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Gianni Vattimo e Santiago Zabala il 3 settembre a Molfetta
27 agosto 2011

MOLFETTA - In occasione dell' apertura dell'associazione culturale "La Voce" di Sant'Andrea, il prof. Gianni Vattimo e il prof. Santiago Zabala affronteranno le tematiche del loro nuovo libro "Hermeneutic Communism: from Heidegger to Marx" edito nel prossimo mese di ottobre dalla Columbia University Press. L'incontro sarà moderato dal prof. Francesco Paolo de Ceglia.
L'incontro avrà luogo sabato 3 settembre ore 19 a Molfetta (piazza Mazzini). “Comunismo ermeneutico” cerca di rinnovare il marxismo attraverso l’ermeneutica. Ma questo rinnovamento non va verso una nuova teoria marxista, al contrario, parte proprio dal suo indebolimento.
Oggi il marxismo o meglio ancora, il comunismo, è debole, cioè libero dalle strutture forti che lo reggevano. Proprio questa è la sua forza, cioè la possibilità che abbiamo per praticarlo senza la violenza industriale che ha rovinato la stessa Russia comunista. L’ermeneutica, come filosofia post-metafisica, serve all’marxismo per ricordarsi che non dobbiamo più “descrivere il mondo,ma solo interpretarlo”. Questa massima (ovviamente è una modificazione della famosa tesi di Marx) aiuta a non cadere dentro una politica della verità dove tutti devono seguire delle regole oggettive. L’unico imperativo sono i deboli, cioè il “comunismo ermeneutico” è dalla parte dei deboli, dei poveri, dei marginati delle strutture attuali del lavoro, che non sono altro quelli senza, come dici tu, “ragion d’essere”. Per questo Vattimo dice che “il pensiero debole è il pensiero dei deboli”: non sono altro che i “residui” dell’essere come ho cercato di tradurre ontologicamente nel mio “The Remains of Being”… Proprio questo Essere Deboli non ha forza, cioè governi dalla loro parte, per lo meno in Europa. (Zabala, 2011 tratto dall'intervista rilasciata a Das Humankapital).

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Un comunista per: "prende i bambini" - Victor Hugo una volta disse di aver scoperto l'infanzia. Ciò a cui illudeva era che aveva scoperto l'essenza dell'infanzia - quella qualità particolare presente in grande quantità solo nei più giovani. I bambini riempiono la vita di ilarità. Sono per l'uomo il patrimonio più prezioso. Anche nei momenti più difficili, prevale in loro una spensieratezza profonda. Come disse Robert Coles, essi "ci pongono di fronte a prospettive ed attitudini, muovendoci alla riflessione ed all'azione e sollecitandoci, mente e cuore, a reagire". Rappresentano gli innocenti che eravamo e un futuro che non vedremo mai. Riflettono il nostro passato, preconizzano i nostri successi e portano con sè la nostra eredità. - Viviamo in un secolo dalla natura inequivocabilmente bambino-centrica - per ragioni ad un tempo nobili e vergognose. Assistiamo al crescere del processo di mercificazione dell'infanzia, all'incremento della resistenza dei bambini, ma anche della loro vulnerabilità. Il peso crescente dell'influenza dei bambini nell'equazione umana sta spostando quell'equazione verso di loro. In fondo sono i bambini che sviluppano nuovi linguaggi sia per alleviare i mali della società sia per donare al mondo pace e tolleranza. Uomini maturi possono fare la guerra, ma saranno i bambini a fare la storia. Possiamo apportare a quel processo un contributo concreto se facciamo dei bambini la nostra priorità. Solo così potremo condividere i loro sogni - e allora, forse, essi condivideranno con noi un po' della loro grazia. (full of grace - ray merrit)

