Giovani e politica: due mondi sempre più distanti
Un giro esplorativo fra i giovanissimi molfettesi, che per la prima volta si apprestano al voto, fa emergere una situazione desolante. Nella maggior parte dei casi i giovani si mostrano a dir poco confusi in merito alla situazione politica che si va preparando. Ad eccezione di pochi, tutti sembrano non cercare di intravedere nei partiti e nelle fazioni, che la cronaca di questi giorni sta proponendo, il proprio ideale o un programma confacente alle proprie idee politiche e sociali. Tutti sembrano vedere questo mescolarsi caotico di partiti e gente politica come qualcosa di assolutamente distante e impossibile da cogliere nel suo comune denominatore, nelle idee che muovono l'aggregarsi o il disgregarsi di partiti o liste. Certamente si potrebbe parlare di disimpegno politico dei giovani, che preferiscono rinunciare a questa forma di partecipazione che, seppur molto indiretta, ci permette di farci in minima parte promotori di una gestione sociale più vicina a noi stessi. Un ragazzo afferma sicuro che a parte alcuni che si definiscono di estrema sinistra o di estrema destra solo per voglia di protagonismo senza un vero retroscena ideologico culturale, la maggior parte degli altri vive felicemente la propria ignoranza politica. E' proprio quello che è emerso dalle risposte frettolose dei ragazzi intervistati. Una maggioranza schiacciante, infatti, ha manifestato di non conoscere i partiti e i candidati molfettesi. Alcuni, conoscendo a grandi linee i candidati, hanno espresso l'impossibilità di cogliere proposte peculiari che caratterizzano le varie fazioni, dunque l'inesistenza di un fondamento ideologico alla base delle divisioni partitiche. Sembra che questi non mirino a raccogliere un elettorato formato da gente consapevole della propria quantomeno parziale identificazione con le idee del partito, ma a costruire una clientela sempre più ampia. Fra coloro che si sono dimostrati più sicuri a livello di conoscenze sulla fantomatica situazione che ci aspetta, Antonello Zaza e Antonio Azzollini sembrano raccogliere più consensi. Il primo per un'età, non solo antropologica ma anche politica, più giovane. Dunque l'homo novus sembra essere la necessità primaria di una politica monopolizzata da visi che sembrano aver trovato nel potere un abito imprescindibile. Probabilmente per i vantaggi che esso sbandiera. L'altro sembra aver convinto i giovani nel suo biennio amministrativo, soprattutto dal momento che essi identificano le ambite strutture commerciali (Decathlon, Mongolfiera ecc) con la sua opera. D'altro canto, dunque, l'insicurezza dei ragazzi sembra essere più che legittima. La corsa funesta a nuovi partiti, le spaccature interne, le divisioni ed alleanze, sembrano vedere il proprio movente in una logica statistica e numerica. Tutti guardano alle prospettive, alle possibilità di vittoria e dunque di successivo vantaggio, insomma le azioni politiche vedono in se stesse la propria causa e il proprio fine. La distanza fra il gruppo che dovrebbe gestire il nostro sviluppo e la gente sembra farsi sempre più grande, e l'appello alla cittadinanza sembra essere sempre più retorico. Come possono i giovani intravedere in questo minestrone tanto eterogeneo nei nomi quanto unificato nei fini, dei fattori che muovano i loro obiettivi e la loro volontà? Il classico volantino elettorale, con viso e nome del candidato, non può assolutamente schiarire le idee di questi ragazzi, anzi non fa che alimentare una modalità di voto che si basa sulla simpatia, sul sofismo, e che ha ben poco di partecipativo. I partiti dovrebbero vedere nel proprio rapporto con la gente e in particolare con i giovani il proprio fondamento, il proprio principio di sviluppo e quindi di aggregazione e disgregazione. Perché è proprio dalle gente che deve partire la politica, intesa come espressione rappresentativa di quest'ultima. Se il tutto inizia a svolgersi su un altro livello, se il mondo politico diventa altro da quello reale che comunemente viviamo, la politica diventa coercizione e la posizione dei giovani non può essere altro che isolata. Questo legame fra giovani e partiti, fra la vita che ogni giorno siamo abituati a percorrere e la politica, si dimostra inesistente. Gli stand per la città, piacevolmente monumentali nelle proprie coreografie, e gli usuali locali adibiti a seggi sono l'unico segno che la maggior parte dei partiti ci concedono. Il resto è sempre lì, cristallizzato nella propria continua quanto improduttiva mutevolezza. Il concetto sembra paradossale, ma una logica che mira al potere non può che essere estranea a tutto il resto. Allora tocca proprio a questi giovani far valere la propria presenza con il mezzo che più li rende protagonisti anche in un contesto alienante come questo: il voto cosciente. Il voto non certamente inteso solo come la crocetta che va a segnare la solita scheda elettorale, ma guidato dall'azione costruttiva dell'informazione, del dialogo, del confronto. Una tempestiva unificazione di ogni ambito sulla scia dello sviluppo collettivo della comunità in cui viviamo sembra essere un obiettivo addirittura utopistico. Ma questo solo se si parte dal presupposto di una generazione cieca e miope di fronte allo scorrere inesorabile di legislature, candidature e nuovi partiti. Ma una generazione preparata ad un nuovo modo di vedere la politica, all'insegna di se stessi come enti generici e della gente, è ciò che davvero può riportare la situazione su un livello più umano. Per smuovere questi giovani assopiti nella propria passività c'è dunque bisogno di una nuova educazione, di una rivoluzione culturale che metta al primo posto la consapevolezza delle proprie libertà e dell'importanza della propria costante espressione, anche politica. Il nostro impegno affinché tale coscienza comunitaria diventi profonda e generalizzata, deve essere reale e costante. Solo quando tutti i partiti abbandoneranno il proprio cantuccio chiuso nella propria egoistica limitatezza, ogni cittadino potrà vedere nelle future amministrazioni le proprie amministrazioni.
Autore: Giacomo Pisani