale, a maggior ragione ai ragazzi, sia la cosa più sbagliata da farsi. Lo sport è vita, è educazione, è spirito di adattamento. Lo sport è formarsi, è rispettare gli altri e le regole, è imparare ad accettare una sconfitta e puntare a migliorarsi e potrei continuare all’infinito. Se oggi posso ritenermi una persona con una forte personalità, alla quale piace porsi sempre obiettivi da raggiungere e rispettosa del prossimo, lo devo principalmente a due fattori: l’educazione ricevuta dai miei genitori e lo sport. Ai ragazzi di oggi consiglio di fare, tanta attività fisica e di non lasciarsi condizionare da scelte poco lungimiranti. Lo sport sa formare a livello personale e aiuta a sentirsi in forma. È giusto concentrarsi molto sullo studio, dedicare il giusto tempo ai videogiochi, ma appena possibile è bello lasciare tutto e scendere in strada per fare attività fisica. Poi, a chi è affascinato dall’hockey su pista, non posso che consigliare di provarci. L’hockey insegna a vivere in gruppo, ad avere la giusta carica emotiva e a saperla controllare quando e quanto dovuto. Basti pensare che il nuoto ed il pattinaggio sono ritenuti, da grandi studiosi, gli sport più completi in assoluto». Infine, cosa vorresti che fosse portato a Molfetta per dare risalto ai tempi d’oro dell’hockey su pista? «Proprio in questi giorni è scomparso ancora una volta l’hockey a Molfetta, ormai accade spesso negli ultimi anni. In una delle risposte precedenti sottolineavo l’importanza di aver avuto nella nostra disciplina, a Molfetta, gente appassionata, alla guida delle squadre con una grande dose di lungimiranza, soprattutto verso i più giovani. Oggi sentiamo dire che il mondo è cambiato e che non è corretto fare paragoni con un tempo. Da quando sono andato via da Molfetta, passando per Giovinazzo dove ho trascorso anni meravigliosi, ho visto susseguirsi alla guida delle varie società gente improvvisata nel ruolo, che ha compiuto certi passi solo per un tornaconto personale, senza una vera programmazione a lunga veduta. Queste persone sono restate per due tre anni a capo delle società sportive, gettando il classico “fumo negli occhi” con proclami da film di Hollywood, per poi abbandonare al proprio destino l’hockey e tutti i sogni di quei ragazzi innamorati che, come me, vedevano il palazzetto come una loro seconda casa e si sentivano al sicuro soltanto entrandoci. Se lo stesso è stato intitolato al dott. Fiorentini, qualcosa vorrà pur dire! Vorrei tanto che qualcuno di veri valori prendesse a cuore l’hockey a rotelle a Molfetta, che tanto ha dato in passato alla cittadinanza. Oggi, girare per tutta l’Italia con la squadra del Monza ed essere riconosciuto nei palazzetti come “il molfettese”, mi rende orgoglioso di quanto ho fatto e di quelle che sono le mie origini. L’hockey ha bisogno di qualcuno che sappia ben organizzare l’attività, avvalendosi di gente competente nel campo. È fondamentale partire soprattutto dai più piccoli che sono e saranno il futuro, non solo in questo settore e non solo nello sport. Abbiamo bisogno di qualcuno che faccia tornare la passione ai molfettesi, che ne hanno da vendere, di qualcuno che ci metta l’anima e il cuore. Spero che tanti altri ragazzi abbiano la fortuna che ho avuto io nell’incontrare quelle due indimenticabili figure, oggi ricordate da tutti come i presidenti per eccellenza». © Riproduzione riservata