Non vi è nessun problema sociale che non si ricolleghi, in un modo o nell'altro, al nome di Karl Marx, il cui centocinquantesimo anniversario della nascita, svoltosi il 5 maggio 1968 a Treviri in un convegno internazionale, sotto gli auspici dell'Unesco, un'organizzazione sorta dalla sconfitta del fascismo, il più crudele nemico del marxismo e del progresso. Le idee di Marx, sviluppate entro il coerente sistema del marxismo, forniscono a milioni di persone un metro per la conoscenza scientifica dei problemi vitali del nostro tempo. Il sistema marxista può venire ricostruito a partire dall'inizio dell'attività della mente eccezionale del suo autore, che sfidò le idee dominanti nel proprio tempo, o del combattente che non solo si oppose al mondo dei filistei, ma si rese conto perfettamente che questo mondo disumanizzato avrebbe potuto essere riplasmato, che una reale libertà, una autentica dignità umana, avevano come condizione la rivoluzione, una rivoluzione che doveva essere la più profonda e la più genuina della storia. Quando, nel febbraio 1848, il popolo francese, che era stato l'iniziatore delle rivoluzioni europee del secolo precedente, depose il re dei banchieri e proclamò la repubblica, inviò a Marx, che era stato bandito da Parigi alcuni anni prima dal governo di Luigi Filippo, il seguente messaggio: “ Eroico ed onesto Marx!....La tirannia ti ha scacciato. La libera Francia ti riapre le porte, e con te a tutti coloro che combattono per la sacra causa, per la causa fraterna di tutti i popoli”. Noi sappiamo che Marx dovette percorrere una dura strada sino alla fine dei suoi giorni. La sua vita non fu un letto di rose; per molti anni soffrì di privazioni e conobbe l'amarezza dei riflussi del proletariato, la classe a cui aveva dedicato interamente la propria vita, e la rinunzia ai suoi ideali da parte di alcuni dei suoi seguaci. Ma Marx non era un uomo da sottomettersi umilmente al destino: mai abbandonò la fede che la strada che aveva intrapreso fosse quella giusta, che il fine dell'emancipazione sociale si possa raggiungere soltanto se la via è illuminata da un pensiero di intrepida integrità e dalla lucida analisi dei fenomeni della vita.
Chi "sa", chi è competente non può non sapere che ... "il discorso è questo, che noi non andremo verso il popolo. Perché già siamo popolo e tutto il resto è inesistente. Andremo se mai verso l'UOMO. Perché questo è l'ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell'uomo - di noi e degli altri. La nuova leggenda, il nuovo stile sta tutto qui. E, con questo, la nostra (felicità)." ...perchè i figli dei popolani (pochi) con studi superiori "tradiscono"??? Forse val la pena di riscattare il tradimento da quel giudizio negativo con cui siamo soliti considerarlo, perché, accecati come siamo quando ci sentiamo traditi, non sappiamo cogliere quel lampo di AUTENTICITA'che ogni tradimento segretamente custodisce. Se è vero, infatti, che in ogni tradimento c'è un gesto di infedeltà, è pur vero che nella fedeltà spesso si nasconde l'incapacità di vivere non protetti da un amore, da un'amicizia, un'idea, una fede, un'appartenenza. Figure queste che spesso sono preferite al rischio di essere se stessi senza protezioni, o al coraggio di rifiutarsi di trascorrere la propria vita come semplice risposta alle attese altrui. Ma per scoprire il lampo di autenticità e di EMANCIPAZIONE segretamente custodito in ogni tradimento occorre avere il coraggio di vedere il LATO OSCURO dell' appartenenza che, sotto le parvenze nobili della fedeltà, spesso nasconde un bisogno di possesso dell'altro o la paura infantile di essere abbandonati.E, allora, in presenza di ogni "tradimento" le riflessioni non le deve fare il traditore, le cui spiegazioni, per il tradito, suonano insignificanti, se non patetiche. Ma le deve fare il TRADITO, per spiegare a se stesso se la pretesa fedeltà dell'altro non era tanto un'esigenza d'appartenenza, quanto una conferma del proprio potere, una rassicurazione dell'autostima, da non sospettare neppure che l'altro potesse fare a meno di lui. Ed è questa sorpresa, nel constatare che, oltre a lui, esistono persone, relazioni, idee, appartenenze più affascinanti di lui, a indurlo a riflettere che il tradimento se l'è procurato lui... con le sole sue mani!!!

Il significato dell'esistenza umana sta alle radici di ogni sistema filosofico: è una questione che ha sempre tormentato la mente dell'uomo, ha costituito un problema conturbante per molte generazioni passate, ed è divenuta una domanda vitale per la nostra generazione, per gli uomini dell'epoca attuale di radicali riforme sociali, della grande rivoluzione tecnologica, del lancio dell'uomo nello spazio e dell'incombente minaccia di una catastrofe nucleare. Ogni soluzione dell'enigma dell'esistenza umana richiede una determinata comprensione dell'uomo e delle sue caratteristiche umane. Massimo Gorki ebbe a dire: “La parola “uomo” suona orgogliosamente; e la concezione marxista dell'umanesimo si fonda precisamente sulla realizzazione del più alto destino per l'uomo. Già nelle sue prime opere, come i “Manoscritti economico-filosofici del 1884, Marx accolse la teoria che la natura raggiunge la sua piena realizzazione soltanto nell'uomo e attraverso l'uomo. L'uomo non è soltanto una parte della natura; è la natura che raggiunge la sua massima perfezione; “la storia stessa è una parte reale della storia naturale, della umanizzazione della natura”. Pertanto, considerando il processo di sviluppo la scienza naturale comprenderà un giorno la scienza dell'uomo, il mondo in cui l'uomo plasma la natura. Tuttavia, l'essenza della concezione marxista dei rapporti dell'uomo con la natura non può affatto venir ridotta all'autosviluppo della natura nell'uomo e attraverso l'uomo. L'uomo diventa uomo non per mezzo di forze esterne, ma attraverso l'”auto-identità”, attraverso il modo umano di esistere. L'uomo non è generato dalla natura, ma da se stesso: “tutta la cosiddetta storia universale” ha scritto Marx “non è che la generazione dell'uomo, il divenire della natura per l'uomo…..” Prima che Marx apparisse sulla scena, il vecchio materialismo dava alla natura il merito di ogni forza creatrice, mentre l'uomo veniva considerato come un essere contemplativo e sofferente, con ciò si accompagna a queste caratteristiche, la perfezione. Marx fu il primo a proporre e ad argomentare l'idea che l'uomo è per natura creativo, il creatore di se stesso e del suo ambiente umano. L'essenza del modo di vita umano consiste precisamente in questa attività creativa, la spontanea attività di autoregolazione in un mondo creato dall'uomo…………Nella mente di milioni di individui il lavoro non è più una “punizione divina”; non è soltanto un mezzo di sussistenza, ma uno strumento per l'ulteriore sviluppo sociale, per la soluzione dei problemi cruciali dell'umanità: il raggiungimento della pace e della prosperità del mondo. L'individuo si identifica con i suoi compagni nel comune lavoro per plasmare il futuro del mondo.-

