Giovanni Bovio, un esempio contro la corruzione
Penso sia opportuno ricordare il nostro conterraneo, Giovanni Bovio, in un momento di grande scollamento del nostro Paese. Bovio nasce a trani nel 1841, da famiglia originaria di Altamura, da ragazzo era noto soprattutto tra i marinai, perché era solito passeggiare in riva al mare in perfetta solitudine, raccolto nei suoi pensieri. Non andava a scuola perché, non aveva di che pagare.
A quindici anni scoppia in lui il grande desiderio di studiare, di capire ed imparare. Si faceva prestare i libri da conoscenti, studiando anche di notte, fino a quando reggeva la lampada ad olio. Imparò il latino ed il greco; lesse Tacito, Aristotele, G. Vico, G. Bruno, Dante, Macchiavelli e Guicciardini. A 17 anni scrive una tragedia in tre atti, incominciando a dare lezioni private di diritto e di filosofia. A 23 anni pubblica il “Verbo Novello” che, criticava la filosofia Egeliana, San. Tommaso e Gioberti.
Bovio viene scomunicato e costretto a riparare a Napoli. Qui trovò alloggio in una soffitta, vivendo con i magri guadagni delle lezioni private e di qualche lezione in Istituti privati. Si presentò, per la cattedra di storia del diritto, all’Università di Napoli. Aveva contro tutta la consorteria, capeggiata da Bertrando Spaventa. Bovio conquistò tutti con la sua oratoria. Fu lo stesso Spaventa ad annunciare il verdetto, promosso all’unanimità, a pieni voti.
Nel 1876, nel collegio di Minervino fu eletto al Parlamento. Anche in parlamento si conquistò la stima di tutti. Difese sempre i lavoratori ed i loro diritti; le classi più povere. Presentò al presidente della Camera le dimissioni “perché non poteva adempiere, con diligenza il suo ufficio”. Perché si dimette. Aveva spesso disertato l’Aula perché, non aveva i mezzi per soggiornare a Roma. E’ bene ricordare che, all’epoca, con lo Statuto Albertino, il parlamentare non aveva alcuna retribuzione ne indennità. (Art.50) Il presidente della Camera Farini, capendo le vere ragioni delle dimissioni, propose al Parlamento di respingerle; furono respinte all’unanimità.
In Parlamento continuò a combattere la corruzione dilagante, gli abusi di potere, il malcostume, difendendo sempre le libertà di tutti. Era solito dire che, il “partito è una parte del vero, non il vero”. Diceva che, le promesse e le buoni intenzioni erano molte, ma la corruzione prevale e domina incontrastata. La corruzione per Bovio era il male endemico della vita politica italiana, ed i grandi elettori erano le banche.
In quel periodo, siamo al 1888, il governo Crispi rompe con la Francia, mente le Banche francesi erano intenzionate a proporre un prestito all’Italia. I banchiere chiedono aiuto a Giovanni Bovio, offrendogli un compenso di un milione e duecento mila. Una enorme quantità di danaro che, ovviamente Bovio rifiutò. Lo stipendio di Bovio era di solo 5.000 lire all’anno! Nelle elezioni del 90, ancora una volta i francesi ci riprovano, vogliono offrire un contributo per la campagna elettorale; ancora un grande rifiuto!
A chi gli domandava se la Stampa doveva entrare, anche nella vita privata di chi opera nel pubblico rispondeva che “gli uomini pubblici, come i ministri, i parlamentari e magistrati, andavano sempre studiati”. Nel 1892 chiede una inchiesta sugli scandali bancari. La situazione bancaria italiana era disastrosa, quella della Banca Romana era drammatica. Quaranta milioni erano stati sostituiti da banconote duplicate; venti milioni di ammanco di cassa; bilanci falsificati. Il governatore della Banca, Bernardo Tanlongo, viene Arrestato.
Inaspettatamente al processo viene assolto! Il povero direttore della sede del Banco di Napoli in Roma, tale Cesare Coccinelli che, aveva solo sottratto due milioni, fu arrestato e al processo venne pesantemente condannato.
E’ il caso di domandarci se in questo Paese, sia cambiato qualcosa. Stessa corruzione, stessa situazione bancaria, troppi enti parassitari e politici famelici. Penso sia cambiata solo la corruzione, diventata ormai epidemica, visto che, era endemica, già nel 1887.
Autore: Vitangelo Solimini