Chi “sa”, chi è competente, guida i destini di tutti. La scuola per il popolo ha da insegnare come meglio servire il proprio paese, cioè come servire meglio il sistema che lo regge. Diffondendo le nozioni che servono a questo scopo, si rafforza la piattaforma che sorregge il sistema. Quando il figlio di povera gente riusciva, tra infinite difficoltà, a proseguire gli studi (che non fossero studi ecclesiastici, beninteso, poiché in questo caso si segregava quasi completamente dalla vita civile) abbandonava progressivamente il proprio mondo, fino a tradire l'ambiente d'origine e a passare dall'altra parte, diventando elemento del sistema borghese in modo ancora più accentuato di molti giovani di estrazione borghese o aristocratica. Non sembri strana questa contraddizioni. E' noto infatti che i maggiori ideologici del movimento operaio non erano di famiglia operaia (Marx, Engels, Lenin, Turati, Prampolini, Gramsci, Togliatti, per fare qualche nome) e che soltanto in tempi vicini a noi vi è stata una origine e una crescita di “ambiente” (ma non ancora di carattere generalizzato come sarebbe auspicabile) per quanto riguarda i sindacati e forze politiche popolari nel processo di formazione dei loro leaders. Se la notazione vale per fuori Italia, per il nostro paese il fenomeno ha caratteristiche globali. Un fenomeno che è ancora tutto da indagare nelle sue motivazioni di fondo. Perchè i pochi, pochissimi, che spesso in modo fortuito, e sempre faticosamente, giungevano agli “studi superiori” con provenienza popolana, passavano dall'altra parte? Perché tradivano? Perché diventavano avvocati, medici, ingegneri, insegnanti, finanzieri, imprenditori, o anche mezze maniche d'ufficio, nella burocrazia o nell'industria, dimenticando, i valori del proprio ambiente? Perché non portavano invece avanti questi valori? Perché non li legavano con la loro crescita culturale? Perché, in sostanza, una volta raggiunta la “posizione”, una volta sistemati in un gradino qualsiasi (basso o alto, non importa) del sistema sociale in mano alla classe dominante, diventavano estranei, senza più legami con la classe da cui erano usciti, spesso anzi nemici di essa, profittatori, oppressori di essa? Manca tuttora, un'analisi approfondita di questo fenomeno, che è stato ed è tuttora di capitale importanza, purtroppo negativa (la contestazione giovanile del '68 ha aperto notevoli brecce, per la sensibilità umana e per reazione ad un autoritarismo troppo arrogante e a disvalori consumistici troppo massicci, ma non ha dato vita ad un'alternativa globale, anche solo a livello etico-morale; ha creato collegamenti, forse ricchi in futuro, ma si è persa nella confusione, ed è corsa dietro a troppi facili alibi). Si tratta di colmare un abisso. I figli degli operai e dei contadini passavano dall'altra parte, si estraniavano, tradivano insensibilmente, contro la loro volontà iniziale. La volontà di “arrivare”, di contare, di dimostrare all'ambiente da cui si era usciti che finalmente si era qualcuno, faceva il resto. A dirla in breve, mancava un processo rettilineo di avanzamento e di crescita. La morale e l'etica individualistica liberal-borghese non solo consentivano, ma plaudivano a tale processo e sbandieravano come eroi coloro che “si erano fatti da se” diventando complici del sistema. Non mi sembra sia cambiato molto ai nostri giorni.

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